martedì 22 novembre 2016

Rassegna stampa 22 Novembre 2016 - A dicembre i gruppi alla Regione e nei Comuni di SEL si scioglieranno automaticamente - Un sardo su cinque è disperato - Povertà alla porta di casa, crescono i sardi in difficoltà

La Nuova
Il futuro: fondare un nuovo partito, mentre è più improbabile il passaggio nel Pd Ex Sel: progressisti sempre ma non in Sinistra italiana

CAGLIARI Addio Sel, anche se «avremmo preferito un finale meno drammatico», ma «in Sinistra italiana non possiamo entrare». Si sa da giorni: in Sardegna la maggioranza del partito che fu di Niki Vendola non emigrerà, armi, bagagli e seggi, nel nuovo soggetto politico. All’assemblea del 6 dicembre a Roma, è quella che a livello nazionale certificherà lo scioglimento di Sel, neanche parteciperanno il senatore Luciano Uras, Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, l’assessore regionale Claudia Firino, due consiglieri regionali, Francesco Agus e Daniele Cocco, e molti amministratori comunali.

Non hanno accettato che l’azzeramento sia stato deciso dall’alto, dal vertice del partito, senza neanche un congresso e per questo all’inizio di dicembre (qualche giorno dopo quel referendum costituzionale che potrebbe stravolgere l’Italia chiunque vinca) diranno ufficialmente «addio agli ex compagni della sinistra arcobaleno». L’hanno fatto qualche giorno fa con una lettera firmata tutt’insieme, lo ribadiscono oggi quando ancora non sanno dove troveranno casa. In un nuovo partito?

Chissà, è probabile ma non è detto. In un partito nazionale che già esiste (il Pd) o altrove? È un mistero, per ora. Sta di fatto che fra poco più di due settimane i gruppi di Sel in Consiglio regionale e nei Comuni si «scioglieranno automaticamente». Chi non traslocherà in Sinistra italiana, lo conferma con amarezza: «Non vogliamo – dice Luciano Uras – che quanto abbiamo costruito finisca spazzato via». Il patrimonio della «sinistra che è capace di governare» non «può essere cancellato soprattutto dopo l’esperienza vincente dei sindaci arancione, da Pisapia a Zedda». Proprio Zedda è stato fra i primi a firmare la lettera d’addio e da Roma è arrivato subito un commento più o meno disperato: «Il suo abbandono – ha scritto Massimo Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio – è un colpo durissimo per la credibilità del nuovo progetto politico».

Lo è, ma per il consigliere regionale Francesco Agus «non possiamo stare con chi sembra spinto solo dalla voglia d’isolarsi fino a sentirsi minoranza ancora prima di nascere». No, gli ex Sel – come ha dimostrato la vittoria di Zedda al primo turno alle comunali di Cagliari – «vogliono restare aggrappati all’idea di un centrosinistra capace di cambiare la società secondo il modello del buon governo, dimostrato con i numeri nelle Regioni e nei Comuni, mentre «a Palazzo Chigi purtroppo è accaduto dell’altro ed è quell’altro che, anche questo, non vogliamo».

Come si chiamerà il nuovo partito? «Lo saprete il 6 dicembre». Gli ex Sel confluiranno nel Pd? È improbabile ed è quello che potrebbe scrivere oggi il coordinatore regionale di Sel Luca Pizzuto. Lui la lettera degli ex non l’ha ancora firmata. (ua)

IL CONVEGNO
 Giovedì il confronto sull’Europa dei popoli

Le diverse anime dell’area progressista, identitaria e indipendentista devono «discutere fra loro». Il congegno di giovedì pomeriggio (ore 17,30, a Cagliari, nella sede della Fondazione di Sardegna, in via Sal Salvatore da Horta) sull’Europa unita e dei popoli nasce con alle spalle anche questo progetto politico. È stato, pensato dal Gruppo Misto del Senato e dall’associazione culturale Pasolini. Così dopo aver messo intorno allo stesso tavolo un sempre possibile nuovo partito dei sindaci, quelli che sono stati di Sel, movimento prossimo allo scioglimento, ora provano a far discutere quanti un domani potrebbero riconoscersi in un terzo polo progressista e sovranista. È una vecchia idea, era molto forte all’inizio di questa legislatura, ma che col tempo ha finito per sfilacciarsi.

Oggi con una visione politica proiettata su quello che potrebbe essere il «punto di caduta» per gli ex Sel sicuri di non entrare in Sinistra italiana, il senatore Luciano Uras ha organizzato giovedì il confronto sulla necessità di «riconoscere tutte le identità per costruire un’Europa unita». Al tavolo sono annunciati Christian Solinas, segretario del Psd’Az all’opposizione in Consiglio regionale ma col centrosinistra in alcuni Comuni, Paolo Maninchedda, presidente del Partito dei sardi, Massimo Zedda, sindaco di Cagliari (nella foto), Antonello Cabras, uomo forte del Pd, l’ex ministro Vannino Chiti, anche lui del pd, e Bruno Tabacci del Centro democratico.

