martedì 10 luglio 2018

Non nel mio nome. Di Lucia Chessa.



Come sempre l’asticella va su piano piano, tipico di chi procede tastando il terreno e misurando gli umori. E così, prima si nega l’approdo alle navi delle ong, impropriamente ed indecentemente chiamate i taxi del mare, fermate e minacciate di sequestro. Poi lo si nega a quelle battenti bandiera non italiana affinché si portino a “casa loro” quel carico di umanità disperata e piangente della quale niente sappiamo se non che fugge a qualcosa che di certo è peggio del rischio altissimo di morire in mare.

E infine si nega il permesso di approdo anche alle navi italiane private, insospettabili di complicità con gli scafisti e colpevoli di essere intervenute quando era già allertata la guardia costiera libica. Colpevoli cioè di non aver detto a quei migranti naufraghi in mezzo la mare, qualcosa tipo: “Aspettate tranquilli che i soccorsi sono già stati allertati, tenetevi a galla che presto saranno qui le motovedette libiche. Non si vede nessuno? Non sapete nuotare? Non agitatevi che già sanno di voi, tranquilli che arriveranno in tempo”.

Ora, io non mi rivolgo a quelli che: “io non sono razzista ma le città sono piene di cani randagi”. Non mi rivolgo a quelli che: “bisogna salvaguardare la razza italiana”. Non mi rivolgo a quei razzisti che, inconsapevoli persino del loro razzismo, agitano la loro ottusa disumanità sentendosi finalmente parte di un branco numeroso e vincente.

Io mi rivolgo a quei molti amici elettori di 5 stelle che hanno fatto quella scelta di voto sperando di emarginare corrotti, arginare precarietà, riportare le persone tutte al centro delle scelte politiche. Mi rivolgo a quegli elettori 5 stelle che hanno strumenti intellettuali e sensibilità umana tali da non poter ignorare il precipizio. A loro chiedo se questo può essere in nome loro.

Di Lucia Chessa

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