mercoledì 3 ottobre 2018

Imputabilità di Mimmo Lucano. Quell'antico dibattito tra diritto naturale e diritto positivo. Di Vincenzo Maria D’Ascanio

Il discorso sulle indagini sul Sindaco di Riace, probabilmente rientrerà nei libri di dottrina dello Stato diritto penale, filosofia giuridica e di Storia delle dottrine Politiche. Si tratta della secolare questione del diritto naturale contrapposto al diritto positivo. Ovvero, esiste un diritto (per esempio divino) che possa essere considerato superiore al diritto dello Stato (diritto positivo)?

Se l'idea che un qualsiasi diritto positivo, spinto al massimo delle sue potenzialità, tutto possa, ammettiamo come valido ordinamenti giuridici come quello nazista, mentre se spingiamo alle sue estreme conseguenze la validità deldiritto naturale dovremmo ammettere un ritorno ad una forma di società dove i Parlamenti non dovrebbero più legiferare, poiché la legge sarebbe inutile, in quanto invalidata da un diritto superiore d'impossibile individuazione (a meno che non si creda che il bene ed il male possano diventare delle categorie giuridiche, oppure possano esserci dati dai testi religiosi, in questo caso andremo verso un modello teocratico dello Stato simile a quello dei talebani)

Questa differenza di visioni del diritto ha avuto la sua mediazione nello "
Stato di diritto", una forma di Stato in cui l'unico ordinamento giuridico è quello statuale (diritto positivo) tuttavia intrappolato nelle maglie dei principi costituzionali (diritto naturale) che non posso in alcun modo essere violati. Caso tipico è la Costituzione della repubblica italiana, composta da due parti: la prima, immodificabile, dove sono contenuti i diritti ed i doveri del cittadino, la seconda, modificabile, dov'è contenuto l'assetto organizzativo dello Stato. Nella parte immodificabile della Costituzione abbiamo, per esempio, la libertà di stampa, di pensiero, il divieto di legiferare in contrasto col principio di uguaglianza ex articolo 3 della costituzione

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Proprio in base a questo principio in sindaco di Riace è punibile (se i giudici individueranno delle violazioni) a norma di legge perché, pur essendo modo da indubbi meriti sociali, ha violato a più riprese il principio di uguaglianza, da cui scaturiscono le leggi sull'assegnazione, per esempio, degli appalti. Qualcuno potrebbe obbiettare che il secondo comma ex articolo 3 della Costituzione potrebbe essere l'esimente

"E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

Tuttavia qui vediamo che deve essere la Repubblica, e non il singolo cittadino, a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale. Proprio nell'articolo 3 ex Costituzione possiamo trovare quella norma fondamentale che potrebbe inficiare molti provvedimenti del pacchetto sicurezza di Salvini, ricordando comunque che in questo caso la Costituzione prevede i "cittadini dello Stato", elemento per cui la "Bossi - Fini" non ha mai presentato elementi d'incostituzionalità.

Detto questo, non dimentichiamo che i padri fondativi dello Stato italiano hanno dovuto subire confini ed anni di prigionia per le loro opinioni politiche (uno di loro, tra l'altro, divenne Presidente della Repubblica). Dunque il sindaco di Riace non subirà il secondo elemento deterrente della pena: 
la disapprovazione sociale. Non essendosi arricchito personalmente (stando alle notizie) ma essendo mosso da principi umanitari, mi auguro che i giudici possano tenere conto di questa possibilità.

Infine, e per chiudere, viviamo in uno Stato di diritto, nessuno può violare la legge in base al proprio sentire, altrimenti ci ritroveremo a dover commentare l'assoluzione di atti abominevoli che hanno come presupposto un motivo politico che ha, come ulteriore presupposto, quello di essere dalla parte del giusto. Lasciare troppo spazio alla sindacabilità dei giudici (le cui sentenze devono essere rispettate, come devono essere rispettate le indagini delle procure, per non correre il rischio di diventare dei Berlusconi qualunque) potrebbe ledere la tripartizione dei poteri su cui si fonda lo Stato di dititto, e di certo l’elemento che maggiormente ci garantisce verso derive autoritarie dello stesso.

Vincenzo Maria D’Ascanio

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