martedì 8 novembre 2016

Rassegna Stampa. 08 Novembre 2016. - "Il garante Dal Moro bacchetta l'assemblea Dem in vista del voto." - "Da Juncker alla minoranza Pd: i due fronti di attacco a Renzi" - "Il capogruppo Congiu al Pd: respingiamo l’accusa strisciante che per noi conta solo la carta d’identità."

Unione Sarda

Direttorio rinviato, nessun cenno a rimpasto e congresso. Spissu avverte: sono temi legati «Pd, poco sprint sul referendum» Il garante Dal Moro bacchetta l'assemblea Dem in vista del voto.

Nessuno meglio di Gianni Dal Moro in questo momento può svolgere il compito di “garante” del Partito democratico. Se non altro per avere la garanzia che tutti lavorino solo ed esclusivamente per la vittoria al referendum del 4 dicembre. E non fa nulla se l'appello ha più il ,sapore dell'avviso anche a fronte del «poco entusiasmo» dimostrato finora: tutta la storia futura del Pd si scriverà dopo il referendum.

LA MISSIONE Davanti all'assemblea dem, riunita ieri sera a Tramatza, Dal Moro ha bacchettato tutti i presenti, chiedendo massima dedizione e di fatto lasciando nel cassetto le altre questioni come il rimpasto e il congresso. Non c'è molto spazio per sofismi politici perché i conti si faranno il 5 dicembre. Possibilmente con la vittoria del “sì” perché diversamente il clima all'interno del Pd (e quello sardo non è esente) sarà quello della resa dei conti.

UN AVVISO Ben vengano convegni e dibattiti ma non basta. Gianni Dal Moro vuole che si cerchino i voti quartiere per quartiere e casa per casa. Dal Moro chiede che ci siano banchetti in strada e che ognuno cerchi voti come se li stesse cercando per sè stesso in campagna elettorale. Gli argomenti sono sempre gli stessi, cambiano le sfumature che, ogni tanto, assumono contorni cupi soprattutto quando il garante sottolinea che il giorno dopo il referendum si faranno i conti.

TUTTO RINVIATO Slitta anche la nascita della commissione, o direttorio, che dovrà affiancare Dal Moro nell'attività del partito. A dimostrazione che non serve dibattito davanti alla missione unica di vincere il referendum. Ci ha tentato nel suo intervento Giacomo Spissu a ricordare al garante che le regole per il congresso e le questioni sul governo regionale sono interconnesse. Ma per ora tutto rimane invariato e Dal Moro proseguirà in solitudine.

GLI INTERVENTI Davanti a previsioni disastrose in caso di vittoria del no, tutti i dem che prendono la parola assicurano il proprio appoggio per la vittoria. Ci sono alcune differenze rimarcate soprattutto dagli esponenti della corrente della Traversata. Il dirigente ogliastrino Gianluigi Piras assicura il suo sì ma non vuole sposare la tesi che il referendum sia il giudizio universale, ed evita posizioni catastrofiche dell'una o dell'altra alternativa. Ma soprattutto, la condizione necessaria per sostenere la riforma è la salvaguardia dell'autonomia della Regione.

RESPONSABILITÀ C'è anche il tempo per capire il motivo dell'arrivo del garante a guidare il partito. Il deputato Siro Marrocu parla di una responsabilità di tutto il gruppo dirigente, incapace di risolvere le questioni interne. Una versione dei fatti differente è quella che viene fornita dall'ex segretario, Renato Soru, che davanti all'assemblea si è assunto la responsabilità della situazione a causa delle proprie dimissioni.

ARRIVANO I BIG A Roma la Sardegna è data come una delle regioni incerte, e per tirare la volata scendono in campo i big. La settimana prossima (forse giovedì) arriverà a Cagliari il premier, Matteo Renzi, per la firma del Patto per la città e per alcune iniziative referendarie. Nelle prossime settimane potrebbero arrivare anche Debora Serracchiani (vice segretaria del Pd), il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa e il ministro dell'Agricoltura, Maurizio Martina.
Matteo Sau

«Matteo contro le regole Ue? Me ne frego». Bersani: partito arrogante. Da Juncker alla minoranza Pd: i due fronti di attacco a Renzi

Matteo Renzi è a Frosinone e calma così i sostenitori del Sì al referendum, colpevoli di aver iniziato a rumoreggiare sull'evergreen D'Alema. «CASA MIA» Il premier non intende cadere «nel tranello delle  polemiche» del post-Leopolda. È ancora forte l'eco del “fuori, fuori” urlato dalla platea fiorentina alla minoranza Pd. Bersani e compagni non hanno gradito.

«Possono gridare fino a sgolarsi: una pagliacciata che dimostra che in quel posto non c'è cultura politica - tuona l'ex segretario - Mi ha colpito che nessuno dal palco abbia sedato quei cori da operetta». Il Pd, ribadisce, «è casa mia. Non toglierò il disturbo. Quindi stiano calmi e sereni». Bersani è a Palermo a «dire la sua» sulla riforma costituzionale e punta i piedi. Il partito «cammina su arroganza e sudditanza», attacca, «io dico “dentro, dentro”, ma se il segretario dice “fuori fuori” bisognerà anche rassegnarsi a un certo punto».

