martedì 10 luglio 2018

Rassegna stampa 10 Luglio 2018


La Nuova

Pd, l'assemblea è un ring Il segretario non c'è. Manca il numero legale e salta l'elezione di Cani: spintoni e urla tra Soru e Lai. L'eurodeputato: non so se rimarrò nel partito. L'ex senatore: lo vuole
distruggere

di Umberto Aime
INVIATO AD ABBASANTA

Il ring di Su Baione è stato tutto in presa diretta. A 120 giorni dalla pesante sconfitta elettorale di marzo, il Pd è arrivato dove mai sarebbe dovuto arrivare: all'inferno. Anzi, ancora più in basso: agli spintoni, ai corpo a corpo surreali, superando ogni limite di decenza. Intorno al numero legale, raggiunto o non raggiunto, da un'assemblea convocata per eleggere il segretario regionale, è scoppiata l'ennesima rissa. Non solo più a parole, come quella di un mese fa nello stanzone del Nuraghe Losa, stavolta è stata vera, muscolare, in un susseguirsi di round da brividi.

Dopo che, all'ingresso, era stato fin troppo facile intuire come sarebbe andata a finire: male. Fra richieste di documenti, riconoscimenti personali e sguardi al veleno da una parte e dall'altra, sono stati dieci minuti di preliminari terribili. Poi, all'improvviso, la tensione s'è gonfiata all'eccesso e c'è stato il primo round. Eccolo: l'ex deputato Siro Marrocu, Diesse, s'è scontrato con Renato Soru, capocorrente avversario, proprio sull'interpretazione del regolamento. I due sono arrivati a zero centimetri l'uno dall'altro fino a quando, a fatica e spintonando a loro volta, altri hanno evitato che i due arrivassero a mettersi le mani addosso.

Mentre la platea inneggiava, scomposta e in trance agonistica, per quello o quello, oppure mandava a quel paese il vicino di sedia colpevole di stare, c'è stato anche il secondo round. Con l'ex senatore Silvio Lai e Soru, nemici dichiarati da una vita e ora divisi dal solito regolamento, che invece al contatto fisico sono arrivati. Il loro faccia a faccia è stato rabbioso e fulmineo, con almeno due o forse più spintoni reciproci, poi diverse smanacciate, reciproche anche queste, andate però a vuoto.

Stavolta i pacieri sono arrivati in netto ritardo, e nulla hanno potuto per fermare quell'ignobile mulinare di mani. Sono stati venti minuti al calor bianco. Fra urla, fischi, nuovi crocicchi al limite dello scontro, e un microfono conteso come fosse il simbolo del potere in palio in una lotta ormai tribale. È finita con i soriani che, dopo non aver firmato neanche il primo foglio delle presenze, hanno abbandonato in massa l'assemblea. Per loro ormai quella riunione era nulla per mancanza del numero legale, lasciandosi alle spalle le ultime dichiarazioni di fuoco del loro leader.

Queste: «Abbiamo solo difeso la presidente del Partito - Lalla Pulga - che tra l'altro è una persona minuta, dalle aggressioni di chi voleva addomesticare le regole come fanno da sempre quanti si credono i padroni del partito. Volevano eleggere comunque un segretario, però grazie a noi non ci sono riusciti. A questo punto deciderà Roma, e sono sicuro che il Pd sardo sarà commissariato». Per poi, a freddo, lasciarsi andare anche a questo amarissimo: «Non so se quando finirò il mandato di europarlamentare, rimarrò in un partito così disastrato. Devo riflettere».

Lui voleva il congresso straordinario, ma per non c'è neanche quello e nemmeno uno straccio di segretario. Usciti di scena Soru e i suoi, le altre correnti - quella formata dai popolari-riformisti, che era pronta a candidare l'ex deputato Emanuele Cani, e sostenuta dai renziani e dagli ex Diesse - invece sono rimaste lo stesso in sala, nonostante la presidente fosse già andata via con i verbali.

Nella confusione più totale, è stato il vicepresidente Dino Pusceddu a prendere in mano la situazione. Rifatta la conta dei delegati, con la "seconda chiama" è stata finalmente raggiunta la soglia degli 81 presenti sui 160 aventi diritto al voto, mentre nella prima s'era a fermata a 78. Ma proprio quel numero però era stato contestato dalle due stesse correnti a favore di Cani. Perché – hanno detto - «quando un seggio è aperto, e quello di Abbasanta lo era, il numero legale va controllato alla fine della votazione e non all'inizio».