Iares e Acli hanno presentato il rapporto sulla povertà. Fenomeno in aumento Un sardo su cinque è disperato

CAGLIARI Non è più una lotta alla povertà, ma alle povertà. La differenza è importate: si possono avere i soldi per sopravvivere, però essere lo stesso emarginati e abbandonati. Nel dodicesimo rapporto dell’Istituto per la ricerca e lo sviluppo delle Alcli, lo Iares, il concetto della disperazione è scritto in quasi ognuna delle 134 pagine. Tabelle e numeri lo ribadiscono: dai 350mila ai 400mila sardi non sanno più come tirare avanti, uno su cinque fa «molta fatica ad acquistare persino i beni di prima necessità» e uno su tre «cade in depressione quando non riesce a fronteggiare le spese impreviste anche se sono sotto gli 800 euro».

E ancora: con in tasca solo mille euro al mese, «sempre più famiglie finiscono per essere assistite», o ancora: «il 45 per cento dei contribuenti sardi non raggiunge i 10mila euro di reddito netto e anzi spesso non supera la soglia dei 5mila». Il dossier è peggio di un girone infernale, perché non analizza solo l’azzeramento delle capacità di spesa», ma anche le condizioni sociali che, colpa della crisi, «sfociano nella percezione soggettiva di sentirsi ultimi».

Percezioni che ormai non appartiene più solo ai pensionati con un assegno Inps di 700 euro, o ai disoccupati, oltre il 16 per cento, ma anche «a categorie sociali finora immuni e ritenute al sicuro». Il fenomeno purtroppo è in aumento e sempre più strisciante. C’è una frase forte che va ricordata ed è questa «i poveri non ci lasceranno dormire».

È scritta da padre Alex Zanotelli, che da sempre combatte per conto e in nome della giustizia sociale. Coordinatore e ricercatori dello Iares, Antonello Caria, Vania Setzu e Sara Frau, l’hanno ribadita nel loro dossier. «Siamo ben oltre l’allarme», ha sottolineato Franco Marras, presidente regionale delle Acli. Serve – hanno confermato gli esperti – «una maggiore rete sociale per evitare che in troppi scompaiano dalla società per trasformarsi in soggetti invisibili». Ma anche la politica deve fare di più: ad agosto il Consiglio regionale ha approvato la storica legge per il reddito d’inclusione sociale, l’ultima scialuppa disponibile, eppure manca ancora il regolamento perché possa essere applicata. Assurdo.

Unione Sarda

Povertà alla porta di casa, crescono i sardi in difficoltà L'Isola tra le regioni penalizzate per spesa, reddito e depositi bancari

Negli anni post crisi povertà non è più solo scarsità di risorse economiche: cambiano i paradigmi, muta la società e la definizione di indigente non può essere limitata alla disponibilità di denaro. Non riuscire a sostenere spese impreviste, avere arretrati nei pagamenti di mutuo, affitto o bollette, non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni o una settimana di ferie fuori casa, sono queste le nuove cartine tornasole del disagio.

Ed è considerando queste variabili che si arriva presto a una cifra drammatica: in Sardegna un cittadino su cinque (oltre 325mila, il 20% della popolazione) ha grandi difficoltà ad acquistare beni di prima necessità, mentre il 30% (quasi mezzo milione di persone) si dichiara incapace di fronteggiare una spesa imprevista, anche se di entità modesta (circa 800 euro).

L'ANALISI Sono i dati rilevati nel dodicesimo Rapporto dell'Osservatorio sull'economia sociale e civile in Sardegna diffuso dallo Iares (Istituto Acli per la ricerca e lo sviluppo) che fa il punto, attraverso nuove metodologie di ricerca, sulla condizione di indigenza dei sardi. Il rapporto evidenzia la peculiarità del caso Sardegna: in un'Italia spaccata a metà, dove le differenze tra Nord e Sud restano assai marcate, l'isola presenta una situazione complessa.

«Analizzando le condizioni socio-economiche del nostro territorio regionale emergono condizioni di svantaggio economico elevate, che pongono la Sardegna in linea con le regioni più svantaggiate, per esempio sotto il profilo dei livelli di spesa, del reddito o dei depositi bancari», spiegano Vania Statzu e Sara Frau, che insieme ad Antonello Caria hanno curato il Rapporto, «mentre per altri aspetti, tra cui la dotazione di beni durevoli e tecnologici (connessione a Internet, computer, cellulari), l'isola può essere accomunata alle regioni con un minor disagio economico».

IL CASO SARDEGNA Il 96,5% dei sardi, infatti, possiede almeno un telefono cellulare o uno smartphone (la percentuale media nazionale è inferiore di mezzo punto), il 74,6% un pc (in tutta Italia il 73,5%) e il 72,6% una connessione Internet (la media nazionale è 71,2%), un aspetto che mostra un divario digitale più contenuto, non permette di includere pienamente la Sardegna nel gruppo delle regioni più svantaggiate e soprattutto «rappresenta una caratteristica determinante per lo sviluppo futuro del territorio».

LA CLASSE MEDIA A essere investita da questa situazione è soprattutto la cosiddetta classe media, quella fascia che può vivere periodicamente, e per lunghi intervalli di tempo, condizioni di povertà più o meno estrema. «I dati fotografano una regione in cui la gran parte delle famiglie affronta rinunce e difficoltà economiche, che producono una sensazione di disagio e instabilità tali da ridurre anche la percezione del proprio reale tenore di vita».

Marzia Piga


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Federico Marini

skype: federico1970ca

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