lunedì 14 novembre 2016

Rassegna Stampa 14 Novembre 2016. - "L'elettorato di sinistra cerca rappresentanza" - "Indipendentisti riuniti Prove di dialogo tra partiti" - "Gli indipendentisti cercano l'unità «Tuteleremo gli interessi dell'Isola»"

La Nuova

L’ELETTORATO DI SINISTRA CERCA RAPPRESENTANZA

La vittoria di Trump. La Brexit prima, la Francia forse consegnata alla Le Pen poi. Le onde lunghe della globalizzazione sembrano flagellare le due sponde dell’Atlantico, annunciando una drammatica crisi di rappresentanza. Anche nell’era globale la democrazia resta, infatti, ancorata al livello locale. Si vota per selezionare leadership nazionali ma il loro potere di governare i fenomeni globali è sempre meno incisivo. Così i ceti sociali che per diversi motivi si sentono esclusi o in via di declino, e temono un futuro caratterizzato da incertezza e insicurezza, votano contro.

A venire puniti sono innanzitutto leader e partiti che sembrano assecondare la globalizzazione, mentre premiati sono quelli che, magari demagogicamente e attraverso illusorie scorciatoie, promettono di porre fine a quello stato delle cose. Significativa la reazione degli elettori, tradizionalmente democratici, della Rust Belt, la cintura della ruggine, che dalla costa est dell’Atlantico sino agli stati del Midwest è stata a lungo la fucina dell’acciaio americano.

Un’area disseminata di fabbriche abbandonate già divenute archeologia industriale, svuotata dalla concorrenza cinese e dalla decisione del capitale americano di investire in finanza anziché in produzione: del resto, il capitalismo globale non si pone più il problema del rapporto e della responsabilità verso il territorio. Un’area in cui non manca tanto il lavoro ma nella quale il lavoro si è irrimediabilmente degradato, precarizzato, divenendo un insieme di Mcjobs, di lavori discontinui e sottoqualificati. Un mutamento che ha indotto molte ex-tute blu che votavano democratico a scegliere Trump.

Privi di un lavoro stabile, orfani del sindacato e di forze politiche capaci di dare loro voce, hanno abbandonato la Clinton, spalancando la porta della Casa Bianca a Trump. Il fatto di essere un outsider ha contato più del suo essere miliardario: una storia che noi italiani conosciamo bene. La Clinton è infatti apparsa al “popolo della ruggine” come l’esponente di quell’establishment che ha sempre lisciato il pelo alla globalizzazione.

Un episodio degno di una nuova, rancorosa, pastorale americana, che conferma ciò che da tempo è visibile in Europa. La globalizzazione ha prodotto sia l’impoverimento delle classi medie, sia la marginalizzazione di quella che un tempo si chiamava classe operaia, dispersa e stravolta nell’identità per mancanza di base produttiva. 

La crescita della diseguaglianza, dell’incertezza e della sensazione di vulnerabilità, amplifica la secessione dei ceti sociali che avevano sempre guardato a sinistra confidando nella sua capacità di proteggerli. I partiti di sinistra o di centrosinistra si trovano così di fronte al problema dell’erosione e della ricollocazione del loro blocco sociale storico. Trasformatisi in pragmatici partiti pigliatutto che guardano al centro, hanno perso di vista un pezzo importante del loro elettorato, che ora cerca rappresentanza altrove.

Un fenomeno tanto più problematico perché si accompagna a altri effetti concomitanti della globalizzazione: la crisi del welfare, sempre più fiscalmente insostenibile in un mondo che deve contrarre la spesa pubblica per competere nel mercato dei titoli del debito pubblico; la percezione che i crescenti flussi migratori producano non solo dissonanza culturale ma anche concorrenza sul mercato delle risorse scarse dello stato sociale. La questione della rappresentanza sociale degli scontenti o degli sconfitti della globalizzazione, fascia che diventa sempre diviene più estesa, diviene così centrale per chiunque voglia governare. Insieme alla capacità di rispondere alle nuove fratture che attraversano la società contemporanea.

Quelle fra chi appartiene ai ranghi delle élite mobili e chi deve restare incatenato al territorio; tra liberisti e protezionisti; fra multiculturalisti e comunitaristi etnonazionali. La sfida passa anche per questi scomodi binari.

Indipendentisti riuniti Prove di dialogo tra partiti

A Bauladu primo confronto tra una parte delle sigle della galassia sardista Collu, Progres: abbiamo il dovere di proporre un’alternativa ai nostri giovani

BAULADU Parte da Bauladu, culla storica del sardismo, l’idea di “Indipendetzia” così come la concepiscono i rappresentanti di alcune delle sigle più note dell’indipendentismo sardo. Un progetto di governo alternativo ai partiti italiani. A distanza di circa un mese dal lancio dell'idea, Progetu Repùblica de Sardigna (ProgReS) ha riunito nel piccolo centro dell'oristanese i movimenti che si riconoscono in questa linea: il Fronte Indipendentista Unidu, Gentes, Sardigna Libera e Sardigna Natzione Indipendèntzia.

Tutti hanno sottolineato che il percorso intrapreso è aperto a chiunque condivide i principi fondamentali esposti durante l'assemblea, ovvero la radicale antitesi ai partiti italiani e la difesa degli interessi nazionali sardi. Nel suo intervento Gianluca Collu, segretario nazionale di ProgReS, ha parlato del difficile momento che sta attraversando la Sardegna. «Circa 80mila giovani sardi non studiano e non lavorano. In questa situazione abbiamo il dovere di proporre ai sardi un'alternativa di governo che abbia come unico orizzonte la Sardegna – dice –. Questo progetto è aperto a tutti i sardi, non solo a chi è indipendentista ma a chi agisce da indipendentista.

