giovedì 12 ottobre 2017

Rassegna stampa 12 Ottobre 2017

La Nuova

Fratoianni all'attacco: «Lavoro e ambiente Pigliaru è da bocciare» Il segretario di Si: Mdp riveda il suo sostegno alla giunta. Sul cantiere a sinistra: passi avanti, alternativi a destre e Pd. di Alessandro Pirina

Prove di unione a sinistra. Con il no alla fiducia di Mdp al governo Gentiloni ieri di fatto è nata la nuova Cosa che metterà insieme le varie anime della sinistra in vista delle politiche di primavera. Un cartello di partiti e movimenti da cui si è tirato fuori Giuliano Pisapia con il suo Campo progressista. E domani quella nuova Cosa di sinistra debutterà anche in Sardegna. A Sassari si ritroveranno tutte le varie anime della sinistra che non si riconoscono nel Pd. E neanche in questo caso saranno presenti esponenti del movimento di Pisapia, che nell'isola può contare sul sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.

A Sassari però ci saranno Mdp con Miguel Gotor, Possibile con Pippo Civati, e poi i Rossomori, Sardigna libera, Rifondazione, Pci, associazioni, urbanisti, esponenti della cultura. A fare gli onori di casa sarà Sinistra Italiana con Nicola Fratoianni, segretario nazionale del partito nato dalle ceneri di Sel, in queste ore in prima linea contro il Rosatellum. «Una legge costruita sulla convenienza della maggioranza attuale e di quella futura con Renzi e Berlusconi».

Fratoianni, a che punto sono i lavori nel cantiere della sinistra?  «Ci sono passi avanti. Mdp ha scelto con forza di uscire dalla maggioranza di questo governo. Lo ha fatto prima sul Def e ancora più convintamente sulla legge elettorale. Questo di per sé lo avvicina alle posizioni di chi è sempre stato all'opposizione».

Di questo cantiere non farà parte Pisapia. «Lui ha sempre detto di volere essere competitivo ma anche alleato del Pd. Io credo invece non ci si possa alleare con chi si è reso protagonista di una politica disastrosa sotto tutti i punti di vista. In questi mesi si è parlato di formule, nuovo centrosinistra e simili, ma noi puntiamo ad altro, a creare una piattaforma che metta al centro la vita delle persone. Ecco perché è fondamentale trovare la convergenza più larga possibile su una proposta esplicitamente alternativa alle destre sempre più fasciste, al Movimento 5 stelle che non è in grado di dare risposte, ma anche al Pd e alle sue politiche».

La Sardegna va in controtendenza: il dem Pigliaru è sostenuto da Mdp, mentre Campo progressista si è sfilato dalla maggioranza. «Mi verrebbe da dire: il mondo è bello perché è vario. Ma non è così. La giunta Pigliaru ha finora mostrato tutta la sua inadeguatezza sul lavoro: non è stata capace di attuare politiche attive per risolvere la grave emergenza occupazionale. Sull'ambiente poi è arrivata a mettere in discussione una delle principali conquiste dell'esperienza Soru: i vincoli a tutela di questa terra meravigliosa. Senza dimenticare la scelte negative in materia sanitaria. Credo che su questo terreno per i compagni di Mdp sia arrivato il momento di fare il punto: per costruire un nuovo orizzonte occorre valutare nel merito le scelte politiche».

La nuova piattaforma di sinistra viene bollata come la nuova Rifondazione comunista. «Rifondazione è stato un partito rimasto a lungo sulla scena e con risultati lusinghieri. Ma è una polemica poco interessante. Io voglio uscire dal dibattito astratto sulle formule, voglio un partito che abbia le idee chiare sulla parte in cui deve stare. E dunque dalla parte delle gente che in questi anni si è impoverita, la maggioranza di questo Paese. Una scelta di campo che
non è né estremista né irrealista».

Oggi terzo sì al governo, poi voto segreto. Tensione nei Dem
D'Alema: logorano la democrazia. Renzi: loro fiaccano il Pd
Prime due fiducie È quasi via libera
di Giovanni Innamorati

ROMAIl Rosatellum 2.0 supera i primi ostacoli nell'aula della Camera,
con l'approvazione di due delle tre fiducie poste dal governo.
L'obiettivo è di chiudere entro oggi la partita a Montecitorio.
Intanto infuria la polemica sulla decisione dell'Esecutivo: la fiducia
non solo ha indignato gli oppositori della legge, che hanno portato in
piazza i militanti, ma ha suscitato obiezioni anche nella maggioranza
e nel Pd, e persino nell'ex presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano. Il Pd difende la scelta, unico modo per portare a casa la
riforma elettorale. Che il governo abbia subito la richiesta della
maggioranza di porre la fiducia sul Rosatellum 2.0 lo ha dimostrato
l'assenza dei ministri sui suoi banchi; c'era solo il sottosegretario
all'Interno Giampiero Bocci.

