domenica 20 novembre 2016

Rassegna stampa 20 Nobembre 2016. Il sindaco di Cagliari divorzia dagli ex compagni di Sel. - REFERENDUM, SONDAGGI E DOPO-VOTO. di FABIO BORDIGNON - L’accoglienza non si ferma: l’isola prepara nuovi centri di Claudio Zoccheddu - Il ministro Martina: il Sì farà crescere l’isola di Alessandra Sallemi

La nuova Sardegna

Il sindaco di Cagliari divorzia dagli ex compagni di Sel. Con lui Uras, Firino e Cocco Zedda: resto nel centrosinistra

SASSARI Cronaca di un divorzio annunciato. Massimo Zedda non segue gli ex compagni di Sel in Sinistra italiana e resta nel centrosinistra alleato al Pd. Da mesi il sindaco di Cagliari aveva detto di non essere interessato al nuovo progetto di sinistra autonoma, ma ieri è arrivata l’ufficialità. «Prendiamo atto della decisione di sciogliere Sel assunta dai compagni che intendono costituire Sinistra Italiana. Lo facciamo con tristezza. Abbiamo sempre sostenuto come questa decisione fosse sbagliata tanto nel merito quanto nel metodo. Per questo non la condividiamo e non faremo parte di Si». Insieme a Zedda il senatore Luciano Uras, l’assessore Claudia Firino, il capogruppo in Regione Daniele Cocco, il consigliere Francesco Agus, il sindaco di Gergei Rossano Zedda, amministratori come Francesca Ghirra (Cagliari), Marco Manca (Sassari) e Alberto Melinu (San Teodoro).

Nel documento gli ex Sel ribadiscono la loro intenzione di continuare a fare parte del centrosinistra. «Proseguiremo il lavoro intrapreso e svolto come Sel in questi anni nei Comuni, nella Città metropolitana, nell'intera isola. Ritroviamo questo obiettivo in tutti quei luoghi, da Milano a Genova, in cui si è lavorato per un centrosinistra in grado di unire e aggregare e, quindi, in grado di governare al servizio dei cittadini. Lo faremo nell’area democratica e progressista con tutte le forze del centrosinistra e quelle di ispirazione identitaria e sardista». Sul referendum gli ex Sel lasciano libertà di voto, ma nei giorni scorsi Zedda – come anche l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia – ha già detto che non voterà No.

«Il giorno dopo il referendum democratici e progressisti avranno bisogno, per il bene del popolo, di riscoprire il senso del loro agire comune contro ogni avventurismo populista o qualunquista». (al.pi.)

REFERENDUM, SONDAGGI E DOPO-VOTO. di FABIO BORDIGNON

Il blackout dei sondaggi - che in Italia ci lascia “al buio” nei 15 giorni precedenti il voto - è scattato con il No in netto vantaggio. Non tanto, però, da escludere sorprese, il prossimo 4 dicembre. Del resto, dopo il caso Brexit e il caso Trump, in molti ipotizzano L’esistenza di una maggioranza sì-lenziosa (per usare il gioco di parole di Claudio Cerasa).

Ma vale comunque la pena di iniziare a immaginare il corso della politica italiana in caso di bocciatura della Riforma costituzionale. Che potrebbe portare a esiti inattesi: addirittura contrari alle aspettative dell’#ItaliaDelNo, che sogna la spallata a Renzi e al renzismo. Facciamo un po’ di fiction. È la mattina del 5/12. Hanno vinto Salvini e Grillo. Ma anche Berlusconi e D’Alema. Ha vinto il No: nonostante gli endorsement internazionali e l’abbattimento di Equitalia. Non è la fine del mondo.

