giovedì 7 giugno 2018

Rassegna stampa 07 Giugno 2018


La Nuova

Il Pd non è più capace di far sognare il popolo della sinistra
Disoccupazione e spopolamento: i due problemi irrisolti
E così sono crollate le zone rosse del Sulcis e del Nuorese

di Alessandro Pirina

Cento cose fatte e cento da fare. Alle ultime politiche il Pd si è presentato con un programma ricco, minuzioso, dettagliato. «Un programma credibile», sottolineava la comunicazione ufficiale dem, mettendolo a confronto con le «promesse irrealizzabili» di 5 stelle e Lega. Il popolo però si è lasciato incantare da quell'altro tipo di proposta. Gli elettori forse sono anche consapevoli che il reddito di cittadinanza e la flat tax rischiano di rimanere sulla carta, ma hanno preferito scegliere l'azzardo, o forse il sogno, a un qualcosa di già visto e provato ma senza effetti reali sulle tasche. Perché alla fine è quello che conta.

Il cittadino vuole arrivare a fine mese, e nell'urna sceglie chi gli promette che potrà stare meglio. A decidere l'exploit di Renzi alle Europee sono stati gli 80 euro in più in busta paga. Questa volta il Pd non è stato in grado di scaldare il cuore degli elettori. Soprattutto dei suoi, quelli che da sempre votavano a sinistra. I dati elettorali del 4 marzo sono impietosi.

In Sardegna i dem si sono fermati sotto la soglia del 15 per cento. Con percentuali ancora più basse nel Nuorese. Un disastro annunciato, se si pensa che in campagna elettorale nell'isola non si è visto neanche un big del partito. Né Renzi né nessun altro. Eppure fino a qualche settimana prima era un via vai di ministri. Minniti, Delrio, Franceschini, Poletti, De Vincenti, Martina, Fedeli, Calenda. Presenze liquidate dall'opposizione come passerelle, anche se è innegabile che nell'isola più di un risultato sia arrivato. Il Patto per la Sardegna ha portato risorse e investimenti.

Il sogno del metanodotto, salvo retromarce a 5 stelle, è a un passo dal diventare realtà. La vertenza Alcoa vede la luce dopo anni di illusioni e rinvii. E anche sulle servitù militari l'isola è riuscita a riprendersi parti (ancora troppo piccole, a onore del vero) da decenni nelle mani della Difesa. Risultati concreti, ma solo fumo per i cittadini che ogni giorno devono fare i conti con il lavoro che non c'è, o al massimo è stato ulteriormente precarizzato dal jobs act, con tasse alle stelle e servizi ridotti al minimo.

Il Sulcis Iglesiente è la provincia più povera d'Italia, il tasso di disoccupazione giovanile supera il 70 per cento (contro la già alta media regionale del 56). C'è fame, insomma. Il lavoro prima di ogni cosa, tanto che pur di avere un reddito garantito si è disposti a ingoiare una fabbrica che produce bombe. E proprio la necessità di uno stipendio, almeno per garantire la sopravvivenza, ha tirato la volata ai 5 stelle. Premiati nonostante - mentre il ministro Calenda chiudeva positivamente la vertenza Alcoa - tutti i suoi candidati si impegnavano ad archiviare definitivamente l'era dell'industria pesante.

Ma il rigetto verso la sinistra parte da lontano. Segno che non ha perso di vista il suo elettorato solo in Italia. In America la classe operaia ha votato Trump, in Inghilterra ha scelto la Brexit, in Francia ha portato Le Pen al ballottaggio. E da noi ha premiato i 5 stelle, molto più della Lega che ha superato la doppia cifra grazie al patto col Psd'Az. A regalare le percentuali più alte al Movimento è stato il Nuorese, l'ex Emilia sarda. In Barbagia il centrosinistra ha sempre viaggiato tra il 50 e il 60 per cento. Il 4 marzo si è fermato al 13, superato anche da Forza Italia. Per il centro Sardegna la disoccupazione è un tunnel senza uscita. Piani e contropiani non bastano alle zone interne per rivedere la luce. E nel frattempo la mannaia statale taglia di tutto e di più: scuole, caserme, uffici postali, ambulatori. E soprattutto risorse.