«NO ALLA SCISSIONE» Nessuna ipotesi scissione, assicurano i dirigenti della minoranza dem, ma lo strappo si fa sempre più evidente con l'avvicinarsi del 4 dicembre. «Non esco dal Pd nemmeno con le cannonate», assicura Roberto Speranza, pronto a votare la fiducia a Renzi anche in caso di vittoria del No. Ma boccia i cori della Leopolda: è l'immagine «dell'arroganza del potere, più della simpatia di chi sfida il potere», è la sentenza.

EUROPOLEMICA E di lì a poche ore per Renzi si apre un importante fronte esterno. La bordata è del presidente della Commissione Ue: l'Europa, spiega Jean-Claude Juncker, ha concesso una flessibilità «di cui hanno beneficiato diversi Paesi. Prendo per esempio l'Italia, che non smette di attaccare la Commissione a torto. E questo non produrrà i risultati previsti».

E poi insiste: «L'Italia oggi, nel 2016, può spendere 19 miliardi in più di quelli che avrebbe potuto spendere se non avessi riformato il patto di stabilità nel segno della flessibilità». Sempre parlando dell'Italia, «sarà necessario che con saggezza si prenda in considerazione il costo dei terremoti e dei rifugiati», ma «il costo addizionale delle politiche dedicate alla migrazione in Italia ammonta allo 0,1% del Pil, mentre l'Italia ci aveva promesso d'arrivare a un deficit dell'1,7% nel 2017, e ora ci propone invece il 2,4% in ragione dei terremoti e i rifugiati, con un costo si è ridotto allo 0,1%».

«ME NE FREGO» Poi il colpo più aspro: «Roma non deve più dire, oppure lo si può dire in realtà ma a quel punto me ne frego, che le politiche di austerità sarebbero state proseguite da questa Commissione così come erano state attuate in precedenza». Immediata la reazione del premier: «Anche oggi Juncker ha criticato l'Italia. Abbiamo avuto tre terremoti in sette anni. Ricostruiremo e metteremo in sicurezza, e piaccia o non piaccia quelle spese saranno fuori dal Patto di Stabilità. Sono spese che riguardano la stabilità dei nostri figli».


La Nuova

Il capogruppo Congiu al Pd: respingiamo l’accusa strisciante che per noi conta solo la carta d’identità. Nomine Asl, il Pds: «Azzerato il merito»

CAGLIARI La replica non poteva non esserci: sulla sanità ormai è guerra in campo aperto fra i partiti della maggioranza. Così dopo che il consigliere regionale del Pd Luigi Ruggeri ha accusato «alcuni alleati di essere entrati a gamba tesa sulla Giunta all’indomani delle prime nomine del super manager dell’Asl unica», è arrivata la risposta del Partito dei sardi. Partito che, in questi giorni, è stato fra i più critici per l’ingresso di due continentali nello staff del direttore generale Fulvio Moirano. 

«Rispediamo al mittente – scrive Gianfranco Congiu, capogruppo del Pds in Consiglio regionale – il paternalismo insinuante di chi liquida come "provincialismo da carta di identità" quelle che, invece, sono legittime pretese di equità e non discriminazione, pretese che abbiamo posto solo su un piano esclusivamente politico». 

Scritta la replica, il Partito dei sardi va oltre: «A suo tempo siamo stati critici con la riforma sanitaria quando dicevamo che l'inedito modello proposto, quello dell’Asl unica, rappresentava un azzardo in un contesto come quello sardo. Siamo stati anche esigenti nel proporre, rispetto alla riforma poi approvata, ben altra suddivisione delle competenze insieme a poteri certo più bilanciati rispetto a quelli assegnati al direttore generale, perché questi erano gli unici baluardi democratico di fronte al verticismo voluto dalla Giunta.

Oggi sono queste stesse ragioni a portarci ad interrogarci ancora di fronte alle prime nomine del direttore generale Moirano. Nomine rispetto alle quali lo sbandierato valore "fiduciario dei nominati" rende la competizione sul merito e sulle competenze assolutamente residuale, per non dire irrilevante».

Fino a un’altra risposta secca sempre al Pd: «Dite di noi – scrive Congiu – che abbiamo perso di vista gli obiettivi generali? Sbagliato, la riduzione degli sprechi, il contenimento della spesa e l’innalzamento della qualità dei servizi, sono e continueranno a essere i nostri traguardi». Intanto la Cisl, col segretario generale Ignazio Ganga, ha inviato alla Giunta una lettera in cui sollecita «l’immediata apertura del confronto con l’assessore alla Salute Luigi Arru e il direttore generale dell’Asl unica sul futuro della sanità. I sindacati hanno idee e proposte per restituire efficienza al sistema e non possono essere tenuti in disparte».

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