In Aula si è verificato quello che i
gruppi avevano annunciato: le due fiducie sono passate con i voti di
Pd, Ap, Civici, Minoranze linguistiche, mentre FI e Lega sono usciti
dall'Aula per marcare il loro accordo sulla legge. il «no» è giunto da
M5s, Mdp e Fdi. Alla fine nella prima fiducia si sono registrati 307
sì, 90 no e 9 astenuti, mentre nella seconda ci sono stati 308 sì, 81
no e 8 astenuti. Le astensioni sono arrivate da quanti nella
maggioranza hanno definito «inopportuna» la fiducia, come alcuni
deputati di Des-Cd o, nel Pd, Gianni Cuperlo. Dissenso anche da Rosi
Bindi, che ha votato la fiducia, ma dirà «no» alla legge nel voto
finale. Matteo Renzi ha ricordato che la fiducia sulla legge
elettorale fu posta da De Gasperi nel 1953: «Si è parlato di
fascistellum - ha attaccato - abbiamo una torsione verso l'assurdo di
commenti che ci definiscono come fotocopia del fascismo. Ci rendiamo
conto della gravità di questa violenza verbale?

Il Rosatellun prevede
collegi in misura inferiore al Mattarellum ma dove sia l'elemento
fascista dei collegi sfugge». Il «no» delle opposizioni è stato
gridato sia in Aula che nelle piazze. Nel pomeriggio Mdp ha chiamato
nella vicina piazza del Pantheon i propri militanti, mentre i
simpatizzanti di M5s hanno ascoltato le «arringhe» di Luigi Di Maio,
Alessandro Di Battista e Roberto Fico davanti Montecitorio. Le parole
usate sono state forti («golpe istituzionale», attacco alla
democrazia»). E punta a mobilitare la piazza anche Beppe Grillo: «i
cittadini avranno la loro parte di responsabilità se nascerà
l'ennesima legge elettorale porcata». La fiducia sembra aver spezzato
anche il rapporto di rispetto di Mdp verso Paolo Gentiloni: «Ha perso
credibilità, uno con credibilità avrebbe detto «non ci sto», ha detto
Pierluigi Bersani. Giorgio Napolitano ha criticato il ricorso alla
fiducia che, ha sostenuto, «limita pesantemente» l'ambito di
intervento dei parlamentari.

E mentre l'avvocato Felice Besostri e
Roberto Fico tirano per la giacca Mattarella, invitandolo a non
firmare la legge, il capo dello Stato ha invitato a tenere a mente
l'obiettivo di avere una legge varata dal Parlamento: «La forza della
nostra democrazia sta nella capacità di rispettare la pluralità e di
comprendere quando è in gioco il bene comune».

M5S assedia Montecitorio Mdp sceglie il Pantheon
La divisione delle piazze romane nel giorno dell'opposizione al Rosatellum
Davanti a Montecitorio il trio Di Maio-Di Battista-Fico tuona contro la fiducia

di Francesca Chiri
ROMALa prima fiducia al Rosatellum passa con la piazza di
Montecitorio «gonfia» dei manifestanti chiamati dai 5 Stelle che
protestano e la sinistra che arringa contro il governo e contro il Pd
pochi metri più in là, al Pantheon. Il tam-tam diffuso via social dal
M5s riesce a mobilitare i cittadini che con la loro pressione, da fine
mattinata, sono riusciti a «sfrattare» l'altro Movimento, quello
dell'ex generale Pappalardo, che da martedì presidiava la piazza. E ad
offuscare i sostenitori di Rifondazione Comunista che si erano pure
loro dati appuntamento sotto l'obelisco per protestare contro il
Rosatellum. E che si sono poi trasferiti nell'altra piazza, quella
chiamata da Mdp e Sinistra Italiana.