Oggi i Comuni sono allacanna del gas, non riescono a dare risposte ai cittadini, che però continuano a rivolgersi ai loro sindaci. «Noi siamo dei parafulmini - dice Tito Loi, sindaco di Osini -. Tutto si scarica su di noi, anche perché la Provincia non c'è più e Regione e Stato sono lontanissimi». Regione e Stato che in questi ultimi anni avevano, e nel primo caso hanno ancora, la targa Pd.

«Nel 2011 l'80 per cento dei sindaci aveva una tessera di partito in tasca. Oggi l'80 non la ha più - racconta il presidente Anci Emiliano Deiana, tra i pochi che nonostante tutto fa ancora parte della famiglia Pd -. I partiti hanno smesso di rappresentare le comunità locali». E le comunità locali, piccole e grandi, li hanno puniti. Il Pd più di tutti.

Conte incassa il voto di fiducia «Ora fermezza con l'Europa»
Licenziato protesta sotto casa Di Maio
Operaio della Fca si versa benzina addosso

Licenziati dalla Fiat nel 2014 per aver inscenato davanti ai cancelli
dello stabilimento di Pomigliano il funerale dell'ad Sergio
Marchionne, i cinque operai che hanno ingaggiato una guerra legale
contro l'azienda - ottenendo anche una vittoria - perdono ora ogni
speranza di riottenere il proprio posto di lavoro: la Cassazione ha
accolto il ricorso di Fca e, cancellando la decisione della Corte
d'appello di Napoli che aveva disposto il reintegro, ha stabilito che
il licenziamento per giusta causa è legittimo perché la «macabra
rappresentazione scenica» ha travalicato i limiti della dialettica
sindacale.

Secondo la Cassazione, infatti, neppure la satira «può
esorbitare la continenza» e «le modalità espressive della critica
manifestata dai lavoratori» sono state tali da «ledere definitivamente
la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro».E la sentenza ha
rischiato di avere un epilogo drammatico quando uno dei cinque
lavoratori, Mimmo Mignano, si è incatenato davanti alla casa della
famiglia del vicepremier Luigi Di Maio a Pomigliano d'Arco, e in una
forma di protesta eclatante ed estrema si è cosparso il capo di
benzina. Bloccato dalla forze dell'ordine che lo hanno soccorso,
l'uomo è stato portato in ospedale con forte bruciore agli occhi.
Chiede l'intervento del neo ministro del Lavoro, che tra l'altro oggi
sarà nella sua città per un appuntamento giàprogrammato e potrebbe
incontrare gli operai licenziati.

La battaglia di Mimmo Mignano, con
alle spalle altre duecause per licenziamento, assieme a Marco Cusano,
AntonioMontella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore, aveva
avuto una ribalta anche al Festival di Sanremo di quest'anno, quando
lo Stato Sociale si era presentato sul palco dell'Ariston con il nome
dei cinque appuntati sul rever della giacca in segno di solidarietà.
Dopo il reintegro per due anni gli operai sonostati tenuti fuori
dall'azienda, benché a salario pieno: «Unavita in vacanza» forzata,
appunto, come cantato dai ragazzidella band, che gli operai sono
andati a ringraziare.

M5s-Lega, nodi pensioni e nomine

il punto
di Michele Esposito
ROMA
Un cambiamento prudente che, prima di partire con i primi
provvedimenti, necessita di uno studio approfondito dei dossier e
della delicata concertazione tra M5S e Lega. Il governo , di fatto,
sarà al massimo dell'operatività solo la settimana prossima quando il
premier tornerà dal G7 del Canada. E saranno giorni caldissimi perché,
al di là delle misure d'esordio da mettere in campo, Conte sarà
chiamato a sciogliere l'intricatissimo rebus sulla squadra di
viceministri e sottosegretari, dove sia la corsa all'interno di M5S e
Lega sia quella tra i due partiti di governo è in pieno svolgimento.
Tra i dossier più caldi, al momento, c'è certamente quello delle
pensioni, tema sul quale, relativamente alla Fornero, Conte è stato
non a caso molto cauto.

