venerdì 22 febbraio 2019

L'intento didattico dell'insegnante di Foligno. Di Elisabetta Piccolotti



La tesi difensiva dell’insegnante di Foligno, quella per intenderci dell’esperimento sociale, non mi pare sostenuta da alcuna evidenza: non combacia con ciò che sappiamo dei racconti dei bambini, non aderisce alle convinzioni dei genitori di cui la stampa ha raccolto le testimonianze, e non mi pare sia stata giudicata corretta nemmeno dal Ministro dell’Istruzione, che spero ne sappia più della sottoscritta e ha provveduto a sospenderlo. 

Non c’è nessun esperimento sociale che possa giustificare l’utilizzo dell’unico bambino di colore di una classe, un bambino che dice di essere stato inconsapevole, come cavia. E risulta piuttosto difficile credere che il supplente abbia svolto l’esperimento in classi diverse, determinando diversi episodi di umiliazione contro almeno due diversi bambini, entrambi di colore. Non c’è nessuna ragione possibile, tra quelle accettabili, per episodi del genere in classi di scuola elementare

L’insegnante ha il diritto di difendersi come crede di fronte alle conseguenze del suo gesto, c’è un procedimento giudiziario e saranno i giudici a stabilire l’esito della vicenda. Non tocca a me, non tocca all’opinione pubblica, stabilire perché l’ha fatto. A me basta la certezza che deriva dall’analisi delle stesse parole dell’insegnante, quelle in cui si giustifica parlando dell’esperimento:
anche volendo credere ad ognuna di esse si deve subito trarne la conclusione che quell’educatore pare non avere le caratteristiche professionali, la cultura pedagogica e l’equilibrio per entrare ogni mattina in una scuola ed insegnare a dei bambini.

È per questo che voglio ringraziare i genitori che hanno sollevato il caso su face book, molti giorni dopo l’accaduto e dopo aver raccolto le testimonianze di altri bambini oltre che quelle del proprio figlio: perché dal 9 febbraio fino a ieri quell’insegnante è rimasto inspiegabilmente in classe, invece di essere subito sospeso in via cautelativa, in attesa di accertare ogni dettaglio, come credo sarebbe stato invece giusto.
La celerità delle procedure, in casi come questo, dipende dall’attenzione mediatica che la vicenda solleva? Perché? 

Questa è la domanda che mi faccio oggi e che faccio alle istituzioni, anche quelle della mia città. Ieri la Vice Sindaca Barbetti ha scritto sui social che “disprezza” coloro che emettono sentenze senza conoscere esattamente i fatti. Disprezza i genitori che hanno dato visibilità mediatica all’accaduto? Disprezza i giornalisti? Disprezza i politici che si sono occupati del caso interrogando il Ministero? Quali sono i fatti che non si conoscono? Quelli che la stampa riporta sono sbagliati? 

Se le istituzioni cittadine hanno informazioni diverse da quelle che ha l’opinione pubblica ci aiutino a capire. Nello stesso post non c’è nemmeno una parola di solidarietà con i bambini - tutti, non solo quelli umiliati e derisi - che nel migliore dei casi sono stati vittime della condotta inaccettabile di un insegnante non all’altezza del suo mestiere.

Credo in tutta franchezza che le istituzioni democratiche della città dovrebbero comportarsi diversamente. Con equilibrio, certo, ma avendo cura che la propria comunicazione istituzionale comunichi ciò che è giusto, ovvero che prima di tutto ci si occupa della dignità, del benessere e della corretta educazione dei bambini e poi ci sarà tempo e modo di discutere di tutto il resto.

Elisabetta Piccolotti

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