giovedì 22 febbraio 2018

Rassegna stampa 22 Febbraio 2018


La Nuova

Su Facebook insulti e minacce alla Pes (Pd) Lei pubblica tutto e ribatte: «Non mi fate paura, vado avanti». Solidarietà da tutte le forze politiche

Tra chi le augura di subire cose terribili, c'è un uomo che nel suo profilo pubblica slogan contro la violenza sulle donne. Nonostante questo su Caterina Pes, deputata uscente del Pd e ricandidata al Senato, riesce a scrivere "disossatela!". È il primo degli "auguri" che l'esponente politico oristanese riceve sulla sua bacheca Facebook dopo avere pubblicato il proprio santino elettorale contenente l'invito a mettere la croce sul simbolo del Pd. "Te la metto sul petto", scrive uno. "In croce che ti mettano" aggiunge un altro. Per chiudere con il più articolato: "Devi dirci dove è il cimitero e cosa vuoi che ci scriviamo sulla lapide".

Tutti i commenti sono opera di uomini, tutti più o meno di mezza età, alcuni con evidenti nostalgie verso il Ventennio. La deputata Pes ha avuto un colpo al cuore nel leggere quello che Facebook le sputava addosso. Veleno, odio, nel puro stile degli haters boldriniani. E proprio come la presidente della Camera, Caterina Pes ha deciso di non stare in silenzio. Uno screenshot e via, gli insulti - così come i nomi e le facce degli autori - pubblicati sul suo profilo social, preceduti da questa frase: «Ecco alcuni simpatici commenti che ho ricevuto in questi giorni. Come vedete le argomentazioni politiche abbondano. Non mi fate paura, continuiamo a girare la Sardegna, ad ascoltare, a confrontarci. Sempre col sorriso».

La solidarietà non si è fatta attendere - da amici ma anche tantissimi avversari politici – così come la condanna per un episodio giudicato gravissimo, intollerabile e che non può finire così, con la sola gogna mediatica. In tanti suggeriscono alla deputata Pd di rivolgersi alla polizia postale. E lei confida che forse lo farà, ma intanto spiega quanto era importante non abbassare la testa. «Non mi era mai accaduto niente di simile - dice durante la pausa di un incontro elettorale a Siamanna - e sono rimasta interdetta. Persone che non conosco mi augurano di morire.

Sembra assurdo, soprattutto perché tra due settimane ci saranno le elezioni. Quale migliore strumento per esprimere dissenso e condivisione, se non il voto? Ho deciso di pubblicare quei messaggi perché di fronte a fatti del genere non si può restare inermi. Faccio un appello a tutti, perché si abbassino in toni e si recuperi la civiltà nelle comunicazioni. Io, intanto, vado avanti». (si. sa.)



Unione Sarda

«Noi siamo seri e affidabili: il Pd sta cambiando l'Italia»
Gavino Manca ricorda il suo impegno in Consiglio per la riforma del lavoro

Lavoro, lavoro, lavoro. È la priorità di Gavino Manca, sassarese, 47
anni, consigliere regionale da tre legislature. Renziano della prima
ora, Manca (che in via Roma presiede la commissione Lavoro e Cultura)
è in corsa con il Partito democratico per un posto da deputato
passando per il collegio 2 del proporzionale. «In questi anni», spiega
Gavino Manca, «mi sono impegnato in prima persona nella riforma dei
servizi per il lavoro e per la stabilizzazione dei precari. C'è tanto
da fare ma questo rimane lo snodo principale per far ripartire
l'Isola».

Visto dalla Sardegna: Europa madre o matrigna?
«L'Europa politica è una delle più grandi conquiste degli ultimi cento
anni: ha garantito una prolungata pace nel nostro Continente, ha
promosso l'uguaglianza e lo sviluppo dei diversi Paesi, puntando sulle
infrastrutture, sulla cultura, sul sociale e sull'ambiente come non
avviene in nessun'altra parte del mondo. Certo, Bruxelles è molto
lontana dai cittadini e va migliorato il processo di rappresentanza
negli organismi comunitari. Ma la Sardegna non può pensare di
staccarsi da questo processo e andare da sola. Sarebbe un suicidio».