Lo schema è quello della Quota 100 (o quota
41) che però, con il ricalcolo contenuto nello schema della Lega - con
il contributivo - includerebbe una leggera flessione nell'assegno
finale. Sul tema, in queste ore si sono ricorsi dei rumors su un
carteggio tra i due vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio anche
se il leader della Lega, smentisce seccamente. Il nodo, tuttavia, c'è,
anche perché se M5S e Lega hanno lo stesso obiettivo e la via come
arrivarci a cambiare, con i pentastellati che insistono sulla pensione
di cittadinanza (per quelle minime) e sull'opzione donna. Sul tema,
chiaramente, Conte nella sua replica alla Camera non si è soffermato
ribadendo, in via generica, i principi di metodo e di contenuti che
guideranno il governo.

Un Esecutivo che, entro il 16 giugno, sarà
chiamato ad occuparsi anche delle nomine di Cdp. L'idea del M5S resta
quella di trasformare la Cassa depositi e prestiti in una sorta di
nuova Iri ma non in una Banca d'investimenti, visto che in
quest'ultimo caso l'ente cadrebbe sotto l'egida della Bce. Per la
guida di Cdp, tramontato il nome di Flavio Valeri, in pole, in questi
giorni, c'è Massimo Sarmi, proposto dalla Lega e sul quale il
Movimento potrebbe convincersi. Il fine settimana servirà a M5S e Lega
per fare il punto anche sul «sottogoverno» secondo uno schema studiato
ad hoc per fare in modo che un partito possa controllare le mosse
dell'altro. Ma la partita è tutt'altro che chiusa.

La capogruppo Fi al Senato: Savona ottimo economista ma sbaglia sul no all'euro
Bernini boccia Conte: Sud dimenticato

di Umberto AimewCAGLIARIIl bersaglio è lì, davanti a lei. È quel
governo che il centrodestra mai avrebbe voluto, ma c'è. Capogruppo al
Senato di Forza Italia, Anna Maria Bernini, è in campagna elettorale
per le amministrative, ma parla subito di Matteo Salvini, più che del
premier Giuseppe Conte, e molto anche del Sud. Anzi, prima del
Mezzogiorno: «Nel programma gialloverde non è citato neanche una
volta. Assurdo. Gli hanno dedicato un ministero, ma è senza
portafoglio. Non ha soldi da spendere.

Cosa farà? Purtroppo nulla, se
non un po' di assistenza e l'assistenza non è né lavoro e neanche
infrastrutture. Mentre il Sud ha bisogno di un Piano Marshall a lunga
scadenza. Ma di tutto questo non c'è traccia nel contratto. Non si
parla di Mezzogiorno, figuriamoci della Sardegna». Subito dopo eccola
affrontare il nodo del momento: la crisi dell'alleanza di
centrodestra. Forse lo fa per alimentare, con intelligenza, quello che
dicono da settimane, a Roma: se non ci fosse stata lei, Berlusconi
avrebbe impedito alla Lega di firmare con i Cinque stelle. È questa
donna dal passo leggero, ferma nel parlare, capace di frasi dolci e
pungenti quasi allo stesso tempo, l'ufficiale di collegamento che
continua a tenere insieme la Lega a Palazzo Chigi e il Cavaliere fuori
dal portone.Chi è oggi Salvini?«Il nostro Matteo non è una pecorella
smarrita, continua a essere un ottimo politico.

Siamo stati noi a non
impedirgli di andare al governo. Lo abbiamo deciso, per mettere fine
ai surreali traccheggiamenti degli inaffidabili Cinque stelle».Lo
avete lasciato andare?«Salvini è con noi dal 1994 e con lui governiamo
diverse Regioni, dall'anno prossimo spero anche la Sardegna, e tanti
Comuni. Quelle sì che sono alleanze serie, mentre quest'ultimo
contratto è solo un accordo d'emergenza. Ma al nostro Matteo
suggerisco di vigilare, ogni giorno, perché non ci fidiamo del
populismo, del pressappochismo e dello statalismo altrui».La partenza
di Conte è stata?«Col piede sbagliato.