Le borse cedono un po’: non un crollo. I cavalieri dell’apocalisse non portano pestilenza, carestia. Renzi mantiene la promessa: in un tweet annuncia le dimissioni e sale al Colle. I primi a soccorrerlo sono i nemici del giorno prima: tutti sognano un’anatra zoppa su cui sparare fino al 2018. Per qualche giorno si parla di un #RenziII. Il rottamatore dimissionario si fa persino tentare. Ma poi conferma il suo No: l’unica soluzione - tuona da Pontassieve - è il voto anticipato.

Tuttavia, di fronte alle resistenze di Mattarella, che spinge per una soluzione “parlamentare” alla crisi, non si mette di traverso. Accetta che si faccia un nuovo governo di larghe intese, con il compito di portare avanti le misure più urgenti: il completamento della manovra economica; la definizione della nuova legge elettorale. Messa da parte l’anomalia del doppio incarico, il segretario-non-più-premier fa quello che alcuni gli chiedono da tempo: si occupa del Pd. Il partito è in subbuglio.

I nemici della minoranza interna puntano a dare il colpo di grazia all’usurpatore. Ma Renzi rimane in sella. E plasma il partito a sua immagine e somiglianza. Non c’è alcuna scissione: semmai, qualche defezione individuale. Nel frattempo, la Corte costituzionale amputa l’altra gamba della Grande riforma: l’Italicum. Rimane in piedi, per la Camera e per il redivivo Senato, un sistema puramente proporzionale. Il dibattito sulla legge elettorale prosegue: ognuno sostiene il proprio progetto di legge, il proprio modello straniero da imitare. Ma, in realtà, a tutti non dispiace l’idea di andare a votare con le regole disegnate dalla Consulta. D’altronde, la prossima sarà una #LegislaturaCostituente!

Il proporzionale: va bene a Grillo, va bene a Berlusconi, va bene, a questo punto, persino a Renzi. Le riforme sono ormai in un vicolo cieco. I conti economici confermano la stagnazione. Cresce la conflittualità politica. Insieme all’insofferenza dei cittadini. Nei sondaggi, Lega e M5S volano. Mentre gli azionisti di maggioranza fanno a gara a chi si mostra più lontano dall’esecutivo. La situazione scivola, inesorabilmente, verso nuove elezioni. Andiamo avanti, nel nostro divertissement fantapolitico.

Il confronto procede a colpi di scandali, attacchi personali, zuffe in Tv. «È la peggiore campagna elettorale di sempre!». Non siamo nella prima Repubblica. In uno scenario iper-personalizzato, i primattori sono sempre loro: Grillo, Berlusconi, Salvini. E naturalmente Renzi. L’esito delle elezioni, tuttavia, assomiglia molto a quelli dei primi quarant’anni della storia repubblicana.

M5S e Lega aumentano il proprio bottino di voti, ma non hanno i numeri per governare. Anche perché gli avversari si chiudono a riccio, in una rinnovata conventio ad excludendum. Del resto, lo spauracchio populista è stato il tema centrale della campagna. Grazie al quale, anche il Pd è tornato a crescere. E si propone, inevitabilmente, come perno di un nuovo (e ampio) patto centrista. Che torna al governo: senza alternative. È l’inizio di una lunga egemonia. Anti-renziani di tutto il Paese, unitevi: votate Sì.

Lavori in corso a Monastir per adattare l’ex scuola di polizia penitenziariam L’accoglienza non si ferma: l’isola prepara nuovi centri di Claudio Zoccheddu

SASSARI Milano ha raggiunto la sua quota di migranti e ha chiuso le “frontiere”. L’annuncio è arrivato dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Anche la Sardegna ha raggiunto, e superato, la sua quota ma dal ministero non è arrivano alcun annuncio. Anzi, nell’ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir fervono i lavori per rendere fruibile la struttura, che secondo il bando di gara della Prefettura dovrebbe essere sistemata entro domani. Notare una certa disparità tra i trattamenti riservati alla città di Milano e alla Sardegna non è un impresa ardua. Nonostante i dubbi e le perplessità, i materassi e i cuscini sono arrivati nella struttura e sono stati sistemati negli stanzoni che prima ospitavano le reclute della polizia.