Come sta il Partito democratico? Che impressioni le sta restituendo la
campagna elettorale?
«Tutti i giorni, nelle città e nei paesi, incontriamo il popolo dei
circoli. Questa campagna elettorale conferma che il Pd è l'unico
movimento veramente democratico che c'è in Italia. L'ultimo posto
rimasto dove è possibile fare vita politica, eleggere i propri
rappresentanti e confrontarsi su temi e programmi in modo schietto e
trasparente. Senza urne elettroniche gestite da una società privata.
Siamo un presidio della democrazia».

Lei è stato tra i primissimi a credere in Matteo Renzi. Rispetto
all'immediato post-referendum, oggi il Pd riesce a trasmettere il suo
spirito riformista?
«Renzi ha recentemente ricordato che il Partito Democratico è una
“forza tranquilla” riformista e affidabile. Il referendum non ha
fermato la nostra ambizione di riformare il Paese. Dopo il famoso 40%
delle Europee, Renzi avrebbe potuto “tirare a campare” cullandosi
sopra un consenso impressionante. Invece ha preferito proporre agli
italiani una riforma coraggiosa e necessaria. La crisi economica non
era ancora passata e i professionisti della paura e del disfattismo
sono stati più convincenti. Ma noi andiamo avanti perché l'Italia ha
bisogno del cambiamento».

Le liste chiuse a Roma sono state un elemento “ingombrante”. Alla fine
va sempre così, per tutti, ma al Pd vogliono “farla pesare”.
«Di certo i limiti e i ritardi dell'approvazione della nuova legge
elettorale hanno pesato anche su di noi. Resta però una differenza tra
il Pd e le altre liste e riguarda la qualità del personale politico.
Io penso che le persone che proponiamo agli elettori rappresentino nel
loro insieme una classe dirigente credibile, responsabile e
competente. Radicata nel territorio e accomunata dal senso delle
istituzioni. Si dica quel che si vuole ma tra di noi non ci sono né
paracadutati dal Continente né persone improvvisate».

Cinquestelle e Lega fanno breccia tra i moderati…
«I Cinquestelle e la Lega ci provano a indossare la maschera della
moderazione, per tranquillizzare i mercati, i partner internazionali e
l'elettorato più avanti negli anni. Ma nessuno dimentica il mix di
ignoranza e odio su cui hanno costruito il loro percorso politico. Non
hanno cambiato pelle e non la cambieranno. Fatevi un giro sul web e
guardate cosa dicevano i leghisti fino a poco tempo fa dei
meridionali».

Come andrà a finire? Berlusconi, Renzi e il Rosatellum... Un piano che
“costringe” alle larghe intese?
«Chi dice che centrodestra e centrosinistra si siano già accordati non
ha letto i rispettivi programmi. Ci sono differenze abissali: dal
rifiuto del neo-assistenzialismo alla vocazione europeista, dalla
lotta all'evasione fiscale ai progetti di riforma dello Stato.
Soprattutto ci differenzia un aspetto: il nostro programma non è stato
scritto per alimentare le paure degli italiani o per illuderli, ma per
trovare risposte concrete in grado di soddisfare i bisogni di tutti.
Noi stiamo correndo per governare da soli. Ma a differenza del
comportamento assunto dai Cinquestelle con Bersani, se sarà necessario
potremmo anche fare una scelta di responsabilità per il bene degli
italiani».
Nicola Scano

Minacce web contro Caterina Pes
Valanga di insulti sulla bacheca Facebook della deputata Pd. Lei: vado
avanti col sorriso

Uno degli haters (odiatori, ovviamente sul web) aveva addirittura in
bella vista, sulla propria pagina Facebook, lo slogan contro la
violenza sulle donne. Eppure questa apparente sensibilità non gli ha
impedito di contribuire alla valanga di insulti e minacce che ha
invaso la bacheca “social” di Caterina Pes, deputata del Pd che cerca
il rientro in Parlamento candidandosi al secondo posto del listino
proporzionale al Senato.

Un'ondata di odio nata non da una specifica presa di posizione
politica di Pes (che comunque non giustificherebbe gli eccessi), ma
dalla banale pubblicazione sulla bacheca della deputata di una sorta
di santino elettorale. Con l'ovvio invito: «Vota mettendo una croce
sul simbolo Pd». I commenti offensivi erano perlopiù giocati attorno
all'uso violento della «croce». Uno invece, più originale, ha scritto
un incredibile «disossatela».