Del Sud non puoi dire poco o
nulla, o sostenere, come Di Maio, che le etichette non servono, perché
bisogna parlare solo dell'Italia nel suo insieme. No, il Mezzogiorno è
una priorità».La Sardegna anche.«La battaglia per l'insularità in
Costituzione è esistenziale. È l'unica strada per ridurre prima e
cancellare poi le disuguaglianze con la terra ferma».Il solo sostegno
dell'Italia potrebbe non bastare, serve anche quello
dell'Europa.«Prima di tutto: l'Unione è come un telefonino. Non puoi
dire a priori se è buono o cattivo, dipende da come lo usi. In questi
anni, i governi di centrosinistra hanno subito l'Europa,
dall'immigrazione all'economia, e i nostri interessi sono rimasti
schiacciati.

Rinegoziamo bene i trattati, ma che non possono essere
modificati unilateralmente come fanno credere alcuni».Vuole cominciare
da quelli sugli immigrati clandestini? «L'ex ministro Minniti ci ha
messo un pezza, dopo i clamorosi errori commessi dal centrosinistra,
ma non basta. Bruxelles non può ancora lasciare da sola l'Italia,
dobbiamo gestire insieme un fenomeno epocale. Anche qui serve un Piano
Marshall ma per l'Africa, con interventi "a casa loro". Poi d'ora in
poi arrivi e accoglienze vanno condivisi, con quote reali, fra tutti i
Paesi».Agli Affari europei c'è il ministro sardo Paolo Savona.«È un
ottimo economista. Ma non sono d'accordo con lui quando dice che
avremmo solo vantaggi a uscire dall'euro. No, sarebbe l'inizio della
fine».A proposito di ministri: quello per la Famiglia, Lorenzo
Fontana, è contro le unioni gay.

«Lo sanno tutti: ero pronta a votare
la Legge Cirinnà, poi il governo ha messo la fiducia e c'è stato il
mio passo indietro. Sia chiaro: le famiglie arcobaleno sono un dato di
fatto, occorre prenderne atto. Vado oltre: Fontana non provare a
imporre il tuo credo al resto del mondo».Forza Italia ha scelto il
candidato per le Regionali del 2019?«No, dobbiamo parlare ancora con
gli alleati, compreso il nostro Matteo Salvini». Deciderà
Berlusconi?«Rispondo con una battuta: se il prescelto dovesse vincere,
come sarà, allora Berlusconi si prenderà il merito. Se dovesse
perdere, dirà che altri gli hanno suggerito un nome sbagliato».

Unione Sarda

Manca (Pd): superficialità disarmante. Cabras (M5S): Bruxelles ci
rispetta già di più
I sardi di FI: «Il premier ha dimenticato il Sud»

Il governo Conte ha già fatto cambiare l'atteggiamento dell'Europa
verso l'Italia, anche perché il discorso programmatico del premier ha
spazzato via le «paure artificiali» alimentate ad arte, dallo spread
al fascismo fino all'attacco ai diritti civili: lo afferma Pino
Cabras, deputato sardo del M5S, in occasione della fiducia delle
Camere per il nuovo esecutivo.

Gli oppositori del presidente del Consiglio, scrive Cabras su
Facebook, «hanno combattuto una battaglia aspra per imporre nel
discorso pubblico la loro interpretazione» del governo del
cambiamento: imperniata appunto su quei timori, spread in testa.
Invece «in nemmeno una settimana si è totalmente rovesciato il
messaggio dei padroni del discorso europeo, le personalità che contano
si sono scatenate a fare autocritica rispetto all'Italia, a
rimangiarsi ogni rigidità», perché «si è rotto il blocco di interessi
che poteva consentire uno scenario greco» per l'Italia.

Molto severo invece il giudizio dei deputati di Forza Italia Ugo
Cappellacci e Pietro Pittalis sulle dichiarazioni programmatiche: «Nel
passaggio dalla campagna elettorale al governo il M5S, che esprime il
presidente del Consiglio, dimentica il Sud e le isole. Chi, come noi,
ha ascoltato le sue parole senza pregiudizi, è rimasto deluso perché
si è trovato dinanzi a un'approssimazione e una superficialità
disarmante su tutti i temi toccati, che possono essere spiegate solo
con una profonda incompetenza».

Tanto da sembrare, aggiungono, «una
creatura a metà tra un marziano e uno che passa lì per caso».
Anche secondo il deputato del Pd Gavino Manca Conte ha pronunciato
«tante frasi generiche, una superficialità disarmante e un'assoluta
mancanza di concretezza. Nessun elemento utile per capire come attuerà
il suo programma. Come farà convivere flat tax, reddito di
cittadinanza e riforma delle pensioni? Dove sono le coperture
finanziarie? Presidente Conte, la campagna elettorale è finita»,
conclude Manca: «Non lasciateci con la sensazione che non sappiate da
dove iniziare».