Beppe Grillo non c'è, ma di prima
mattina si fa sentire dal suo blog: «non consegnate il vostro futuro
ai due imbroglioni» Renzi e Berlusconi. E si appella ai cittadini:
«avranno la loro parte di responsabilità se nascerà l'ennesima legge
elettorale porcata». Il garante M5s sarà a Roma oggi. La piazza, che
non ha lesinato fischi a Mattarella e Napolitano, lo aspetta ma non è
detto che voglia togliere gli onori del palco al nuovo leader M5s,
Luigi Di Maio, accolto dagli applausi mentre arrivava in piazza
accompagnato sia da Alessandro Di Battista, sia da Roberto Fico con i
quali ha intonato l'inno di Mameli. Il candidato premier è fiducioso:
la mobilitazione potrebbe davvero smuovere le acque e far naufragare
la legge elettorale. «Dovete fare sentire la vostra voce» e «poi
vedrete che ce la faremo: io ci credo molto perché ogni volta che noi
in Parlamento abbiamo avuto bisogno del popolo italiano, voi avete
risposto». E nella piazza che per tutto il pomeriggio si è sgolata
gridando «onestà, onestà», chiama alla protesta ad oltranza. Oggi il
popolo 5 Stelle sarà di nuovo davanti alla Camera per una «veglia per
la democrazia»: «abbiamo una battaglia da combattere, se domani non ce
la faremo l'appuntamento successivo è al Senato.

Noi siamo dalla parte
giusta della storia: se i partiti non perderanno sulla legge
elettorale, perderanno tanta gente che aveva ancora fiducia in loro»
dice. E ne pagheranno il conto nelle urne: «Vedendo questa folla sono
sicuro che alle prossime politiche li manderemo a casa». Il trio Di
Maio-Di Battista-Fico galvanizza. Il leader degli «ortodossi» lancia
il suo nuovo richiamo alle origini del M5s, alla derivazione
«gandhiana» e a quella francescana. «Oggi siamo qui per dire che siamo
fermi nelle nostre idee come nel primo V-Day, quando non avevamo
bisogno né di partiti, né di Tv, né di giornali. Quando iniziò quel
percorso dei Cittadini che si fanno Stato».

Di Battista, senza voce,
chiama alla battaglia: «hanno paura di noi, e fanno bene: noi siamo
non violenti ma non siamo coglioni». Con loro sul palco sale anche il
candidato in Sicilia, Giancarlo Cancelleri. Non c'è invece la sindaca
Virginia Raggi mentre a Torino dove, come a Milano è stato organizzato
un presidio di sostegno alla manifestazione romana, c'è anche Chiara
Appendino. E se in piazza il M5s ritrova l'unità interna, anche al
Pantheon va in scena la prima manifestazione unitaria della sinistra.
Con Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e Pippo Civati, che arrivano
insieme alla manifestazione, ci sono anche i «pisapiani» di Campo
Progressista. Massimo D'Alema attacca: la legge elettorale è
«inaccettabile, segno di irresponsabilità del gruppo dirigente del Pd
che logora la democrazia». Pierluigi Bersani si dice invece deluso da
Gentiloni: «da lui non me lo sarei aspettato, ha perso credibilità».
Tra bandiere rosse e «Bella ciao», applauditissimi gli interventi di
Cecilia Guerra ed Anna Falcone.

Pigliaru: stop allo Stato che si porta via 684 milioni - la trattativa
sugli accantonamenti

CAGLIARIQuanto sarebbe bello che, nella prossima Legge di stabilità,
il governo Gentiloni scrivesse: «Finora siamo stati troppo severi con
la Sardegna: 684 milioni di trattenute sono un'esagerazione. I milioni
saranno dimezzati». Sarebbe fantastico, ma ci vorrà ancora del tempo,
chissà quanto, per trascinare Palazzo Chigi sulla via della
conciliazione. Per ora c'è solo la trattativa riaperta,
ventiquattr'ore fa, a Roma, dal governatore Francesco Pigliaru e
dall'assessore al bilancio Raffaele Paci, con tre sottosegretari:
Maria Elena Boschi, presidenza del Consiglio dei ministri, Pier Paolo
Baretta, delegato dall'economia, e Gianclaudio Bressa, affari
regionali. Sette mesi dopo l'ultimo faccia a faccia, allora dall'altra
parte del tavolo c'era solo la Boschi, Pigliaru e Paci hanno
rilanciato la vertenza accantonamenti.

Il trio governativo ha
ascoltato la proposta della Regione, che è dimezzare l'importo dal
prossimo anno, poi annunciato «siamo pronti a discutere la richiesta»
tanto d'aver scritto in agenda: «La prossima settimana, vi daremo una
risposta». È stata questa la promessa di Boschi e più. L'importante è
che non finisca come ad aprile, quando sempre la sottosegretaria si
affrettò a dire: «Tranquillo, assessore. La convocheremo presto», e
invece da allora non s'è fatta più sentire. Stavolta l'impegno però è
anche col governatore e non mantenerlo sarebbe uno sgarbo
istituzionale esagerato.

