I giornali dovrebbero riflettere sulla montagna di soldi che
hanno speso inseguendo la chimera del web, cioè quell'idea che grazie al web
avrebbero incrementato i loro profitti. Di fatto, l'unico risultato raggiunto è
stata la webbizazione dei loro contenuti a sedicente larga diffusione che, chi
la cerca, la trova altrove e non presso le testate classiche che si sono messe
in testa di tirare per la giacchetta i lettori che se ne vanno.
Che la diffusione cartacea è in calo ed in ogni caso il consumo d'informazione on-line è aumentato è un dato di fatto, però è il caso di domandarsi se via-web ci si sia mossi così bene come raccontano gli spot, perché osservando il panorama giornalistico la sensazione che viene è come se, nell'ambito della ristorazione, all'apertura delle catene di fast food, i ristoranti, per paura della concorrenza, si fossero messi anch'essi a sfornare hamburger e patatine fritte. Dopo anni di tutto ciò, se ti va un pasto di qualità, non lo trovi nemmeno in cielo.
Ci sarebbe anche da domandarsi (web giornalismo compreso) se prendere a modello la televisione può essere un modello stilistico efficace: la TV è tutta roba che si prende di sfuggita e che nessuno ascolta (per motivi ovvi: tanto per cominciare occorrerebbe vivere di rendita per stare tutto il giorno a seguire le loro chiacchiere) per cui scientificamente (si fa per dire) scritta in sovraimpressione, con un montaggio opportuno (per cui fa narrazione), sopratutto inserzionata in accordo alla stessa narrazione per gente "fast-food-informata" che sulla qualità degli oggetti pubblicizzati ci va altrettanto sbrigativa (prima di tutto senza chiedere a se stessa quanto spende per convincersi a comprare ciò che vede pubblicizzato). Il web, secondo voi, funziona per inserzioni e spot?
Paolo Manca.
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