È stata la stessa Pes a denunciare il fatto pubblicando - sempre su FB
- una piccola selezione di insulti, con una reazione molto sobria:
«Ecco alcuni simpatici commenti che ho ricevuto in questi giorni», ha
scritto l'esponente Dem, «come vedete le argomentazioni politiche
abbondano. Non mi fate paura, continuiamo a girare la Sardegna, ad
ascoltare, a confrontarci. Sempre col sorriso».

Raggiunta più tardi al telefono, mentre già piovevano attestati di
solidarietà da gente comune e da amici e avversari politici, Pes si è
detta determinata «a proseguire una battaglia per la libertà di
ciascuno di esprimere le proprie idee. Nessun problema se si
contestano le mie posizioni: ma è assurda una simile esplosione di
violenza per un semplice invito al voto, che è poi proprio il migliore
strumento a disposizione di chi volesse bocciare la mia attività
politica». In serata, ancora tramite Facebook, la deputata ha
ringraziato tutti «per la vicinanza dimostrata oggi», ribadendo la
scelta per una «politica fatta di confronto anche duro, ma nel
rispetto reciproco». (g. m.)

Renzi: «La partita è tutta aperta»
Il leader del Pd: possiamo essere il primo partito

ROMA La rotta è burrascosa ma Matteo Renzi non intende mollare i
comandi: qualunque risultato farà il Pd non si dimetterà. Anche con il
partito fermo al 20 per cento? «Assolutamente», risponde rievocando
quel personaggio di “Non ci resta che piangere”, che diceva «ricordati
che devi morire» e cercando di allontanare quella fase «di pessimismo
cosmico» che aleggia intorno al Nazareno. Negli ultimi dieci giorni,
ripete, «sono decisivi» i voti degli incerti, «la partita è totalmente
aperta» e si gioca «sul filo».

«Il nostro obiettivo è essere il primo partito e quindi il primo
gruppo parlamentare ed è alla nostra portata». Il leader dem è in
Sicilia e ancora una volta punta ai voti dei moderati, cercando di
strappare voti al centrodestra ricordando - a Messina così come a
Palermo - i trascorsi non certo felici di Matteo Salvini al Sud
(«ormai non è più Berlusconi il leader») e ricordando le mancate
promesse dell'ex Cavaliere, dal ponte sullo Stretto alla riduzione
delle tasse.

Renzi ribadisce quindi il suo no alle larghe intese. «Su
questo Berlusconi ha ragione - sottolinea - ma sbaglia a dire che noi
non teniamo. Berlusconi sta facendo una campagna che neanche il mago
Silvan». Intanto il segretario Pd incassa il nuovo endorsement
arrivato a Paolo Gentiloni. A tessere le sue Lodi, questa volta,
Giorgio Napolitano: è divenuto «punto essenziale di riferimento per il
futuro prossimo e non solo nel breve termine - scandisce il presidente
della Repubblica emerito - della governabilità e stabilità politica
dell'Italia».

M5S, quasi pronta la squadra
Di Maio: nel governo persone giuste al posto giusto

ROMA Meno undici all'Election Day che segnerà, probabilmente, un
pareggio di fatto tra le maggiori forze politiche del Paese. Luigi Di
Maio si prepara allo sprint finale verso le urne che culminerà nella
chiusura della campagna elettorale il 2 marzo in piazza del Popolo
insieme a Beppe Grillo e Alessandro Di Battista.

Il candidato premier è «fiducioso» in quanto «l'onda sta montando».
Attesa per la prossima settimana anche la rosa dei ministri. «Abbiamo
già quasi tutti i nomi, tra le migliori energie del Paese. Una squadra
di persone giuste al posto giusto. Saremo gli unici a farlo prima del
voto».

Di Maio si dice entusiasta «della squadra che stiamo creando». «Le
persone che mi stanno dando la loro disponibilità sono un patrimonio
di tutta Italia», assicura, sebbene si siano rincorse più voci circa i
rifiuti incassati dai Cinquestelle da parte di personaggi illustri che
non se la sono sentita di accettare la sfida di entrare in un
ipotetico governo pentastellato. Le ragioni dei no sembrano essere le
più diverse, non ultima il caso Roma e le teste saltate in
Campidoglio. Stretto riserbo, in ogni caso, sulle identità del
pantheon Cinquestelle.