Segno evidente che qualcuno, prima o poi, guadagnerà il suo spazio in Europa partendo proprio dall’hinterland di Cagliari, dove i cittadini erano scesi in piazza per manifestare contro la decisione della Prefettura di Cagliari e dove alcuni balordi avevano pensato bene di appiccare il fuoco nelle speranza di cancellare quella che allora, era la notte del 10 ottobre, sembrava solo un’ipotesi. Le conferme. In effetti era solo una questione di tempo.

L’apertura delle buste che contenevano le offerte relative alla gestione dell’ex scuola di polizia è avvenuta la scorsa settima e, sebbene manchi ancora un graduatoria definitiva, i giochi sono comunque fatti: «Per adesso abbiamo solo una graduatoria provvisoria, quella definitiva verrà pubblicata nei primi giorni della prossima settimana – spiegano dalla Prefettura di Cagliari prima di chiarire modi e motivi che hanno portato all’allestimento delle prime camere da letto – si tratta di lavori realizzati dalla Prefettura in modo che si possano fronteggiare le emergenze che potrebbero presentarsi nei prossimi tempi».

Dunque, nonostante se ne parli sotto traccia e si tenda sempre ad allontanare l’eventualità da “ultima spiaggia per fronteggiare gli arrivi improvvisi”, le minacce indirizzate al prefetto Giuliana Perrotta, due proiettili e una lettera minatoria recapitate in busta chiusa proprio in prefettura, non hanno bloccato i lavori di riconversione dello stabile che presto sarà pronto a ospitare i primi migranti. Le polemiche. I toni più accesi sono quelli utilizzati da Mauro Pili, leader di Unidos e deputato del Gruppo misto: «Trasformare quella scuola di polizia in un centro per ospitare 300 migranti è una follia – spiega Pili – lo dico da mesi. La struttura deve passare alla Regione in base alla cessazione della funzione statale originaria.

E poi il luogo scelto per il centro di accoglienza non è adatto: i migranti si muoveranno a piedi, protesteranno sulla strada principale della Sardegna, la sicurezza sarà a rischio ogni giorno. Dislocare persone che puntano solo ad andar via dalla Sardegna in un crocevia così delicato come quello di Monastir è da spregiudicati». Secondo Pili, poi, i costi sarebbero esorbitanti: «317mila euro per 41 giorni. Una cifra che lascia interdetti, vuol dire quasi 3 milioni di euro all'anno. E non si sa chi ha vinto l'appalto. Se un qualsiasi Comune, o ente pubblico, affidasse un servizio per quell'importo e non pubblicasse gli atti nel proprio albo sarebbe perseguito penalmente».

«Anche la Sardegna ha già fatto la sua parte. Anzi, abbiamo superato abbondantemente le quote ma il Governo annuncia uno stop degli arrivi solo a Milano mentre qui prepara nuovi centri di accoglienza e nuovi sbarchi». Ugo Cappellacci, coordinatore regionale di Forza Italia, ha commentato le dichiarazioni del ministro Alfano durante il vertice per la sicurezza a Milano. «È inaccettabile – prosegue l’esponente azzurro – che il Governo consideri l’isola solo per farne un grande centro di accoglienza, con la complicità di una giunta regionale imbelle e servile, e scarichi tutto sulle forze dell’ordine, sui sindaci e sulle comunità. Peraltro – osserva Cappellacci – è assolutamente illogico portare qui persone che non vedono l’isola come destinazione, provocando tensioni che ormai sono all’ordine del giorno. Non accettiamo la logica per cui la sicurezza possa essere una priorità a Milano e un optional in Sardegna, solo perché lì ci sono più elettori da “coccolare” in vista mdel referendum. Ribadiamo – conclude Cappellacci – la necessità di fermare gli sbarchi anche in Sardegna e la netta contrarietà a una politica che lascia i cittadini a tu per tu con un problema più grande di loro».


