domenica 4 agosto 2019

Thomas Sankara: il presidente che voleva cacciare gli occidentali dall'Africa. Di Vincenzo Maria D'Ascanio



«La nostra rivoluzione è, e deve essere, l’azione collettiva di rivoluzionari per trasformare la realtà e migliorare concretamente la situazione delle masse del nostro Paese. La nostra rivoluzione avrà avuto successo solo se, guardando indietro, attorno e davanti a noi, potremmo dire che la gente è, grazie alla rivoluzione, un po’ più felice perché ha acqua potabile, un’alimentazione sufficiente, accesso ad un sistema sanitario ed educativo, perché vive in alloggi decenti, perché è vestita meglio, perché ha diritto al tempo libero, perché può godere di più libertà, più democrazia, più dignità» (Thomas Sankara)

(04 agosto 1984) Lo stato africano dell'Alto Volta decide di cambiare il proprio nome in Burkina Faso, che significa "Terra di uomini integri". L'idea è stata del presidente Thomas Sankara che vuole suscitare un forte sentimento democratico nella popolazione. Sankara fu un leader che avviò una politica di lotta alla corruzione e alla povertà basata sulla self-reliance, ovvero un teoria fondata sull’emancipazione del popolo partendo dalle risorse (umane e materiali). Promosse istruzione, sanità e diritti delle donne, e tentò di smantellare le gerarchie del privilegio soprattutto risalente al periodo coloniale. Creò una Repubblica democratica popolare apartitica e definì la sua rivoluzione antimperialista, ispirata ad afro-socialismo e solidarismo.

Thomas Sankara era un uomo estremamente carismatico, come hanno raccontato molti suoi amici e collaboratori. Non aveva mai soldi con sé e spesso doveva chiedere ai parenti di prestarglieli. Nel poco tempo libero amava andare in bicicletta tra le strade di Ouagadougou per osservare con i suoi occhi le difficili condizioni in cui viveva il suo popolo. Sankara sosteneva la collaborazione tra le persone, e detestava la competitività, che aveva l’unica funzione d’ innalzare un individuo per schiacciare l'altro.

Uomo sempre gioioso ma al tempo stesso tenacemente determinato nel conseguimento degli obiettivi politici, era in possesso di una profonda umiltà. La sua casa era ricolma di libri letti e riletti più volte, e ne pagava regolarmente il mutuo. Detestava qualunque forma d’ingiustizia sociale e si mosse sempre in questa direzione, esprimendo con estrema franchezza il proprio pensiero in ogni circostanza, senza mai perdere un caratteristico tocco d’ironia che lo contraddistingueva e ne caratterizzava l’acume intelletuale.

Il suo rifiuto di pagare il debito pubblico di epoca coloniale, insieme al tentativo di rendere il Burkina autosufficiente e libero da importazioni forzate, attirò le antipatie di Stati Uniti d'America, Francia e Inghilterra, oltre che di numerosi paesi circostanti. Queste condizioni determinarono il colpo di Stato del 15 ottobre 1987, in cui all'età di 38 anni il giovane capitano Sankara fu assassinato dal proprio vice, Blaise Compaoré, con la complicità dei suddetti stati.

L'agguato. Ouagadougu, ore 16,30 di giovedì 15 ottobre del 1987. La sessione straordinaria del Consiglio Nazionale della rivoluzione del  Burkina Faso sta per avere inizio nel salone di un edificio, che si trovava in una zona nella periferia della città. Il breve corteo di auto che accompagnava Thomas Sankara,  (che nel frattempo aveva ricevuto numerose lettere anonime di minaccia), passa su una strada polverosa per raggiungere la recinzione che circonda l'edificio. Sull'auto, appena girato l'angolo, sono già puntate le armi dei suoi assassini.

Non c'è scampo per nessuno. Dagli arbusti attorno alla costruzione viene lanciata una granata contro la scorta. Viene colpita proprio l'auto con a bordo il presidente. A morire sul colpo sono il suo addetto stampa, Paulin Bamoumi e Frederic Ziembie, consigliere giuridico. Thomas Sankara è ferito e viene trascinato dalle guardie del corpo sotto il pergolato dell'edificio, e proprio da questo punto gli uomini della scorta reagiscono sparando verso i cespugli dai quali è partita la bomba. Ma si accorgono subito che non c'è scampo per nessuno. L'edificio è circondato, e le granata arrivano come volte di vento. Sankara trova addirittura la forza per alzarsi in piedi, ma viene definitivamente strocato da una raffica di Kalashnicov. Morirà in un lago di sangue, mentre attorno il commando finisce la strage, sparando a tutto ciò che si muove.

Nessuno, tra quanti si sono incaricati di scrivere la storia recente del Burkina Faso, ha escluso che dietro il violento colpo di Stato e l'omicidio di Sankara ci fosse la mano di Blaise Compaoré, ministro della giustizia, diventato presidente il giorno stesso dell'uccisione del giovane presidente e rimasto in carica  -  ininterrottamente  -  fino al 31 ottobre dell'anno scorso. Compaoré si è sempre rifiutato di autorizzare un'inchiesta sulle circostanze che hanno determinato la morte del suo predecessore. La responsabilità di Blaise Compaoré nell'assassinio è stato oggetto della prima azione contro il Burkina Faso, voluta sopratutto da Mariam Sankara, vedova di Thomas. Nell'aprile 2006, il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha emesso una condanna per il fallimento da parte del Burkina Faso per non aver indagato e dunque processato i responsabili del colpo di Stato. Compaoré ha proposto una "Riconciliazione Nazionale" che non ha trovato supporto nell'opposizione. Da alcune inchieste indipendenti si dimostrò che Compaoré non agì da solo, ma in collaborazione con quelle forze speciali che vedevano minacciati i loro interessi nell’area.

Thomas Sankara, ad ogni modo, è morto per la libertà del suo popolo e per emancipazione di tutta l’Africa. Sankara è morto per frasi come questa: "Ci hanno prestato i soldi gli stessi che ci hanno colonizzato. E allora, cos'è il debito se non un neocolonialismo governato dai paesi che hanno ancora ‘pruritì imperiali’?. Noi africani siamo stati schiavi e adesso ci hanno ridotto a schiavi finanziari. Quindi, se ci rifiutiamo di pagare, di sicuro non costringeremo alla fame i nostri creditori. Se però paghiamo, saremo noi a morire. Quindi dobbiamo trovare la forza di dire a costoro guardandoli negli occhi che sono loro ad avere ancora debiti con noi, per le sofferenze che ci hanno inflitto e le risorse immani che ci hanno rubato".

Celebre soprattutto per il suo discorso all'Organizzazione dell'unità africana contro imperialismo e neocolonialismo e per essere stato il primo presidente africano a riconoscere l'AIDS come grave piaga sociale, lanciò un'efficace campagna di vaccinazione e prevenzione. Rinunciò a qualunque beneficio personale come Presidente del Burkina Faso e, al momento della morte, gli unici beni in suo possesso erano un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto.

Vincenzo Maria D'Ascanio

Nessun commento:

Posta un commento