martedì 2 aprile 2019

(02 Aprile 2000) Muore di cancro, all’età di 72 anni, Tommaso Buscetta.


"Le dirò quanto basta perché lei possa ottenere alcuni risultati positivi, senza tuttavia che io debba subire un processo inutile. Ho fiducia in lei giudice Falcone, come ho fiducia nel vicequestore Gianni De Gennaro. Ma non mi fido di nessun altro. Non credo che lo Stato italiano abbia veramente l'intenzione di combattere la mafia.“ (Tommaso Buscetta)

(02 Aprile 2000) Muore di cancro, all’età di 72 anni, Tommaso Buscetta, il più importante pentito di Mafia, che grazie alle due rivelazioni contribuì a delineare l'organigramma di "Cosa Nostra", le sue aree, sopratutto i suoi contatti politici e finanziari. Nei primi anni cinquanta fa il suo ingresso nel clan di Salvatore La Barbera. Negli anni sessanta e settanta, è a capo dell’organizzazione mafiosa che, appoggiandosi alla Mafia americana e alla malavita Corsa, gestisce il traffico di stupefacenti tra il Sud America, l’Europa e gli Stati Uniti.

Alla fine degli anni Settanta la seconda guerra di mafia contrappose il clan dei Corleonesi (capeggiato da Totò Riina e Bernardo Provenzano) a quello che aveva governato Cosa Nostra fino a quel momento (Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti, Salvatore Inzerillo e altri). La lotta per il controllo della nuova fonte di ricchezza, la droga, provocò centinaia di morti.

Lo schieramento vincente dei Corleonesi decise di eliminare Buscetta perché strettamente legato a Bontate, Inzerillo e Badalamenti ma, a causa dell'impossibilità di ucciderlo poiché si trovava in Brasile, attuarono vendette trasversali contro i suoi parenti: tra il 1982 e il 1984 i due figli di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati, inoltre, gli ammazzarono un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Alla fine della guerra i suoi parenti morti saranno circa 12.

Dopo gli omicidi dei suoi familiari, Buscetta era intenzionato ad uccidere il suo capofamiglia Pippo Calò, il cassiere della Mafia, che aveva fatto causa comune con i Corleonesi. Per questo avviò una corrispondenza con il suo associato Gerlando Alberti: cercava appoggi per poter tornare a Palermo; però Alberti fu ucciso in carcere e quindi il piano fallì.

L’arresto, avvenuto nel 1983, trova un Buscetta convinto a collaborare con la giustizia. Le sue confessioni sono fondamentali per le inchieste del giudice Giovanni Falcone. Nel 1984 lo stesso Buscetta fu estradato negli Stati Uniti ricevendo dal governo una nuova identità, la cittadinanza e la libertà vigilata in cambio di nuove rivelazioni contro la Cosa Nostra americana, testimoniando nel 1986 al Maxiprocesso di Palermo (nato dalle dichiarazioni rese a Falcone) e nel processo "Pizza connection", che si svolse a New York e vide imputati Gaetano Badalamenti e altri mafiosi siculo-americani accusati di traffico di stupefacenti.

Nel settembre 1992, in seguito agli attentati in cui morirono Falcone e Borsellino, Buscetta iniziò a parlare con i magistrati dei legami politici di Cosa Nostra, accusando gli onorevoli Salvo Lima (ucciso qualche mese prima) e Andreotti di essere i principali referenti politici dell'organizzazione. In particolare Buscetta riferì di aver conosciuto personalmente Lima (capo della Democrazia Cristiana in Sicilia, primo referente di Giulio Andreotti) fin dalla fine degli anni cinquanta e di averlo incontrato l'ultima volta nel 1980 durante la sua latitanza.

Riferì inoltre di aver saputo che l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (1979) sarebbe stato compiuto nell'interesse del sette volte capo del Governo: per via di queste sue dichiarazioni, Buscetta fu uno dei principali testimoni dei processi a carico di Andreotti per associazione mafiosa e per l'omicidio Pecorelli. Andreotti verrà assolto dall'accusa di aver commissionato l'assassinio di Pecorelli, mentre gli altri reati subiranno la prescrizione: in poche parole, i procedimenti su Andreotti furono archiviati.

Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel Mediterraneo, Buscetta muore di cancro nel 2000 all'età di 72 anni, non prima di aver manifestato, in un libro-intervista di Saverio Lodato (ed. Mondadori, 1999), il suo disappunto per la mancata distruzione di Cosa Nostra da parte dello Stato italiano




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