Chi è rimasto ha votato un documento in cui: l'assemblea è stata riconvocata per questo venerdì, con il seggio stavolta ufficialmente aperto dalle 15 alle 21. Con quest'ultima dichiarazione di Silvio Lai su Soru: «Ancora una volta, con la sua solita violenza nelle parole e nei fatti, ha dimostrato che vuole distruggere un Partito che gli ha dato molto. Anzi, persino troppo»


LA DERIVA ROMANA APPRODA AD ABBASANTA
di LUCA ROJCH

Spintoni, «buffoni», e altre profonde considerazioni sull'etica
politica e filosofica. Urla e facce paonazze, la sensazione di
trovarsi in curva e non in una assemblea democratica. Serviva un atto
di coraggio, di forza, per cambiare il partito. Ma qualcuno deve avere
capito male, gli odi hanno prevalso sulle idee. Il gruppo dirigente
del Pd sa che la facilità non genera felicità e decide di complicarsi
la vita e continuare la discesa agli inferi.

Lo fa con un'altra
figuraccia mediatica. Serviva un nuovo segretario. Una faccia nuova,
un abile auriga che come nel mito della biga alata di Platone sapesse
condurre i due cavalli che trascinano il carro. Uno in alto verso il
mondo delle Idee e l'altro in basso verso il mondo sensibile. Il Pd è
qualcosa di simile. Sì, ma senza mito. Perché tutti e due i cavalli
spingono la biga verso l'inferno.Dopo la disfatta del 4 marzo alle
Politiche tutti invocavano la rivoluzione, ma ci si limita al
tentativo di occupazione.

Il Pd non ha una rotta, è guidato da un
istinto suicida, è un Titanic che con tenacia punta contro l'iceberg.
Difficile capire come i Dem possano pensare di affrontare la
traversata transoceanica delle Regionali con una bagneruola
sgangherata. Con i suoi pochi occupanti impegnati a bucare il fondo
della barca che li trasporta. Senza idee, senza un progetto, senza
unità. Senza un reale catartico rinnovamento i Dem sembrano destinati
a diventare un partito marginale, da 10 per cento.

Ci doveva essere un
momento di analisi, di dolore, di autoflagellazione intellettuale per
poter rinascere. Una reale presa di coscienza della sconfitta e una
banale constatazione di non essere più collegati col mondo. Di avere
pensato in questi anni più ai colletti bianchi che alle tute blu. Si è
preferita la via cosmetica, una versione imbellettata della realtà. Un
po' di cipria per nascondere le rughe. Ci si è affidati all'ars
imbonitoria degli slogan precotti. Quelli che funzionano nella
pubblicità, ma non convincono nessuno. I dati spiegano più di
qualsiasi discorso il fallimento del partito.

Nelle politiche del 2008
il Pd aveva preso in Sardegna 354 mila voti. In quelle del 2013 è
scivolato a 233mila, meno 44 per cento. E nel 2018 è crollato a
128mila. Roma non aiuta. Il cerchio magico è diventato un circo
tragico. Anzi una certa visione, e divisione, del mondo tra correnti
arriva da là. Quasi una forma mentale, uno stato naturale di un
partito mai nato. La mancata fusione tra le diverse anime, che si sono
trasformate in correnti.

La deriva romana precede e sovrasta quella
sarda. Il Pd sardo rischia di finire commissariato per l'incapacità di
darsi una guida. Il mutamento profondo non c'è stato. E le Regionali
del febbraio 2019 potrebbe trasformarsi nella celebrazione della
scomparsa del Partito democratico. Il pianeta Pd sembra sempre più
autoimploso, incapace di vivere di luce propria e oscurato dallo
scintillio di 5 Stelle. @LucaRojch@

Unione Sarda

Pd nel caos: insulti e spintoni
ABBASANTA. L'assemblea si chiude con un rinvio. Nuova convocazione per venerdì
Alta tensione tra Soru e Lai, salta l'elezione del segretario

Il Pd sardo sull'orlo di una crisi di nervi in un clima sempre più
teso che rischia di mandare all'aria il partito.
L'assemblea, convocata ieri pomeriggio ad Abbasanta per eleggere il
nuovo segretario, diventa lo scenario di uno scontro tra
l'eurodeputato, Renato Soru, e l'ex senatore, Silvio Lai. Si sfiora la
rissa, i due si spintonano, volano parole grosse e solo l'intervento
di alcuni delegati evita che la situazione possa degenerare. Stessa
scena sempre tra Soru e l'ex deputato, Siro Marrocu, il tutto davanti
al tavolo della presidente Lalla Pulga.