Sulla stessa lunghezza gli interventi di Bustianu Cumpostu, Sni, Cristiano Sabino, Fiu e Gianfranco Sollai, Gentes. Forte l'invito ai sardi a partecipare e a unirsi. «Oggi siamo qui per parlare di un nuovo corso – continua Collu – un cammino condiviso di unità. Da oggi andremo nelle nostre comunità per mettere radici forti e far crescere una vera alternativa alla situazione attuale».

In calendario una serie di incontri territoriali per illustrare il percorso di costruzione di uno spazio politico inclusivo che punta alla realizzazione di un progetto di governo alternativo ai partiti italiani. Tutti i partiti e i movimenti hanno sottolineato che il percorso intrapreso è aperto a chiunque condivide i principi fondamentali esposti durante l’assemblea, la radicale antitesi ai partiti italiani e la difesa degli interessi nazionali sardi. Alle domande sulla posizione che gli indipendentisti assumeranno nel referendum costituzionale del 4 dicembre, Cumpostu ha risposto che non andrà a votare. Collu ha precisato che lascerà i suoi liberi di andare o no a votare.

di Piero Marongiu

Unione Sarda

Alleanza tra Progres, Sardigna Natzione, Fronte Unidu e Gentes. Sardigna Libera: sì a Sa Mesa Gli indipendentisti cercano l'unità «Tuteleremo gli interessi dell'Isola»

Le anime indipendentiste dell'Isola si uniscono attorno a un progetto politico alternativo-nazionalitario in vista delle elezioni regionali del 2019. Progres, Sardigna Natzione, Fronte Indipendentista Unidu e Gentes battezzano la nuova alleanza a Bauladu e si propongono di governare l'Isola afflitta dalla crisi, e succube del sistema partitico nazionale.

Mancava Sardigna Libera ma Claudia Zuncheddu, nell'inviare il saluto ai partecipanti, appoggia il tavolo politico, mesa per dirla con i sovranisti, che mette in campo indipendentismo, libertà e autodeterminazione. «Io su queste tematiche sono pronto per una alleanza politica concreta», spiega Cristiano Sabino di Fiu.

NON UN PARTITO UNICO Ma non ci sarà una unione degli indipendentisti per un partito unico e tantomeno un partito egemone, precisa Bustianu Cumpostu di Sardigna Natzione, bensì «stiamo facendo sistema dove mettere in campo tutte le espressioni cuturali, sociali e identitarie per l'obiettivo comune: presentarci come alternativa politica allo status quo. Abbiamo l'obbligo morale di contrapporre allo stato la nostra anima sarda: la consapevolezza dell'identità».

L'EMERGENZA SARDA Un progetto politico unitario per far fronte alle emergenze della nostra Isola, sottolinea Gianluca Collu di Progres: «Spopolamento, basso tasso di fertilità, nuova ondata migratoria, fuga di cervelli, ottantamila Neet: giovani che non studiano e non lavorano». A questa sfiducia generalizzata «ci proponiamo di dare risposte, cercando di consegnare una speranza al popolo sardo, scardinando le basi del sistema politico attuale che governa la Sardegna».

UN TAVOLO SARDO Un tavolo o spazio aperto a tutti, indipendentisti e non, ma con i diktat: «Nessuna alleanza con partiti italiani e di governo, e agire da indipendentisti per tutelare gli interessi della Sardegna», incalza Collu. Sabino intravede un barlume di speranza: «Il ghiaccio che tiene il potere partitico nazionale si sta rompendo, noi dobbiamo esser pronti con la nostra alternativa nazionale e avere l'appoggio del popolo, che ci deve sostenere per difendere insieme i nostri figli, scolari e lavoratori, per costruire un futuro sociale ed economico che sia gratificante per tutti nell'Isola».

UNA POLITICA NUOVA Gianfranco Sollai di Gentes propone due possibilità per il progetto alternativo: «Tornare a far politica dal basso, amministrando le piccole comunità a stretto contatto con il popolo per accrescere la consapevolezza unitaria e identitaria. Quindi, non salire sul carro dei partiti politici italiani, ma proporre un'alternativa nazionale, l'unica strada percorribile per il futuro della Sardegna. Vogliamo entrare nella dimensione della globalizzazione e non per omologarci ma per proporre nostra cultura ed economia nel contesto mondiale».

IL REFERENDUM Uniti per il progetto politico comune ma divergenti sul referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo. Sollai voterà no, perché «perderemo quel poco di autonomia che ci rimane». Collu lascia libertà di voto ma precisa che «il nostro voto, anche negativo non cambierà lo status quo, il peso elettorale sardo purtroppo è poco influente a livello referendario». Cumpostu invece sostiene che «non è l'argomento all'ordine del giorno, meriterebbe un'analisi più approfondita a prescindere da questo incontro odierno».

Infine Sardigna libera, col messaggio di Claudia Zuncheddu, ribadisce il proprio no: «Se dovesse vincere il sì, incomincerà la fine di qualsiasi forma di autonomia».
Joseph Pintus



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Federico Marini

skype: federico1970ca

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