giovedì 17 novembre 2016

Bersani: il Sì porterebbe instabilità Se perde Matteo può restare, anche se un po’ acciaccatino



L’ex segretario del Partito Democratico e la sfida a distanza col premier: «Il no al referendum è un time out, un anno di tregua. Il risultato ottenuto da Donald Trump dice che l’onda è ormai quella. È successo negli Usa e così andrà da noi il 4 dicembre»

«Quando ci sono andato io in Sicilia, i posti a sedere erano sempre un terzo delle persone in piedi...». La sfida tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi procede anche a distanza, con il premier impegnato fino a ieri nel suo tour siciliano per la rimonta del Sì e l’ex segretario che, da un divanetto di Montecitorio, pregusta la vittoria del No: «Il risultato di Trump dice che l’onda ormai è quella. È successo negli Stati Uniti l’8 novembre e così andrà da noi il 4 dicembre». Anche gli italiani voteranno con la pancia? «La gente vota con la testa». Ed è per questo, teorizza Bersani, che la riforma alla quale Renzi ha legato le sorti del governo verrà bocciata.

«Vince Grillo?»
Sono le tre del pomeriggio, dall’Aula sbuca Alessandro Di Battista e si ferma a omaggiare Bersani: «Ciao Pier Luigi, noi ci stiamo facendo un mazzo così per il No! Di più non si può fare, davvero». La pacca sulla spalla con cui il leader della minoranza dem ringrazia la «star» del M5S dice che anche lui ce la sta mettendo tutta per sbaragliare il fronte del Sì, convinto com’è che la vittoria di Renzi consegnerebbe l’Italia al caos e i mercati finanziari alla speculazione: «Il 5 dicembre comincerebbe la corsa verso le urne e il mondo intero si farebbe la stessa domanda, “e adesso che succede, vince Grillo?”».

«Il No è il time out» Dunque Bersani fa suo l’allarme dei renziani e lo ribalta, presentando il No come argine ai populisti e alla destra xenofoba. «Il Sì porta instabilità, il No invece è il time out, è un anno di tregua in cui, buttato a mare l’Italicum, fai le leggi elettorali per Camera e Senato, plachi il Paese e ti riorganizzi». Con l’attuale premier, o senza? «Dunque — e qui gli scappa qualche parola in “bersanese” — Se vince il No per me Renzi può anche restare a Palazzo Chigi, magari un po’ acciaccatino... Io non ho problemi, basta che stiamo meno chiusi, meno comandini, meno arroganti e meno inchinati. Se invece Renzi se ne vuole andare, sarà il presidente Mattarella a decidere il da farsi». E c’è una cosa, tra le tante, che Pier Luigi non perdona a Matteo.

L’aver «esposto» il Pd e il governo «fino a un punto di non ritorno» sulla riforma costituzionale, dando al referendum il peso di una elezione di metà mandato: «È stato un errore gigantesco, perché non siamo un Paese di costituzionalisti e molti italiani non voteranno sulla riforma, ma su altro». Se è così, perché voi della minoranza non date una mano per salvare il salvabile? «Il dentifricio dentro il
tubetto non si può rimettere».

«Troveremo il nostro Belotti» Ovviamente nel gioco dell’oca che l’ex segretario ha in mente c’è una casella anche per il congresso del Pd, destinato ad aprirsi il giorno dopo. La minoranza non ha ancora un candidato, eppure Bersani ostenta ottimismo e azzarda una metafora calcistica: «La nazionale di Ventura ce l’abbiamo dentro, vedrete che il nostro Belotti lo troviamo».

Enrico Rossi è in corsa da mesi, unico sfidante di Renzi ufficialmente in campo. Ma il presidente della Toscana non è, per Bersani, il Bernie Sanders italiano. «Troppo mediatore... Io dico che Sanders avrebbe fatto una figura migliore della Clinton».

Serve più sinistra, anche in Italia? «Il Pd deve stare largo con le alleanze, altrimenti se ci passa un giovane Prodi sotto i piedi rischiamo di non vederlo».

Trump figlio della globalizzazione

La valanga Trump non ha colto di sorpresa Bersani, che da mesi aveva fiutato il vento: «La destra non è un partito, è un’area. Trump è il prodotto della crisi della globalizzazione, è il frutto delle diseguaglianze. Lui ha detto agli operai “io vi difendo” e loro lo hanno votato, perché la sinistra non li difende più». E quando si voterà in Italia, chi sarà l’avversario del Pd? Il Movimento di Grillo, o la destra di Salvini? «Io lo dico da un anno — conclude Bersani, tradendo preoccupazione e amarezza —. Adesso Berlusconi, Salvini e gli altri sono divisi, ma quando sarà il momento si faranno trovare uniti. A Pordenone, Trieste e Monfalcone ha vinto il centrodestra, giusto?».

Ecco l’incubo che turba le notti di Bersani, mentre fuori dai nostri confini e dentro monta la rabbia di chi non arriva a fine mese. La «mucca nel corridoio» di cui parla l’ex segretario è la «nuova destra» che bussa alle porte dell’Occidente, «cattiva, xenofoba e razzista». Un fenomeno che solo una «nuova sinistra» può fermare.

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Federico Marini

skype: federico1970ca

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