TENSIONE La miccia si è innescata durante la conta delle firme per
ottenere il numero legale e iniziare la riunione con l'obiettivo di
eleggere Emanuele Cani alla segreteria: «Ho difeso la presidente
perché la stavano accerchiando», dice Soru, «non so se quando finirò
il mandato di europarlamentare rimarrò in un partito così disastrato».
Duro l'ex senatore Silvio Lai che accusa Soru di «rubare il futuro del
Pd, dopo aver avuto tanto da questo partito». Nuovo appuntamento
venerdì prossimo per l'ultimo tentativo di eleggere un segretario,
anche se il “caso Sardegna” potrebbe passare nelle mani del Pd
nazionale, col rischio di un commissariamento.

NULLA DI FATTO Questo è l'epilogo della giornata di ieri, in cui una
parte dell'assemblea ha deciso di sfiduciare la presidente Lalla
Pulga, invitandola alle dimissioni. A lei viene data la colpa di aver
chiuso in maniera troppo affrettata un'assemblea che a un'ora dalla
convocazione non aveva ancora le firme necessarie per essere resa
valida. Tecnicismi e continui richiami al regolamento, figli di un
malessere che ormai il Pd non riesce più a scacciare.

In sala si
accendono contestazioni improvvise, capannelli e discussioni su ogni
decisione si tenti di prendere. Alla riunione di ieri all'hotel Su
Baione si è arrivati già con la contrapposizione di due blocchi: da
una parte ci sono i soriani che chiedono un congresso per restituire
la parola agli iscritti; dall'altra i Popolari-Riformisti e i Renziani
che puntano all'elezione dell'ex deputato, Emanuele Cani, per la
successione di Cucca.

«MODI ARROGANTI» Il deputato, Gavino Manca, non usa mezze parole per
descrivere la situazione del Pd sardo: «Avremmo voluto dare una
prospettiva a questo partito, nel rispetto delle regole». Così però
non è stato a causa di qualcuno che «in maniera arrogante ha fatto di
tutto perché questo non accadesse venendo in assemblea per cercare la
rissa, ma non spaventa nessuno».

Lai punta il dito sull'eurodeputato:
«Se il Pd non ha potuto eleggere un segretario dopo 4 mesi dalla
sconfitta alle politiche la responsabilità è solo di Renato Soru». Per
l'esponente sassarese, l'atteggiamento dell'ex governatore è
«intimidatorio nei confronti dell'assemblea». Il Pd è «una comunità di
persone a cui lui, con altri, sta rubando il futuro, ma in molti siamo
disposti a difenderlo».

LA DIFESA Soru non ci sta, rimanda al mittente le accuse e controbatte
colpo su colpo: «Dobbiamo restituire la parola agli iscritti, se c'è
una maggioranza non vedo perché non farla valere al congresso».
L'obiettivo è «ripartire con volti nuovi, questo non è un partito
padronale, ma di chi lo vota».

SFIDUCIA I delegati rimasti vengono richiamati dal vice presidente
dell'assemblea, Dino Pusceddu, per fare un'altra conta dei presenti.
Qualche ritardatario si presenta in sala, si arriva a quota 81 e
dunque, l'assemblea viene formalmente aperta. Soltanto per decidere
quando riprovare a eleggere un segretario.

C'è il tempo, però, di
votare un documento che, di fatto, condanna la condotta della
presidente dell'assemblea Lalla Pulga. A proporlo è Silvio Lai che
accusa la presidente di aver «svolto una funzione di parte» e di «aver
portato via i verbali con le firme». Da qui l'auspicio che «vista la
posizione dell'assemblea, la presidente possa rassegnare le
dimissioni».

IL DESIGNATO Emanuele Cani è in sala, sorride e cerca di
ridimensionare quello che è successo. Il secondo tentativo per la
nomina alla segreteria sarà venerdì. Il seggio per votare rimarrà
aperto dalle 15 alle 21 ed eventuali aspiranti segretari dovranno
presentare la candidatura entro le 20 di dopodomani. Sempre che non si
decida che a imporre la pace nel Pd sardo sia un commissario romano.
Matteo Sau

GLI SCENARI. L'azione politica è condizionata dalle correnti e dai
contrasti personali Un partito diviso che non riesce a uscire dalla crisi

Il Partito democratico sardo non ha mai trovato pace da quando è nato.
Il primo strappo risale al 2007 quando per la prima segreteria si
sfidarono Renato Soru (allora presidente della Regione) e Antonello
Cabras che ebbe la meglio. Da allora sono state più le guerre interne
che i periodi di unità e negli ultimi anni lo scontro è stato molto
duro. Nel 2014, l'eurodeputato venne eletto segretario del Pd e dopo
poco si ruppe il sodalizio con l'area Fadda-Cabras, che gli aveva
consentito di diventare segretario.

