lunedì 1 aprile 2019

Ucraina e Comiche. Di Pino Cabras.



Sto considerando i numeri degli ‘exit poll’ e quindi il presente commento lo scrivo sulla carta velina e non sul granito. Tuttavia le tendenze delle elezioni presidenziali ucraine di domenica 31 marzo 2019 sono abbastanza nette: al ballottaggio del 21 aprile andrà il comico Volodymyr Zelensky, in testa con il 30% del suffragio, mentre Petro Poroshenko, il presidente in carica, insegue con il 17%.

Mi colpisce innanzitutto quest’ultimo dato: se venisse confermato, sarebbe stato ridotto a poca cosa un politico spregiudicato che per anni ha imposto al suo paese (e all’Europa tutta) un insieme di decisioni che solo un leader profondamente legittimato avrebbe potuto osare: ha dato una risposta prevalentemente militare alla crisi con le regioni orientali del suo Stato, ha sfidato la Russia e ha voluto la NATO in casa, ha riempito gli apparati repressivi di personale di ispirazione ideologica nazista, ha legato la sua economia ai dettami “austeritari” del Fondo Monetario Internazionale accompagnando un dimezzamento del PIL del suo paese, ha insomma sottoposto l’Ucraina a un trauma epocale come se avesse tutti quanti dalla sua parte, e invece ora tutto quel che raccoglierebbe in termini di voti non corrisponde nemmeno a un quinto dell’elettorato.

Al ballottaggio può certo succedere ancora di tutto e Poroshenko potrebbe perfino essere rieletto, ma la prima risposta degli elettori esibisce un giudizio severissimo. E allora, negli anni che hanno dato esito al golpe di Euromajdan, a cosa si era connesso Poroshenko? Non certo al suo popolo. Il comico Zelensky conferma invece una tendenza generale di tanti paesi, presso i quali la crisi delle vecchie “narrazioni” politiche viene travolta da narrazioni che usano i meccanismi dello show politicamente scorretto.

Sappiamo quanto questa rottura sia stata importante in Italia con Beppe Grillo, ma non è affatto l’unico caso. Lo stesso Trump, prima di sbaragliare gli avversari in politica, è stato a lungo un divo della TV popolare con colpi teatrali clowneschi ben padroneggiati. Nel 1980, in vista delle presidenziali francesi dell’anno successivo, tutti i sondaggi davano in fortissima ascesa il comico Coluche, che però si ritirò dopo pressioni e minacce di morte molto concrete.

Sono stati dei comici di successo anche l’attuale primo ministro della Slovenia, Marjan Šarec, e il presidente in carica del Guatemala, Jimmy Morales. Pure la crisi finanziaria dell’Islanda qualche anno fa produsse il successo politico del comico Jón Gnarr, il quale divenne sindaco della capitale, che propose scherzosamente di ribattezzare Gnarremburgo.

Non so se Kiev diventerà Zelenskyburgo. So però le sofferenze dei popoli europei risultano ancora più assurde alla luce dello sbiaditissimo consenso residuale dei loro vecchi tormentatori. Il grande musicista Frank Zappa diceva che “la politica è la sezione di intrattenimento dell’apparato militare-industriale”.

Quell’intrattenimento parla ormai una “langue de bois”, una lingua di legno che pronuncia parole vaghe, ambivalenti, incorporee o inutilmente solenni per distogliere l'attenzione popolare dai veri problemi, spesso molto gravi (in Ucraina disastrosi). La vecchia compagnia di giro della politica è ovunque in manifesta crisi, il re è nudo, mentre i popoli cercano strade nuove, ancora insufficienti ma già capaci di porre l’urgenza del cambiamento.

[nella foto: Coluche e Beppe Grillo sul set del film "Scemo di guerra"]

Di Pino Cabras

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