A Silvio Berlusconi che «vorrebbe pure imbarcare» i candidati M5S che
non hanno restituito i soldi per il fondo del microcredito, di Maio
risponde: «Quasi tutti hanno già firmato il modulo con il quale si
impegnano a non accettare la candidatura quindi non potrà fare i suoi
giochetti».

Cagliari
Villa Devoto, sala Giunta intitolata a Lussu

Sarà intitolata a Emilio Lussu la sala Giunta di Villa Devoto. La
decisione è stata presa dall'esecutivo attraverso una delibera che
prevede, nell'ambito delle celebrazioni per i settant'anni dalla
promulgazione dello Statuto, di dedicare uno spazio altamente
simbolico della vita istituzionale della Sardegna a uno dei più
strenui difensori delle idee dell'autonomismo e del federalismo.
La proposta era stata fatta dagli assessori agli Affari generali ed
Enti locali, Filippo Spanu e Cristiano Erriu. L'occasione era stata un
convegno, tenutosi lo scorso 27 gennaio, ad Armungia: un appuntamento
programmato all'interno delle celebrazioni per il settantennale della
Carta autonomistica.

I due esponenti della Giunta Pigliaru,
riferendosi alla storia di Emilio Lussu hanno evidenziato «la sua
preziosa eredità politica e il patrimonio ideale di grande valore».
Erriu e Spanu, inoltre, sottolineano l'importanza del «pensiero e
dell'esperienza sia umana che intellettuale», del “Cavaliere dei
Rossomori”. «Si tratta di memorie incancellabili, da trasmettere alle
giovani generazioni, e di un forte impulso per il processo di
rinnovamento dell'autonomia della nostra Isola», concludono i due
assessori. (m. s.)

Giorgia Meloni «Prima l'Italia e la zona franca»

Ci sono sogni irrealizzabili: «Come sta la mia Sardegna?», chiede
Giorgia Meloni prima di partire per Cagliari, «mi manca. Vorrei starci
un po', fare un bagno al mare...». Ma in campagna elettorale e col
fresco di febbraio non si può, e lei lo sa. Poi ci sono sogni
altrettanto audaci, però chissà mai: «Mi piacerebbe essere la prima
premier donna», confida la leader di Fratelli d'Italia, «il Paese è
pronto».

Premier per fare cosa?
«Un governo di patrioti, che metta al centro dell'agenda il lavoro
italiano, le imprese italiane, la sicurezza, la difesa dei confini e
delle nostre identità e tradizioni: anche dal tentativo di
sostituzione etnica voluto dalla sinistra. In sintesi: la difesa
dell'Italia e degli italiani».

Salvini parla di flat tax, Berlusconi vuole ritoccare le pensioni. FdI
per quale proposta si caratterizza?
«Ovviamente la priorità è il lavoro, e non basta una proposta sola.
Cito però l'iniziativa “più assumi meno paghi”: una superdeduzione del
costo del lavoro per le imprese con alta percentuale di manodopera in
rapporto al fatturato».

Questo perché temete una ripresa senza occupazione?
«Esatto: non sempre se cresce la produzione cresce l'occupazione, per
varie ragioni. Noi aiuteremo le imprese con più dipendenti, rispetto a
quelle del web che hanno alti fatturati e pochi dipendenti».

Quale tipo di sviluppo auspicate?
«Vogliamo andare sempre più verso una tutela del marchio italiano. Nel
mercato globalizzato non potremo competere sulla quantità o su
prodotti non brandizzabili , in cui non si riconosca l'origine
nostrana. Siamo una nazione medio-piccola ma con un marchio
fortissimo: se non si può contraffarlo, non temiamo di stare sui
mercati internazionali».

E come si tutela il “brand”?
«Con la difesa feroce del made in Italy, in agricoltura e non solo.
Contro i trattati che non tutelano il marchio Italia e le nazioni che
fanno dumping all'importazione».
Anche l'agroalimentare sardo soffre di concorrenza sleale.
«Lo so benissimo, e sono prodotti unici al mondo. Non devono subire il
cosiddetto italian sounding . Più in generale, il punto è investire su
tutto quello che i cinesi non ci possono copiare».
Quindi anche nel turismo?
«Eccome. Intendiamo rivedere le competenze di Stato e regioni,
ragionare di Iva sul turismo, vincolare la tassa di soggiorno a
investimenti precisi».