Da allora i rapporti sono stati sempre spigolosi, tanto che a due anni
dall'elezione, ci fu un primo tentativo per sfiduciarlo. Soru poi si
dimise, e nonostante questa fosse l'ambizione di una parte del Pd, non
si trovò l'accordo per nominare un segretario sardo. Infatti, fu un
commissario romano, Gian Pietro dal Moro, a guidare il partito in
Sardegna e affrontare la campagna elettorale per il referendum sulla
riforma costituzionale del governo Renzi.

Il risultato nell'Isola fu tra i peggiori in Italia, tanto che Dal
Moro chiuse l'esperienza nell'Isola. Per il congresso successivo, dopo
svariati tentativi falliti, nella ricerca di un “candidato unitario”
nacque una nuova alleanza tra i Popolari-Riformisti e i renziani con
gli ex Ds per sostenere Giuseppe Luigi Cucca nella corsa alla
segreteria. I soriani gli contrapposero Francesco Sanna che arrivò
secondo.

Dopo il congresso è iniziata un'altra stagione di contrapposizione,
nonostante la nomina di Lalla Pulga (indicata dai soriani) alla
presidenza dell'assemblea. Dopo il pessimo risultato delle elezioni è
iniziato un accerchiamento nei confronti di Cucca e la richiesta da
parte di Soru e della sua componente, di dimissioni per dare vita a
una nuova fase nel partito.

Lo stallo è durato quattro mesi:
nonostante le dimissioni del segretario e il continuo proposito di
superare le correnti, quello che è successo ieri è la fotografia di un
Pd in forte difficoltà e che a pochi mesi dalle elezioni regionali non
ha ancora avviato un dibattito per il rilancio dell'azione
politica.(m. s.)

Conti pubblici, stoccata di Draghi: «Dal governo finora solo parole»
Poi il presidente Bce invita a ricostituire le riserve: «Il tetto si
rifà quando c'è il sole»

BRUXELLES Non sarà una bocciatura, ma di sicuro Mario Draghi non si
spella le mani per applaudire il governo Conte, e anzi sottolinea di
aspettare «fatti» sui grandi dossier economici del nostro Paese.
AUDIZIONE «Dovremmo aspettare prima di esprimere giudizi. Il test
saranno i fatti: finora ci sono state parole, e le parole sono
cambiate. Dovremo vedere i fatti prima di esprimere un'opinione»: così
ieri il presidente della Bce, in audizione alla commissione Econ
dell'Europarlamento, ha risposto all'europarlamentare di Forza Italia
Fulvio Martusciello che domandava l'esecutivo andrà “richiamato” dato
che non parla di riforma delle pensioni e di riduzione del debito
pubblico.

«FIDUCIOSI» Ma se quella di Draghi può suonare come una bacchettata,
certo non è un allarme: «La nostra missione non è tutelare i bilanci
dei singoli Stati nazionali - dice sui rischi che la fine del
Quantitative easing comporta per l'Italia - siamo fiduciosi che
l'economia si sta rafforzando e la graduale riduzione dell'acquisto di
attività sarà accompagnata da altre misure. Lo vediamo dalle reazioni
alla nostra decisione del mercato, che non sono stato affatto
drammatiche».

UN ANNO DI TEMPO D'altronde la fine del Qe a fine dicembre «non
significa che la nostra politica monetaria cessi di essere espansiva»,
visto che la Bce continuerà a reinvestire i profitti dai titoli
acquistati, in modo da garantire l'afflusso di liquidità. «Ci
aspettiamo - sottolinea ancora - che i tassi di interesse della Bce
restino ai livelli attuali almeno durante l'estate del 2019 e in ogni
caso per tutto il tempo necessario» a sostenere l'inflazione verso il
2% annuo.

Di certo però non è il caso che Palazzo Chigi si affidi
esclusivamente alle misure che verranno assunte dall'Eurotower di
Francoforte: i Paesi ad alto debito, spiega il banchiere centrale,
«nei periodi positivi dovrebbero ricostituire delle riserve di
bilancio per quando ci sarà un rallentamento della crescita, questo è
un insegnamento della crisi. Guardando al futuro è sempre opportuno in
tempi economicamente positivi creare le riserve, come si dice è quando
c'è il sole che bisogna aggiustare il tetto».

ALLARME PROTEZIONISMO E se a Roma le parole di Draghi vengono lette
controluce per cogliere ogni riferimento all'Italia e alle sue
prospettive, il cuore del messaggio resta l'Europa: in tempi di
incertezza globale è «più importante che mai» che resti unita. Secondo
il banchiere centrale i «rischi al ribasso» per le prospettive
economiche dell'eurozona «riguardano principalmente la minaccia di un
maggiore protezionismo» per le guerre commerciali tra Usa da un parte
e Cina e Ue dall'altra: l'Europa deve quindi «dare supporto al
multilateralismo e al commercio globale» per la prosperità.

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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