I soldi sul tappeto. L'oggetto della disputa
sono i 684 milioni l'anno, dal 2016 è sempre quello l'importo, che lo
Stato trattiene alla Sardegna come contributo obbligatorio al
risanamento del debito pubblico nazionale. Sono tutte le regioni,
ordinarie e speciali, a pagare il pegno, ma da sempre Cagliari lo
considera sproporzionato. Con tanto di doppia motivazione: l'isola è
stata colpita più di altri territori dagli effetti devastanti della
crisi e ha bisogno di altri soldi - tra l'altro sono suoi - per
risalire. Poi c'è il secondo motivo.

Lo Stato ha aumentato «in maniera
unilaterale il carico degli accantonamenti senza confrontarsi con la
Regione», nonostante anche di recente la Corte costituzionale abbia
scritto: «Doveva e deve farlo».Richieste e risposte. «Al governo
l'abbiamo ripetuto: il nostro contributo non è equo - ha detto
Francesco Pigliaru - Ho visto la disponibilità del governo a
continuare nel dialogo, ma i tempi sono stretti: c'è in arrivo la
Legge di stabilità nazionale». Da mercoledì prossimo potrebbe
cominciare la vera trattativa: «Partiamo da 684 milioni - ha ricordato
l'assessore Paci - e dovremo trovare un punto d'incontro. Noi abbiamo
proposto di dimezzare l'importo, da 684 a 342 milioni, e stabilire
anche un importo fisso per i prossimi tre-cinque anni, come hanno già
ottenuto le Province autonome di Trento e Bolzano».

Attraverso l'Agenzia Dire è arrivata la risposta ufficiale del governo: «Abbiamo
ascoltato con molta attenzione le richieste della Sardegna - ha detto
il sottosegretario Bressa - Le valuteremo e fra un settimana
potrebbero essere gettate le basi per un confronto tecnico
bilaterale». L'importate, al di là delle cifre, è che il governo
rispetti almeno l'appuntamento preso.I contestatori. A sorpresa la
prima critica alla missione della giunta a Roma è arrivata dal Partito
dei sardi. Da sempre molto attento a ogni passaggio delle varie
vertenze con lo Stato, il capogruppo Gianfranco Congiu ha detto in
Consiglio: «Queste trattative non possono essere più o meno segrete.
Il presidente della giunta deve informare l'aula di come vuole
confrontarsi con lo Stato».

È possibile che sin da oggi il Pds
ufficializzi questa richiesta: «La giunta aggiorni i consiglieri su
quali potrebbero essere gli esiti dei diversi vertici finanziari a
Roma». I commenti del centrodestra sono stati è ovvio ancora più duri.
Forza Italia, col coordinatore Ugo Cappellacci, ha detto: «Pigliaru
smetta di fare da palo al governo e chieda la restituzione dei tre
miliardi scippati finora alla Sardegna». Significativa anche la presa
di posizione del gruppo Fdi-An: «Smettiamola con i viaggi della
speranza. È arrivata l'ora di battere i pugni sul tavolo». (ua)

Il futuro dell'ospedale sarà discusso alla fine del dibattito sulla riforma
La maggioranza evita il ko rinviata la scelta su Lanusei di Umberto Aime

CAGLIARIMeglio evitare scivoloni, in aula, quando soffia ancora la
tempesta. «Bisogna far calmare gli animi, martedì abbiamo rischiato di
andare sotto... sulla sanità non possiamo concederci neanche un passo
falso falsi». Sarebbe stato più o meno questo lo scambio di messaggi e
bigliettini, tutto interno al Pd e in parte anche alla maggioranza,
quando mancavano pochi minuti all'ora dei lunghi coltelli. Cioè: il
voto palese, nessuno ha chiesto quello segreto, sull'emendamento
polveriera, presentato da Franco Sabatini, ogliastrino del Pd, che
riconosce subito il primo livello all'ospedale di Lanusei, ora
bloccato su un più generico «con funzioni superiori» ma pur sempre
«solo di base».

Emendamento che si sa, è contrastato invece,
«attenzione, potremmo scatenare un pericoloso effetto domino», da una
parte del partito di maggioranza relativa. Così dopo quel via vai di
contatti da una banco all'altro del centrosinistra, l'emendamento
dall'effetto dirompente - pare sia pronta da tempo una maggioranza
trasversale con i numeri per approvarlo - è stato rinviato all'ultimo
giorno utile prima del via libera finale alla riorganizzazione degli
ospedali. Finirà in coda anche all'altro caso complicato, quello del
punto nascita di La Maddalena. Balzo in avanti. Su La Maddalena però,
ora è ufficiale, Pierfranco Zanchetta dell'Upc ha strappato ancora
qualcosa in più ai relatori di maggioranza.

