venerdì 8 febbraio 2019

Semus Totus Pastores, di Francesco Casula




Perché difendo i Pastori? Perché, incondizionatamente sono a fianco dei pastori e della loro sacrosanta lotta? Per motivi certamente affettivi: Perché era pastore mio padre (e i miei parenti) e so quanto era dura la sua vita. Ma anche – per non dire soprattutto – perché - sena pastores e sena pastoriu, si-che morit sa Sardigna intrea. Senza la pastorizia la Sardegna si ridurrebbe a forma di ciambella: con uno smisurato centro abbandonato, spopolato e desertificato: senza più uno stelo d’erba. Con le comunità di paese, spogliate di tutto, in morienza.

Di contro, con le coste sovrappopolate e ancor più inquinate e devastate dal cemento e dal traffico. Con i sardi ridotti a lavapiatti e camerieri. Con i giovani senza avvenire e senza progetti. Senza più un orizzonte né un destino comune. Senza sapere dove andare né chi siamo. Girando in un tondo senza un centro: come pecore matte. Una Sardegna ancor più colonizzata e dipendente. Una Sardegna degli speculatori, dei predoni e degli avventurieri economici e finanziari di mezzo mondo, di ogni risma e zenia. Buona solo per ricchi e annoiati vacanzieri, da dilettare e divertire con qualche ballo sardo e bimborimbò da parte di qualche “riserva indiana”, peraltro in via di sparizione.

Si ridurrebbe a un territorio anonimo: senza storia e senza radici, senza cultura, e senza lingua. Disincarnata e sradicata. Ancor più globalizzata e omologata. Senza identità. Senza popolo. Senza più alcun codice genetico e dunque organismi geneticamente modificati (OGM). Ovvero con individui apolidi. Cloroformizzati e conformisti.

Una Sardegna uniforme. In cui a prevalere sarebbe l’odiosa, omogenea unicità mondiale: come l’aveva chiamata David Herbert Lawrence in Mare e Sardegna. Si avvererebbe la profezia annunciata da Eliseo Spiga, che nel suo potente e suggestivo romanzo Capezzoli di pietra scrive: “Ormai il mondo era uno. Il mondo degli incubi di Caligola. Un’idea. Una legge. Una lingua. Un’eresia abrasa. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Un nuragico bruciato. Un barbaricino atrofizzato. Un’atmosfera lattea. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda. Villaggi campagne altipiani livellati ai miti e agli umori di cosmopolis”. Sarebbe un etnocidio: una sciagura e una disfatta etno-culturale e civile,prima ancora che economica e sociale. Apocalittico e catastrofista? Vorrei sperarlo

                                                                                                Di Francesco Casula

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