domenica 30 dicembre 2018

(30 Dicembre2006) All'alba è impiccato l’ex rais iracheno Saddam Hussein


(30 Dicembre2006) All’alba è impiccato l’ex rais iracheno Saddam Hussein. “La condanna del criminale è stata eseguita”: con queste parole, la TV di stato irachena comunica la notizia dell’esecuzione di Saddam Hussein.

Prima di diventare Presidente e Primo ministro dell'Iraq (carica che conservava dal 1979, ovvero quasi quarant’anni or sono), il dittatore arabo ha avuto una vita ribelle. Nato ad Auja il 28 aprile 1937 si dedicò presto alla politica, unendosi al ramo iracheno del partito socialista arabo (il "Bath"). Condannato a morte per un attentato al leader politico Qasim nel 1959, ripara in Siria, poi al Cairo.

Rientrato in Iraq nel 1963, è stato eletto vicesegretario del Bath nel 1964 e, grazie alle sue carismatiche doti oratorie e di organizzatore politico, diventa il protagonista della rivoluzione del 1968, tesa a rovesciare il governo in carica. I tentativi per rovesciare lo "status quo" sono molteplici ma, in particolare, Saddam prende parte a due colpi di stato, assumendo il ruolo di responsabile della sicurezza.

Il Partito Baʿth aveva un programma progressista e socialista che puntava alla modernizzazione dell'Iraq. Saddam si attenne alla linea del suo partito e proseguì le riforme modernizzatrici completando diverse riforme che per il tempo ed il luogo possono definirsi storiche: la concessione alle donne di diritti pari a quelli degli uomini, l'introduzione di un codice civile modellato su quelli dei paesi occidentali (che sostituì la Sharīʿa) e la creazione di un apparato giudiziario laico, che comportò l'abolizione delle corti islamiche.

Dopo aver modernizzato il Paese negli anni di presidenza al-Bakr principalmente grazie ai profitti derivanti dalla nazionalizzazione dell'industria petrolifera, gran parte di tali proventi confluirono negli apparati di sicurezza iracheni, responsabili della repressione di ogni opposizione interna (Hussein è sopravvissuto a numerosi colpi di Stato, tentativi di assassinio e complotti), e nell'esercito. Tuttavia, il giudizio sulla sua dittatura è da considerarsi netto: egli ordinò numerosi massacri nei confronti dei suoi oppositori, e le carceri irachene diventarono famose per la loro durezza, chi vi entrava, spesso non ne usciva vivo. Comunque, molti sostengono che invadere l’Iraq per far cadere Saddam fu un grave errore strategico.

L’occidente, capitanato da George W. Bush e sull’onda dei grammatico 11 Settembre, in realtà puntava ai giacimenti petroliferi, anche perché le inchieste hanno dimostrato un dato certo: Saddam non possedeva nessun’arma atomica, non furono trovati siti in cui si preparava e non aveva nessun’arma di distruzione dei massa. A Bush si unirono anche Blair (Inghilterra), Aznar (Spagna) e Berlusconi (Italia), che furono i principali alleati degli americani. La caduta di Saddam provocò una guerra civile tra diverse formazioni armate presenti in Iraq (sunniti contro sciiti), guerriglia che continua ancora, mentre il dittatore era sempre riuscito a mantenere l’ordine, anche con atti criminali che tutti conosciamo. In breve, in Iraq accadde qualcosa simile alla morte di Tito in Jugoslavia.

L'ex presidente iracheno fu catturato da soldati statunitensi in un villaggio nelle vicinanze di Tikrīt il 13 dicembre 2003 in un piccolo bunker scavato sottoterra durante l'Operazione Alba Rossa. Sottoposto a processo dal 19 ottobre 2005 da un tribunale iracheno assieme ad altri sette imputati, fra cui il fratellastro, tutti ex gerarchi del suo regime, per crimini contro l'umanità in relazione alla strage di Dujail del 1982 (148 sciiti uccisi), il 5 novembre 2006 fu condannato a morte per impiccagione, ignorando la sua richiesta di essere fucilato.

Il 26 dicembre 2006 la condanna fu confermata dalla Corte d'appello.

In Occidente si ebbero giudizi fortemente contrastanti. George W. Bush, presidente degli Stati Uniti, espresse la sua completa soddisfazione, definendo la sentenza «una pietra miliare sulla strada della democrazia». Al contrario i governi dei Paesi dell'Unione europea, pur approvando il verdetto di colpevolezza, ribadirono la loro contrarietà di principio alla pena capitale, incluso quello italiano: Massimo D'Alema dichiarò «Siamo contro la pena di morte sia come italiani che come europei». Molti governi europei suggerirono all'Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione non lontana da quella russa.

Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch, criticarono la condanna a morte e lo stesso svolgimento del processo, che non avrebbe sufficientemente tutelato i diritti della difesa e che sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del governo iracheno e, indirettamente, da parte dell'Amministrazione statunitense.

Vincenzo M. D'Ascanio

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