L'ultima conquista è stata
che «comunque la Regione chiederà una deroga speciale al ministero per
evitare la chiusura», finora non l'ha fatto, poi «c'è la certezza che
il percorso nascita sarà potenziato, con l'arrivo a turno di
ginecologici dall'ospedale Giovanni Paolo II» e infine «il reparto
resterà aperto anche quando saranno a pieno regime gli standard di
sicurezza previsti per il trasporto della madre e del neonato». Anche
questo emendamento sarà discusso la settimana prossima e sembra che
sul testo, c'è ancora qualche piccola correzione da fare, il
centrosinistra sia ormai quasi tutto d'accordo. Ma per Zanchetta è
stato un giorno magico anche per altri due emendamenti. Ha ottenuto la
riapertura sicura del reparto di pediatria, con l'aumento dei posti
letto da due a tre, più «la camera iperbarica fissa nell'ospedale
Merlo di La Maddalena».

Invece solo per «la mancata copertura
finanziaria», in parole spicce nella Legge di stabilità regionale non
esiste un capitolo di spesa dedicato, non è passato un suo terzo
emendamento. Prevedeva «il contributo di 3mila euro alle famiglie
delle partorienti trasferite dal Merlo a Olbia».. L'appello
dell'Ogliastra. Franco Sabatini l'ha lanciato a metà della seduta
pomeridiana, dopo aver capito che, in questa battaglia, avrebbe
ricevuto un bel po' di voti in soccorso dal centrodestra, pronto
eccome a schierarsi contro la giunta. Ma Sabatini, nell'arringa, ha
esordito così: «Non chiederò a qualcuno di sollecitare il voto
segreto. Io non lo posso fare, non sono un capogruppo. No, voglio che
su Lanusei tutto avvenga alla luce del sole. Perché l'Ogliastra non
vuole vincere con i colpi di mano, né pretende nuovi reparti. Abbiamo
già la rianimazione, e quindi il nostro ospedale ha tutto perché gli
sia riconosciuto subito il titolo richiesto. Vorrei ricordare - ha
continuato - che se così non fosse, saremmo gli unici a non avere una
struttura di quel livello nel territorio.

Vorrei ricordare ancora che
la promozione del nostro ospedale non costerebbe un euro alla Regione:
lo ripeto, abbiamo tutto». Durata quattro minuti, vissuti tutti d'un
fiato, l'arringa è stata ascoltata con attenzione dai banchi del
centrosinistra, diversi i volti preoccupati, e da quelli del
centrodestra, in cui nel frattempo era cominciata la conta per puntare
alla vittoria. È stato a quel punto che il capogruppo del Pd, Pietro
Coco, ha intuito la mal parata e si è rifugiato in « un minuto di
sospensione». Poco dopo Sabatini si è rialzato: «Credo che tutti
abbiamo bisogno ancora di riflettere sul caso Lanusei e quindi è
necessario rinviare il voto». Forse sta per essere raggiunto il giusto
compromesso, grazie anche alla pressione del centrodestra, e fra
qualche giorno l'Ogliastra potrebbe avere quello che rivendica.Ozieri
cresce ancora.

Dopo ave ottenuto il riconoscimento del primo livello,
in accoppiata con Alghero, sarà nel 2018 appena verrà aperto il
reparto di rianimazione, Ozieri non dovrà rinunciare neanche alla
radiologia interventistica vascolare, è stata difeso da Mdp. Sempre su
Ozieri è stato deciso il messaggio lanciato da Giorgio Oppi dell'Udc:
«Sul primo livello ai due ospedali anche l'opposizione s'è battuta con
forza in commissione ed ecco perché dico all'assessore: i tempi
burocratici per la Rianimazione dovranno essere azzerati». Oggi doppia
seduta con all'ordine del giorno Nuoro, Cagliari, il Sulcis e
Oristano.