Il caso Embraco era evitabile?
«Sì, se l'Italia avesse una seria politica contro le delocalizzazioni.
Proprio su questo abbiamo definito la nostra proposta di tassa piatta
(non parlo di flat tax perché non mi piacciono le parole straniere)».
C'era da immaginarlo. Cosa prevede la vostra proposta?
«Che valga solo per imprese che non hanno delocalizzato. E chi ha
ricevuto incentivi statali, se delocalizza deve restituirli. Aiutiamo
solo chi produce e assume qui».

Non è un problema che si risolve solo dentro i confini italiani.
«È chiaro che a monte c'è un nodo europeo: Embraco chiude in Italia
per aprire in Slovacchia, che applica il dumping salariale ed esprime
un commissario Ue che a noi ha creato vari problemi. Ma certo non può
porre il problema in sede europea un governo fantoccio come quelli
recenti. Lo farà il nostro governo di patrioti».
Ma il premier lo esprimerà il partito più votato della coalizione.
«Questa cosa funziona se tutti i nomi sono sul tavolo prima del voto.
Gli italiani devono sapere chi stanno scegliendo: fu proprio il
centrodestra a inserire il principio dell'indicazione del candidato
premier, anche se non formale».

Se fosse Tajani?
«Non è esattamente il mio modello. Vorrei qualcuno più capace di
battere i pugni in Europa. Però se FI prima del voto dice che il
candidato è Tajani e gli elettori la premiano, ne prendo atto».
Si sentirebbe più garantita con Salvini a Palazzo Chigi?
«Mi sento più garantita da me stessa. Con Salvini abbiamo fatto
battaglie importanti, ma ci sono anche differenze fondamentali».
È per superarle che ha proposto una manifestazione unitaria?
«Diciamo che dare segnali di unità farebbe bene al centrodestra, dopo
una campagna elettorale in cui sembra che scipparci voti tra noi conti
più che contenderli agli altri. A questo gioco, a dire il vero, FdI
non partecipa: perché così il rischio di apparire una coalizione
incapace di governare è reale».

Ma ancora non c'è l'ok degli alleati alla manifestazione, solo Salvini
sembra interessato.
«Vedo che lui ci sta invitando a partecipare alla sua chiusura della
campagna elettorale, ma è cosa ben diversa da ciò che ho proposto. Io
parlo di manifestazione unitaria, e ho indicato il primo marzo proprio
per non disturbare quelle di chiusura dei singoli partiti».

Ha anche scelto il luogo?
«No, ma direi in una località del Centro-Sud per dare un segnale di
attenzione al Mezzogiorno, dopo tante iniziative al Nord».
Insomma, c'è da temere più gli avversari o gli alleati?
«Beh, no, chiaramente noi vogliamo battere gli avversari. Ciò che temo
è la legge elettorale proporzionale, che infatti noi non votammo,
fatta per favorire il caos».

Il 4 marzo non vincerà nessuno?
«Il 4 marzo ci sono solo due possibilità: o vince il centrodestra,
l'unico che può avere una maggioranza chiara, o sarà il caos. E allora
può capitare di tutto. Magari un governo Gentiloni oppure, che so:
Minniti, Bonino. O Di Maio».

Mai larghe intese, per voi?
«In nessun caso. Chi ci sceglie sa che il suo voto non sarà mai usato
per un governo di quel tipo. I nostri candidati hanno firmato un
impegno solenne. Se non lo fanno anche i nostri alleati, confesso che
non mi sento tranquillissima».

Hanno firmato anche l'impegno a non cambiare casacca in Parlamento. Ma
se per la maggioranza di centrodestra fossero decisivi eventuali
fuorusciti dal M5S, lei come la prenderebbe?
«Chiederei che semmai diano la disponibilità a sostenere di volta in
volta le nostre proposte. Senza un ingresso stabile in maggioranza».

La sua visita a Cagliari inizierà da Sant'Elia. Perché?
«Lo stiamo facendo in tutte le città d'Italia: partiamo dai quartieri
popolari, dalle situazioni più complesse di abbandono. Come nelle aree
terremotate, dove da anni aspettano le casette. Mentre il governo in
un pomeriggio trova 20 miliardi per il Monte dei Paschi. O trova il
modo di aiutare il Sud del mondo ma non il Sud d'Italia. Vede, il
sentimento di insicurezza generato dai flussi migratori si lega anche
alle questioni economiche. Questa situazione disincentiva gli
investimenti, uccide il piccolo commercio».

