venerdì 5 luglio 2019

La strana morte del bandito Salvatore Giuliano. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.



(05 Luglio 1950) A Castelvetrano, in provincia di Trapani, viene ucciso il popolare bandito Salvatore Giuliano. Nato in una famiglia contadina, dall’età di undici anni affiancò il padre nel lavoro dei campi. Il 2 settembre del 1943 a Quarto Mulino di San Giuseppe Jato, mentre trasportava un carico di grano, Giuliano s’imbatté in una pattuglia di carabinieri e di guardie campestri che intendevano sequestrargli il carico. La sua reazione causò un conflitto a fuoco, al termine del quale un carabiniere fu ucciso. Questo episodio, sul cui esistono versioni discordanti, segnò l'inizio della carriera criminale del bandito, che cominciò allora la sua lunga latitanza.

Nello stesso periodo era molto attivo in Sicilia il movimento separatista, i cui capi ritennero che Giuliano potesse svolgere un ruolo utile alla causa dell’indipendentismo siciliano. Così, quando agli inizi del 1945, fu avviata la campagna di reclutamento nell'Esercito volontario indipendentista (EVIS) il Giuliano ottenne i gradi di colonnello, e la promessa di finanziamenti per rafforzare la sua banda.

Il bandito, che non aveva peraltro rinunciato a compiere atti di delinquenza comune, ebbe anche un ruolo politico, orientando il voto a favore dei candidati separatisti nelle elezioni per l'Assemblea Costituente al referendum istituzionale. Contemporaneamente godeva dell'appoggio della mafia e delle forze che avevano individuato nel separatismo lo strumento per mantenere in vita il vecchio sistema agrario latifondista.

Giuliano in seguito compì numerose azioni banditesche per combattere quanti, come il movimento contadino, il sindacato ed i partiti di sinistra, contrastavano questo disegno. In tale quadro si colloca l'eccidio di Portella della Ginestra (in cui furono uccise undici persone che festeggiavano la festa del lavoro) che rappresentò il fatto criminoso di maggiore risonanza. Per quanto la ricerca dei mandanti non sia mai approdata a conclusioni certe, risultarono evidenti le responsabilità degli ambienti politici siciliani interessati a intimidire le masse contadine che reclamavano la terra e avevano premiato il "Blocco del popolo" nelle elezioni del 20 aprile 1947.

L'ipotesi di collusioni e compromissioni di tali ambienti con il banditismo fu rafforzata dagli avvenimenti che portarono alla morte di Giuliano. Consapevole di essere divenuto ormai scomodo, il bandito fece una serie di accenni sui rapporti da lui intrattenuti con noti esponenti politici, che gli avrebbero garantito l'espatrio e l'impunità. In una lettera inviata il 2 ottobre 1948 all'Unità, chiamò addirittura in causa il ministro degli interni Scelba.

Nello stesso tempo il Giuliano alzò il livello della sfida sul piano militare, scatenando un’offensiva che ebbe il suo culmine nell'eccidio di Bellolampo, che coinvolse l’Arma dei Carabinieri. I militari erano a bordo di un autocarro che rientrava in caserma quando il mezzo fu investito dall’esplosione di una mina, collocata lungo la strada dagli uomini del bandito. Nell’attentato morirono sette Carabinieri, ed altri dieci rimasero feriti.

Nel frattempo gli altri banditi vicini a Giuliano cominciarono ad allontanarsi o addirittura tradirlo (in quest’ultimo caso il fatto non è completamente certo, vedere in seguito il caso Pisciotta). Il venir meno della rete di protezione rese il Giuliano quanto mai vulnerabile. I Carabinieri riuscirono ad ucciderlo, ma la versione ufficiale è poco credibile. Le dinamiche fornite dai Carabinieri contrastarlo in tutto e per tutto con l'autopsia. Le foto scattate, inoltre, apparivano come una montatura, infatti dal corpo crivellato di colpi non fuorusciva sangue (ciò significava che Giuliano fu sparato quando era già morto).

In seguito giunsero le incredibili rivelazioni di Gaspare Pisciotta, il secondo della Banda. Poco dopo la morte di Giuliano, Pisciotta fu catturato e incarcerato. Proprio in carcere fece la sorprendente rivelazione che fu lui ad uccidere Giuliano nel sonno, in base a delle istruzioni del Ministro dell'interno Mario Scelba e di aver concordato col colonnello Ugo Luca di collaborare, a patto che non fosse condannato. Questa versione appare tutt’ora la più accreditata. Nel 1954 Pisciotta fu avvelenato in carcere  con un caffè “corretto” con la stricnina.

Vincenzo Maria D’Ascanio


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