Bruno esce rafforzato dall'ennesimo strappo in aula. E le dimissioni
annunciate potrebbero anche non essere necessarie
Comune, la crisi si sposta in casa Pd

Tutto quello che il Pd chiede al suo congresso è un segnale di unità.
Non si sa come si possa riuscire in questo miracolo, ma di certo c'è
una sola persona che potrebbe centrare il risultato. Mario Salis,
medico, stimato professionista, segretario uscente, ha guidato il Pd
algherese dai suoi primi vagiti sino alle urla e agli scontri di
queste ultime settimane. L'ha fatto sempre con grande sobrietà, con
una incrollabile fiducia nel sistema partito e nel progetto del
Partito democratico. Sono doti che dalle parti di via Mazzini, ma
anche a Porta Terra e nelle altre sedi più o meno pubbliche in cui si
radunano i democratici di varia estrazione, gli riconoscono tutti.
Anche quelli degli altri partiti, sia di centrosinistra che di
centrodestra. Sino a qualche giorno fa sembrava che Mario Salis, dopo
due mandati, dovesse abdicare. Ulteriori approfondimenti hanno
permesso di verificare che una sua nuova elezione alla guida del Pd di
Alghero non avrebbe ostacoli formali.

Se qualcuno ha voluto accertarsi
è proprio perché Sassari e Cagliari vorrebbero che il Pd cittadino si
proiettasse molto oltre la crisi della giunta Bruno e iniziasse a
ragionare del futuro. Ebbene, non c'è un altro nome che possa fare
sintesi come il suo. Le sue ultime dichiarazioni, prima della
convocazione del congresso, sono state chiare. «Bruno ha fallito, ma
il Pd non ha nemici, dialoga con tutti e il suo campo è il
centrosinistra». Ci siamo. (g.m.s.) di Gian Mario SiaswALGHEROÈ come
se si fosse dimesso. Il suo ennesimo annuncio ha avuto lo stesso
effetto: riproporlo al centro della scena, concentrare il dibattito su
un dopo che non arriva mai e trasferire in via Mazzini il confronto
sul futuro del centrosinistra in città. Non si è dimesso e forse non
lo farà. Mario Bruno si gode l'ennesimo scacco inflitto ai suoi
oppositori dalla finestra di Facebook.

Ieri, già di buon mattino, si
perdeva il conto dei post pubblicati per elogiare la sua
amministrazione. La circonvallazione, la Sassari-Alghero, le scuole,
le strade, il verde, città della cultura, città creativa, città di
questo e di quello. Come uno scioglilingua, una specie di rosario,
recitato tutte le santissime mattine dal pulpito virtuale della sua
bacheca social.Il suo è un modo per ricordare a tutti che sarebbe un
peccato interrompersi a un terzo del cammino: quaranta mesi già
trascorsi da quando è sindaco di Alghero, altri venti ancora da
passare alla fine del mandato, che evidentemente conta di portare a
termine. La speranza è ben riposta: le prossime settimane, tra
congresso cittadino, rimpasto di giunta e riassetto in maggioranza, lo
incoroneranno ancora guida del centrosinistra di Alghero. E sarà un
centrosinistra a forte trazione democratica.

Mario Bruno sembra uscire
più forte dalla complicatissima crisi amministrativa che da giugno ha
asfissiato gli algheresi più che appassionarli. È riuscito a farla
franca senza presentare le dimissioni, da lui annunciate in luglio e
in agosto e pretese in settembre e in ottobre dal capogruppo del Pd in
consiglio comunale, Mimmo Pirisi. Il consigliere dem, che sta facendo
acrobazie per tenere uniti i due mondi con cui vorrebbe mantenere
lealtà, non ci rimarrà male se anche questa volta le dimissioni non
arriveranno: sa anche lui che l'importante era quella dichiarazione,
utile ad aprire il dibattito pre-congressuale. Altri segnali della
vittoria di Bruno: il Pd è sempre più diviso. Dopo Raniero Selva e
Mimmo Pirisi, abbandonano l'ortodossia anche Franco Santoro e Tonino
Alfonso. Dopo essersi presentato in aula, tra il pubblico, a braccetto
con Luigi Lotto e Salvatore Demontis, Santoro flirta spudoratamente
con i bruniani. Alfonso, dal canto suo, si lancia in strali verso i
suoi compagni, dai quali prende improvvisamente le distanze. A queste
condizioni, il congresso cittadino del 21 ottobre sarà un regolamento
di conti. Con vincitori, e sconfitti.

Dopo Luigi Lotto, nel novero dei
primi si iscrive anche Salvatore Demontis. «La soluzione adottata ad
Alghero era l'unica possibile e responsabile, si trattava di decidere
se provare a ricostruire il centrosinistra oppure consegnare la città
al centrodestra, dopo nove mesi di commissariamento», commenta il
consigliere regionale soriano, «il centrosinistra non può prescindere
dalla presenza del Pd e il Pd non ha altra strada se non quella del
centro sinistra». Tra i vinti non ci sono autocandidature

Unione Sarda

Sono immigrati tre sardi su cento

Tre sardi su cento sono immigrati, provengono soprattutto dalla
Romania, e in misura decisamente minore da Senegal e Marocco, sono
costantemente in aumento e di solito si stabiliscono nell'Isola
prendendo, in molti casi, la cittadinanza italiana. Aumentano i
bambini, i richiedenti asilo o protezione internazionale, crescono di
sette volte rispetto al 2011 gli stranieri che diventano italiani a 18
anni, calano coloro che arrivano per motivi di lavoro.
È l'Istat a fornire una fotografia del fenomeno migratorio italiano e
di quello sardo. Un quadro dal quale emergono differenze territoriali.