Sardegna zona franca: secondo lei è una possibilità o un'utopia?
«Non solo è possibile: la consideriamo un diritto. Abbiamo avviato uno
studio serio per verificarne gli effetti su entrate e occupazione».

Quindi se vincerà il centrodestra sarà nel programma di governo?
«Di sicuro noi la proporremo».

Condivide la battaglia per inserire il principio d'insularità nella
Costituzione?
«Sono per il riequilibrio dell'insularità; non per un contentino in
Costituzione che resti inapplicato come tante dichiarazioni di
principio. Alla Sardegna, come al Sud, serve un piano straordinario di
investimenti in infrastrutture».

Lei difende la patria italiana. Nell'Isola però ci sono forti
sentimenti indipendentisti.
«Da patriota, comprendo i sentimenti d'appartenenza. Io però credo
nell'Italia unita, pur riconoscendo una specificità ai sardi,
orgogliosamente italiani da sempre. Attenzione però: oggi le divisioni
convengono ai poteri forti».

Che cosa intende dire?
«Che le piccole nazioni non possono competere nel mercato globale. Non
a caso dietro la questione catalana c'è Soros. Oggi per l'Italia
l'unità nazionale è la grandezza minima per difendersi».

La Nuova

Nuoro, il collegio rosso nel mirino di destra e M5s
La circoscrizione del centro Sardegna comprende anche Ogliastra e Marghine
Il Pd schiera Sabatini, l'ex Zidda con LeU. Murgia per FdI,
un'avvocata per i grillini

di Alessandro PirinawSASSARICentrodestra e Movimento 5 stelle
proveranno a strappare al Pd la roccaforte di Nuoro. Il collegio rosso
per antonomasia. Ai tempi del Mattarellum i tre vecchi collegi che
oggi compongono quello della Sardegna centrale - Nuoro, Tortolì e
Macomer - sono sempre stati appannaggio del centrosinistra. Anche
quando l'Italia, e il resto della Sardegna, sceglievano la destra.
Dall'ultima volta dell'uninominale sono passati 17 anni, ma alle
politiche il centro Sardegna ha sempre preferito la sinistra. Anche
nel 2013, quando l'Italia aveva abbandonato il bipolarismo per lo
scontro tra tre coalizioni: il centrosinistra aveva messo insieme il
37 per cento, il Movimento 5 stelle aveva strappato un ottimo 25,
mentre il centrodestra si era fermato intorno al 20. Il 4 marzo
saranno 10 i candidati in corsa nel collegio di Nuoro.

Centouno comuni
che vanno dalla costa orientale a quella occidentale. Barbagia,
Ogliastra e Marghine. Il centrosinistra schiera il consigliere
regionale del Pd, Franco Sabatini, presidente della commissione
Bilancio, che ha dalla sua anche l'appoggio delle liste Insieme, Più
Europa con Emma Bonino e Civica popolare Lorenzin. A sinistra Sabatini
se la dovrà vedere con l'ex sindaco di Nuoro, Mario Demuru Zidda, che
dopo avere lasciato il Pd ha aderito a Mdp e ora corre con Liberi e
uguali. Il centrodestra schiera il deputato uscente Bruno Murgia,
esponente di Fratelli d'Italia, capolista pure nel collegio
plurinominale del centro nord.

A sostegno di Murgia l'intero
centrodestra: Forza Italia, i centristi di Noi con l'Italia e la Lega
alleata del Partito sardo d'azione. È invece l'avvocata e criminologa
Mara Lapia, originaria di Oliena e Orgosolo, residente a Posada, a
correre sotto le insegne del Movimento 5 stelle. Un'altra donna è in
lizza con il Progetto Autodeterminatzione, la coalizione che mette
insieme la galassia indipendentista e identitaria: si tratta di Lucia
Chessa, per 10 anni sindaca di Austis, esponente dei Rossomori.

L'insegnante Anna Cacciatori, presidente della associazione
partigiani, è il nome della sinistra di Potere al popolo, Bruno Atzori
corre con il Partito comunista di Marco Rizzo. La mediatrice familiare
Alessandra Carbognin è la candidata del Popolo della famiglia di
Adinolfi, Massimo N. Maini corre con il Partito del Valore umano.
Infine, Giulia Serra è il nome scelto da Casa Pound per il collegio di
Nuoro.


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Federico Marini
skype: federico1970ca


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