domenica 24 novembre 2019

La Primavera di Praga


(24 Marzo 1989) In Cecoslovacchia tutto il vertice del partito comunista si dimette per far posto al cambiamento democratico. A dimettersi sono 24 membri del Politburo, più o meno gli stessi sostenitori dei carri armati sovietici chiamati nel 1968 per respingere le riforme della Primavera di Praga. Col termine "Primavera di Praga" si vuole indicare un moto popolare, del 1968, che appoggiò il processo di democratizzazione e di riforme promosso da A. Dubček.

In Italia ed in tutta Europa sono i tempi della contestazione, della strage di Piazza Fontana con l'avvio della "strategia della tensione", dell'"autunno caldo" del 1969, del tentativo di golpe fascista da parte del repubblichino Junio Valerio Borghese (8 dicembre 1970). Inutile ricordare quello che sta accadendo nel mondo, dalla guerra nel Vietnam al Maggio Francese.

È in questi anni di crisi, che si colloca l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, per soffocare l'esperimento di "socialismo dal volto umano" portata avanti dai dirigenti comunisti a partire dalla fine del 1967, in primis da Alexander Dubček. Tale tentativo, che fu appunto chiamato la "Primavera di Praga", spazzò via in pochi mesi la stagnazione ed il conformismo tipici dei paesi socialisti del periodo brezneviano: Praga era veramente ridiventata la "mitica" città con la sua vita culturale vivacissima, ed i suoi celebrati misteri.

Il processo di destalinizzazione sviluppato in Cecoslovacchia dall’inizio degli anni Sessanta fu accompagnato da crescenti pressioni in senso riformista (soprattutto fra intellettuali e studenti) e da una forte ripresa dell’autonomismo slovacco. Dubček assunse la direzione del partito, L. Svoboda divenne presidente della Repubblica e O. Černik capo del governo.

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