Se a livello nazionale i paesi più rappresentati sono Marocco,
Albania, Cina, Ucraina e Filippine, nell'Isola quasi trenta immigrati
su cento sono rumeni, poco meno di 9 sono senegalesi o marocchini,
quasi sette sono cinesi, seguiti dai filippini e via elencando.
L'APPRODO NEL SASSARESE Dei 50.346 immigrati con regolare permesso di
soggiorno che risiedono stabilmente in Sardegna (qui non si parla dei
5500 migranti ospiti dei centri di accoglienza), 21.739 (il 43,2%)
hanno scelto di stabilirsi nell'attuale provincia di Sassari,
soprattutto in Gallura, mentre Cagliari ospita meno di trenta
stranieri su cento (14.242), solo dieci su cento si insediano nel
Nuorese, nell'Oristanese si contano 3.140 stranieri (il 6,2%) mentre
nella provincia sud Sardegna risiedono 5.841 immigrati (l'11,6%).

L'INTEGRAZIONE Come si integrano? Trattandosi in prevalenza di persone
che provengono da paesi economicamente più arretrati, hanno bisogno di
imparare la lingua, i costumi, le leggi fondamentali, un mestiere. «Se
prima venivano spontaneamente perché avevano fretta di integrarsi,
oggi non è così. L'integrazione viene imposta dalle istituzioni e così
spesso quando arrivano da noi non seguono le lezioni, chiacchierano,
disturbano», racconta Eugenia Maxia, presidente dell'associazione
Alfabeto del mondo, 400 stranieri assistiti. In dieci anni ha visto
cambiare tutto. «Sino a tre-quattro anni fa venivano da noi dieci
minori in un an

no, oggi sono cento». Non a caso tra i corsi che
organizzano sono aumentati quelli per le mamme con figli: «Imparano
l'italiano, i fondamenti di informatica mentre i bambini vengono
accuditi o, se sono in età scolare, vengono supportati per potersi
inserire». In dieci anni sono aumentate anche le nazionalità: «Avevamo
persone di 40 nazionalità diverse, oggi sono 63».

IL FENOMENO Del resto l'integrazione è un fenomeno complesso e va
governato come tale. Secondo Aide Esu, docente di Sociologia al
dipartimento di Scienze sociali e delle Istituzioni dell'università di
Cagliari, c'è molto da fare. «Nella nostra regione assistiamo a
contrapposizioni sociali accentuate da una condizione economica
critica, con una disoccupazione e una povertà più diffuse di quanto si
percepisca. Per questo occorre governare meglio il fenomeno
dell'immigrazione, ad iniziare da una comunicazione con i cittadini da
parte delle istituzioni mirata anch a rassicurarli. Oggi, invece, la
governance è fragile, disorganizzata. Insomma, stiamo affrontando un
cambiamento epocale ma la nostra società non è ancora pronta. Ormai
viviamo in una società aperta e giocoforza dobbiamo confrontarci»,
aggiunge.

«CULTURE DINAMICHE» «Le culture non sono più blocchi statici ma
dinamici che garantiscono un arricchimento. A proposito di
comunicazione, dovremmo spiegare meglio che molte delle popolazioni
che oggi vengono da noi sono quelle a cui abbiamo sottratto risorse
nell'era dell'industrializzazione. Governare il fenomeno», conclude
Aide Esu, «significa anche formare adeguatamente i nostri studenti
perché imparino a gestire situazioni nuove. Un medico, ad esempio,
deve sapere che il corpo di un musulmano va trattato in modo diverso,
un mediatore culturale deve sapere che se una donna non guarda
l'interlocutore negli occhi lo fa per rispetto e non per la mancanza
di esso».
Fabio Manca

Tagli alle entrate, primi spiragli Vertice Pigliaru-Boschi a Palazzo Chigi. Ma opposizione e Pds attaccano: «Metodo sbagliato»
Aperta col governo la trattativa per ridurre gli accantonamenti

A furia di bussare si è aperto almeno uno spiraglio. Ci sono voluti
quattro incontri a Roma, ma nell'ultimo - ieri - il governo per la
prima volta ha avviato una trattativa sul taglio degli accantonamenti:
cioè i 684 milioni annui che la Sardegna versa allo Stato (o meglio:
che lo Stato trattiene dalle nostre entrate) come contributo al
risanamento del debito pubblico nazionale.