Conte, arriva il secondo sì«Ora trattiamo con l'Ue» Conflitto
d'interessi, è caos

ROMA Rispetto al discorso di martedì al Senato, ha colmato le lacune e
dissipato qualche dubbio.
E con 350 sì contro 236 no, 35 astenuti e 4 voti in più del previsto,
il premier Giuseppe Conte incassa la fiducia anche a Montecitorio.
«Col voto di oggi parte il governo del cambiamento, parte la terza
Repubblica, come avevamo promesso ai cittadini», spiegherà più tardi
ai cronisti Luigi Di Maio, forse anche per non lasciare al solito,
torrenziale Salvini tutta l'ampia parte di proscenio lasciata libera
dal premier.

«PUPAZZO» E quest'ultimo, comunque, rispetto alla performance di
Palazzo Madama sembra metterci più del suo, nonostante Graziano Delrio
si auguri «che non faccia il pupazzo in mano ai partiti». Il il
capogruppo del Pd, in realtà, gli dice anche di peggio, ricordando
all'autocertificato premier populista che «in nome del popolo in
questo Paese sono stati commessi delitti orrendi, approvate leggi
razziali, in Europa sono stati commessi genocidi. Tutti i grandi
dittatori lo fanno in nome del popolo. Parlo della storia e non di
voi».

«RINSAVISCA» Dall'altro lato dell'emiciclo ecco Giorgia Meloni,
benevolmente astenuta con i suoi Fratelli d'Italia: «Ho sentito dire
che lei in passato si è definito un uomo di sinistra, mi auguro che in
questi anni sia rinsavito perché l'unica cosa di cui l'Italia non ha
bisogno è un altro governo di sinistra».

SUD E GIUSTIZIA L'Italia, spiega in aula il nuovo premier, ha bisogno
«di agricoltura, di promozione del made in Italy, una serie di profili
di attività che vanno integrati, non si può agire in compartimenti
stagni». Quanto al Meridione, «avere un ministro è stato un gesto di
grande attenzione». Sulle infrastrutture «non ci sottrarremo agli
investimenti», sulle banche «stiamo valutando se sia opportuno
distinguere tra banche di credito e banche di investimento». Sulla
giustizia, che oggi «è diventata censitaria», perché solo chi «ha i
soldi riesce a difendere bene le proprie ragioni». Conte giudica
«impropria» la divisione tra giustizialismo e garantismo.

VIVA LA NATO Gli hanno rimproverato di non aver parlato di pace ma
«non mi pare che nel contratto di governo ci siano propositi
bellicisti». E spiega: «Siamo nella Nato e vogliamo rimanerci». Il
reddito di cittadinanza sarà progettato «modo molto oculato e
articolato», ribadisce, mentre sul debito «l'obiettivo è una discesa
progressiva» ma «questo governo ha l'ardire di poter anche promuovere
delle nuove politiche economiche».

Quanto a Bruxelles, «vogliamo
sederci al tavolo con i partner europei e ci auguriamo di avere la
fermezza e la risolutezza per essere ascoltati». Come già in Senato,
il premier punta alla correttezza dei rapporti con le istituzioni e le
opposizioni, ringrazia ancora Mattarella ed esprime dispiacere per gli
attacchi sui social «a un suo congiunto» (e Delrio lo rimbecca: «Si
chiamava Piersanti, era il fratello»), e su un tema come la lotta alle
mafie ribadisce tra gli applausi che bisogna essere «tutti uniti».

LO SCIVOLONE Ai suoi predecessori Conte riconosce dei meriti, assicura
che sulla legge sui beni confiscati «nessuno si permette di
disconoscere quanto fatto sin qui». Sull'immigrazione «vedo in aula il
ministro Minniti che ha ricevuto apprezzamenti dalle forze politiche
della maggioranza», e «anche per la buona scuola, abbiamo dialogato
con tanti stakeholders, ci sono criticità su cui intendiamo
intervenire». Dai banchi del Pd si levano comunque sbuffi e grida,
fino a quando il premier non scivola sul conflitto di interessi
rivolgendosi a «voi che protestate» perché «queste interruzioni
dimostrano che ciascuno ha il piccolo conflitto d'interesse da
risolvere».

