lunedì 15 aprile 2019

Federico Rampini: «Nella notte della sinistra trionfano i populismi Come si può ricominciare»


L’unione Sarda

Il giornalista di Repubblica mette nel mirino i dogmi del politically correct «Il primo passo è essere meno arroganti nel trattare le paure dei più deboli» «Nella notte della sinistra trionfano i populismi Come si può ricominciare»

di Angiola Bellu

La sinistra del ventunesimo secolo ha cambiato DNA. Ne deriva un suo crollo dovuto alla fuga del suo elettorato tradizionale, che non vede più in essa alcuno strumento di lettura dei propri bisogni e interessi e si rifugia nel populismo. Perché? La notte della sinistra (Mondadori, 16 euro) è il nuovo libro del giornalista e saggista Federico Rampini, in cui l'autore analizza senza pregiudizi dettati dal pensiero politicamente corretto, il declino dell'identità e della cultura delle sinistre occidentali. Un saggio coraggioso e libero, che invita a osservare il nuovo mondo globalizzato, le nuove paure dei suoi abitanti, le nuove povertà, senza fermarsi ossequiosamente davanti ai totem fino a ora intoccabili del pensiero progressista.

Ne abbiamo parlato con l'autore. Che cosa succede quando la sinistra considera mal riposte le paure della gente comune?  «Un luogo comune politically correct è quello di sostenere che in questo momento hanno successo i personaggi populisti perché cavalcano le paure. Come se la paura fosse una cosa orrenda di cui bisogna vergognarsi. Invece è un sentimento legittimo e la sinistra dovrebbe essere un po' meno arrogante nel trattare le paure dei più deboli.

La sinistra per molti anni ha chiuso gli occhi di fronte al degrado di interi quartieri periferici delle città; a quelli che hanno paura della criminalità, gli opinionisti di sinistra rispondono citando statistiche secondo cui i reati scendono. Non è questa la risposta giusta alla paura».
Quali sono le altre paure che non affronta la sinistra?
«Quella dall'impoverimento. Abbiamo in Italia, come in America, un ceto medio che si sente franare la terra sotto i piedi, che non ha condiviso l'ottimismo di tanta sinistra di governo sugli effetti benefici della globalizzazione. Sono temi molto scomodi, ma finché la sinistra non li affronta difficilmente tornerà a essere capace di rappresentare vaste maggioranze».
E la grande ondata migratoria?
«Questo è un libro che non parla solo della crisi della sinistra italiana; mi occupo di tutte le sinistre occidentali, che hanno problemi molto simili. Fa impressione guardare i numeri del tracollo della socialdemocrazia tedesca e del Partito socialista francese, ancora più antichi della nostra sinistra. L'immigrazione è uno dei grandi temi. Lo affronto parlando dei tempi in cui ero a Parigi negli anni Ottanta, quando cominciò lo spostamento elettorale.

La banlieue parigina, operaia, che aveva sempre votato comunista cominciò a votare Fronte nazionale a causa dell'immigrazione. Per la sinistra agiata dei quartieri chic di Parigi gli immigrati erano utili: fanno le pulizie, lavorano nei ristoranti etc. Per l'operaio della Renault, l'emigrato era il vicino di casa del pianerottolo che, alimentato da una cultura di vedetta nei confronti del colonialismo, cominciava ad incendiare le macchine, non quelle del centro ma quelle del vicino. Negli ultimi anni tutto questo ha generato fenomeni come Salvini in Italia e Trump negli Usa».

Lei scrive che la sinistra buonista sull'immigrazione ha voltato le spalle ad alcune delle sue visioni. In che modo? «Marx nel 1870, analizzando la fuga degli irlandesi da un'isola diventata un luogo di fame e di morte, scrisse da Londra sull'uso che i capitalisti inglesi facevano di questi disperati: erano manodopera disposta a lavorare per molto meno dei salari degli inglesi. Questo è il meccanismo dell'immigrazione, da sempre. Non è vera la formuletta che sbandiera la sinistra: vengono a fare i lavori che non vogliono più fare gli italiani. Spesso fanno lavori che alcuni di noi continuano a fare e ci si trova in concorrenza».

Lei parla anche di Agnelli che importava operai dal sud per indebolire la politica della Cgil del tempo. A cosa porta questo paragone nell'oggi? «Che l'emigrazione impoverisca i paesi di partenza è una realtà che noi italiani abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Molti dei nostri emigrati sono diventati classe dirigente negli Usa o in Germania o in Francia. In Africa, la metà dei medici formati nel poverissimo stato del Malawi lavora negli ospedali di Londra. Non li stiamo aiutando ma saccheggiando le loro risorse migliori. Non si capisce perché "aiutarli a casa loro" sia diventato uno slogan di destra. E' quello che la maggioranza di loro desidera: avere un futuro a casa propria senza essere costretti ad emigrare».

Perché scrive che se Obama avesse fatto in politica estera quanto fa
Trump avrebbe un altro Nobel, mentre Trump è la bestia nera? «A me Trump non piace: ho votato Bernie Sanders prima e la Clinton dopo. Tuttavia Trump è stato accusato di scatenare guerre protezioniste senza vedere che le ha iniziate la Cina prima dell'Occidente e le ha stravinte usando a proprio vantaggio le regole asimmetriche disegnate a suo favore dall'Organizzazione mondiale del commercio. Trump l'ha detto in modo rozzo e volgare, ma resta vero. E' stato accusato di essere dottor Stranamore, ma spesso sono le stesse cose dette da Obama. Questo si estende anche al tema dell'immigrazione».

La politica di Trump sull'immigrazione si riassume nella costruzione di un muro. Perché la sinistra dovrebbe accettarlo? «Il primo pezzo di muro l'ha costruito Bill Clinton, altri pezzi li ha tirati su Bush, con i voti democratici. L'idea che l'immigrazione vada controllata la sinistra americana l'ha condivisa e praticata fino a poco tempo fa».

Articolo tratto da “L’Unione Sarda” del 15 Aprile 2019

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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