Il responsabile dell’Agricoltura a Cagliari per un incontro con le associazioni «Nei bandi per gli indigenti ci sarà spazio anche per il pecorino in eccesso» Il ministro Martina: il Sì farà crescere l’isola di Alessandra Sallemi

CAGLIARI Una Camera per legiferare e un’altra per rianimare il rapporto tra Stato e Regioni perché il federalismo in Italia è rimasto
lettera morta. Chi annuncia il Sì alla riforma costituzionale al voto il 4 dicembre non è convinto che si sia trovato il rimedio perfetto al drammatico distacco tra azione politica e bisogni della popolazione, ma ha la certezza che si possa mettere in moto un sistema dove il tema del tempo col quale si vara una legge e la si mette in pratica ha la sua vitale priorità.

I dettagli, poi, sono, tra gli altri, che si abolisce un apparato come il Cnel e che si spera di eliminare il contenzioso immenso tra Stato e Regioni sulle materie dalle competenze finora intrecciate. A Cagliari, nella sala del teatro Massimo gremita di pubblico, ieri si è tenuto il dibattito sulle ragioni del Sì coordinato dal giornalista Filippo Peretti e organizzato da Centro studi Aldo Moro, Associazione Rosa Rossa e Sinistra per il Sì, col ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a rappresentare le ragioni di questa scelta politica e istituzionale. Francesca Ticca, segretaria regionale Uil: «Noi da anni parliamo di riforme, sul Cnel io sindacalista ho sempre detto che non è possibile salvare un cimitero di elefanti che costa dai 15 ai 20 milioni di euro l’anno e che in 50 anni ha prodotto appena 14 proposte di legge».

Alberto Sunda, direttore generale di Confcommercio: «Noi abbiamo chiesto modifiche sostanziali e dal Sì ci si può aspettare una semplificazione amministrativa e ci aspettiamo la fine del contrasto Stato-Regioni». Battista Cualbu, Coldiretti: «Ci avete aiutato sulla tracciabilità del latte e ora si vedono i primi risultati, gli sgravi fiscali per i giovani funzionano, ma in Sardegna siamo al terzo anno di piano di sviluppo rurale e non siamo riusciti a far partire un solo bando, c’è una situazione drammatica per il pecorino romano: al ministro chiediamo che si ritiri il prodotto in eccesso». Giacomo Spissu, ex presidente del consiglio regionale: «È bene ripetere che se vince il Sì le regioni a statuto speciale mantengono le loro prerogative e la Sardegna continuerà ad avere rappresentanza in Senato, ovviamente in proporzione al diminuito numero di senatori (che da 350 scendono a 95), quindi ne avrà 3».

Cristiano Erriu, assessore regionale alla Programmazione: «Si è calcolato che la riforma produrrà un risparmio di 500 milioni di euro». Pasquale Mistretta, ex rettore dell’ateneo di Cagliari: «La riforma è un passo indispensabili perché le nuove generazioni possano uscire dall’impossibilità di confrontarsi col mondo». Alberto Scanu, Confindustria: «Questa riforma non sarà la migliore possibile ma affronta il nocciolo del problema e rende realizzabile un nuovo percorso». Il ministro Maurizio Martina: «Quel che succederà il 4 dicembre riguarda ogni cittadino. La riforma ha limiti, è frutto di una mediazione faticosa, ma è la strada che abbiamo per dotare il paese di istituzioni più semplici e più veloci, io penso che la velocità delle decisioni sia fondamentale per l’equità, sono i più deboli che hanno bisogno di decisioni veloci».

Martina ha illustrato le cose fatte per l’agricoltura in mille giorni di governo e la prossima: ritirare il pecorino romano in eccesso, come
ha chiesto Coldiretti, con gli interventi a favore degli indigenti.

 

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