È bagarre, ma «sono stato frainteso, non sto accusando nessuno, ma
dico che è negli interstizi della società a qualsiasi livello». E
comunque «questo esecutivo oltre al contratto di governo ha presente
la Costituzione». E dunque nessun pericolo, «iscriveremo tutte le
nostre iniziative sotto la lettura costituzionale, che è anche la
Carta europea dei diritti fondamentali, il sistema della Corte europea
dei diritti dell'uomo, un'architettura sovranazionale e internazionale
in cui siamo comodamente collocati e ci stiamo confortevolmente».

Il ministro leghista chiarisce: ci saranno assunzioni e aumenterà il
denaro in circolo. Salvini: «Chi fattura di più risparmierà e reinvestirà»

ROMA «L'importante è che ci guadagnino tutti». Il ministro
dell'Interno e vicepremier Matteo Salvini spinge il piede sulla Flat
tax, perno della riforma fiscale del governo gialloverde. Il suo
ragionamento è semplice: «Se uno fattura di più, risparmia di più,
reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in
più, e crea lavoro in più. Il nostro obiettivo è che tutti riescano ad
avere qualche lira in più nelle tasche da spendere», insiste.

ATTACCO A SALVINI Ma le sue parole, sintetizzate in alcuni titoli con
«è giusto che chi fattura di più paghi meno tasse» infiammano la
polemica. Il Pd insorge. «Stiamo giocando con le parole. Se la Flat
tax è per le imprese, c'è già dal 1973 e c'è anche l'Iri per il
reddito di impresa», dice il deputato Luigi Marattin. «Se volete fare
la Flat tax per le famiglie, dalle simulazioni si capisce che se si
passa all'Irpef a due aliquote, che non è una Flat tax, si otterranno
guadagni per i contribuenti da zero a 20%. Peccato che i più poveri
avranno zero e i più ricchi il 20».

Il presidente dem Matteo Orfini twitta: «Finalmente hanno detto la
verità. A questo serve la annunciata rivoluzione fiscale, a far
guadagnare chi è più ricco. A danno di tutti gli altri». E anche l'ex
ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan è perplesso: «Bisogna tassare
meno i ricchi perché così spendono di più? Non mi è chiara la logica
economica».

IL CHIARIMENTO Salvini spiega: «Anche un bimbo di 5 anni arriva a
capire che chi fattura di più risparmia di più e reinveste di più.
L'obiettivo non è aiutare chi fattura di più, ma tutti», aggiunge.
Sulla progressività il vicepremier spiega: «Ci sono le deduzioni che
garantiranno a chi non paga oggi di continuare a non pagare, ma in
Italia il denaro deve tornare a circolare», insiste. Sulla
progressività torna anche il premier Giuseppe Conte: «Abbiamo
declinato un sistema di detrazioni e ci sarà un sistema di no tax
area, confidiamo quanto prima di portare avanti un progetto di
riforma».

Polemica sui tagli alle entrate ma Lega e M5S difendono la riforma
Flat tax, scontro nell'Isola Erriu: rischiamo il default

«Se sarà attuata la Flat tax, conti alla mano la Sardegna andrà in
default». Come aveva fatto nei giorni scorso Gianfranco Congiu,
capogruppo del Pds in Consiglio regionale, anche l'assessore
all'Urbanistica ed Enti locali Cristiano Erriu prefigura uno scenario
inquietante. «La Regione avrà una riduzione del gettito delle entrate
che non ci consentirà neppure di sostenere i costi della Sanità.
Scordiamoci anche il fondo unico per gli Enti locali che fa funzionare
i servizi base dell'istruzione e dell'assistenza sociale nei Comuni
sardi», è il pensiero di Erriu.

LA PROPOSTA DEL GOVERNO Nel dibattito pubblico che si è sviluppato
sulla proposta di riforma fiscale contenuta nel contratto di governo -
due aliquote del 15 e 20%, deduzione di 3000 euro per le famiglie, no
tax area per i redditi bassi - le critiche si sono concentrate su tre
punti: favorirebbe i ricchi e non darebbe alcun vantaggio ai poveri e,
dunque, amplierebbe il divario sociale; non avrebbe copertura
finanziaria e violerebbe l'articolo 53 della Costituzione che prevede
la tassazione progressiva a seconda del reddito.

«RIFORMA POSITIVA» Guido De Martini , deputato leghista, invita a non
trarre conclusioni affrettate. «Bisogna ancora vedere se davvero ci
saranno due aliquote o sarà solo una, se ci saranno differenze tra
imprese e famiglie. Sono certo, però, che lo staff economico della
Lega, cioè Borghi, Bagnai e Siri, ha studiato la cosa giusta e che non
ci sarà il problema delle coperture. Quanto alla Sardegna, sono sicuro
che non ci saranno problemi».

«NESSUNA VIOLAZIONE» Elvira Evangelista , senatrice del Movimento
Cinquestelle, entra nel merito.
«Non c'è violazione dell'articolo 53 della Costituzione né verrebbero
meno le imposte trasferite alle Regioni dallo Stato. E spiego perché:
le due aliquote fisse sarebbero mitigate dalle deduzioni, e comunque
l'aliquota fissa oggi già prevista per le imprese (escluse le società
di persone) è più alta. Inoltre perché l'articolo 8 dello Statuto
sardo, la legge di finanza locale del 1999 ed infine la riforma
dell'articolo 119 della Costituzione hanno già drasticamente ridotto i
trasferimenti statali a favore di una sempre maggiore autonomia
fiscale degli enti locali che devono reggersi sulla base di imposte
proprie. Ecco perché la riforma fiscale così come proposta dal governo
Conte non andrebbe a nuocere in alcun modo sulle finanze locali ed in
particolare regionali e tanto meno sulla parte della spesa pubblica
destinata alla Sanità, già alimentata dalle addizionali».

PD ALL'ATTACCO Sul fronte del Pd tutte le anime hanno idee diverse:
«La Flat tax è un'operazione demagogica, retrograda e pericolosa
perché accentua le disuguaglianze e mette a rischio la sostenibilità
della spesa pubblica e dei servizi ai cittadini», sostieneGiuseppe
Luigi Cucca , senatore dem e segretario regionale del partito. «La
progressività del nostro sistema fiscale è un pilastro da
salvaguardare se vogliamo una società più giusta che garantisca la
parità dei diritti fondamentali, quali la salute e l'istruzione, e
tuteli le fasce deboli. Lo spettro della peggiore destra si aggira nel
nostro Paese e lo contrasteremo con tutte le forze».

FI, MEGLIO L'ALIQUOTA UNICA Ugo Cappellacci difende l'aliquota unica
da tempo nei programmi del centrodestra e attacca il Pd: «Dopo aver
smantellato la Sanità e buttato dalla finestra miliardi di euro delle
Entrate, il Pd è poco credibile come custode della salute e del
salvadanaio dei sardi. Secondo noi invece abbassare le tasse significa
aumentare i consumi, le produzioni e con esse i posti di lavoro. Nel
contratto di governo l'idea della Flat tax è un po' annacquata, noi
difenderemo la proposta del centrodestra: un'aliquota unica al 20% e
niente tasse per i redditi sotto i 13 mila euro».

ATTACCI AI PARLAMENTARI SARDI Andando più a sinistra, il discorso
cambia poco. «La Flat tax è un abito cucito su misura delle regioni
del nord, dove si concentrano i redditi più alti e ci sono meno
necessità sociali», spiega Francesco Agus (Cp). «Mi chiedo se i
parlamentari sardi che hanno votato, senza fiatare, la fiducia al
Governo Conte abbiano mai letto lo Statuto Sardo.

Forse ignorano che,
per effetto dell'articolo 8, oltre 1,7 miliardi di euro nel bilancio
regionale derivino dai 7/10 dell'Irpef riscossa in Sardegna e che
quelle entrate siano necessarie per coprire le spese per sanità e
trasporti. Con l'aliquota unica a fronte di una minoranza che ci
guadagnerebbe, la Regione sarebbe costretta a tagliare tutto. Poco
male per chi ha un alto reddito in grado di permettersi sanità e
scuole private, una catastrofe per tutti gli altri».
Fabio Manca

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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