Non c'è ragione di esultare, perché l'esito del confronto è tutto da
vedere. Però quantomeno il governatore Francesco Pigliaru e
l'assessore al Bilancio Raffaele Paci non tornano da Palazzo Chigi con
l'ennesimo no. Al vertice c'erano la sottosegretaria alla presidenza
del Consiglio Maria Elena Boschi e i sottosegretari all'Economia e
agli Affari regionali, Pier Paolo Baretta e Gianclaudio Bressa. E a
differenza degli incontri precedenti, stavolta è emersa la
disponibilità a definire una somma condivisa.

LE CIFRE Quale sarà, per ora non si può prevedere. La Giunta chiede
«almeno un dimezzamento», ma in una trattativa si deve trovare un
compromesso. E il calcolo dello Stato parte non da 684 milioni ma da
842, per via del prelievo aggiuntivo previsto, per il 2018, dalla
legge di stabilità dell'anno scorso: subordinato però a un'intesa che
la Regione non ha dato. Il dimezzamento di cui parlano Pigliaru e
Paci, comunque, è riferito agli attuali 684 milioni.

Di sicuro «la cifra che paghiamo adesso è decisamente sproporzionata -
ha detto il governatore - per una Regione che ha un Pil come il nostro
e paga ancora le conseguenze di una crisi economica devastante». Il
dossier preparato a suo tempo dalla Giunta, e discusso già a marzo con
Bressa, dimostra che gli accantonamenti imposti alla Sardegna pesano
fino al 2,13% del Pil: quasi quanto il Trentino e ben più del Friuli,
malgrado le loro economie siano più solide.

L'INTESA Tra le ragioni per cui il sacrificio preteso dall'Isola è
ritenuto eccessivo c'è poi la necessità, confermata dalla Corte
costituzionale, che il contributo alla finanza pubblica abbia una
scadenza e derivi da un'intesa con la Regione, non da un'imposizione.
La novità di ieri è appunto la volontà del governo di definire
un'intesa pluriennale sulla cifra.

Se verrà trovata, la Sardegna non potrà subire ogni anno ulteriori
stangate dalla legge di stabilità nazionale. «Vogliamo regole chiare,
certe ed eque», ha precisato Pigliaru. «È il metodo già seguito da
Trento e Bolzano», ha aggiunto Paci, «che si è dimostrato solido
rispetto ai contenziosi. Poi dev'essere chiaro che il contributo non
dev'essere per sempre. È positivo che dalla prossima settimana si
entri in una fase molto operativa».
Ci si rivedrà infatti mercoledì 18 al ministero degli Affari
regionali, con Bressa e Baretta: la Giunta si aspetta di ricevere in
quell'occasione la controproposta del governo, e allora si capirà se
ci sono i margini perché la trattativa abbia successo.

REAZIONI «Prima di firmare qualsiasi accordo lo sottoporremo alla
valutazione del Consiglio regionale», ha assicurato Pigliaru
all'uscita da Palazzo Chigi. Questo però non ha tranquillizzato il
capogruppo del Partito dei sardi Gianfranco Congiu: «Il confronto è
improntato sull'ennesima insopportabile rivendicazione, e parte senza
una preventiva condivisione in maggioranza», ha dichiarato,
annunciando di aver chiesto un'audizione urgente del governatore. Al
Pds sta a cuore la difesa dell'Agenzia sarda delle entrate dal ricorso
del governo, che si discuterà il 24 ottobre e su cui «pare invece
calata una coltre di silenzio».

Anche l'opposizione attacca: «Vertice fasullo e inconcludente», dice
il leader di Forza Italia Ugo Cappellacci, «ci hanno sottratto più di
3 miliardi e Pigliaru chiede timidamente una riduzione di 300 milioni?
Smetta di fare da palo al governo mentre vengono scippati i soldi dei
sardi». Per il capogruppo consiliare dei Riformatori, Attilio Dedoni,
«preoccupa la debolezza della posizione della Giunta», che aveva
«accolto trionfalmente l'accordo sulle entrate del 2014» salvo poi
contestare gli accantonamenti: Palazzo Chigi non considererà credibile
«un interlocutore che prima firma gli accordi e poi chiede di
rimetterli in discussione, perché solo dopo anni si è accorto che non
erano vantaggiosi».
Giuseppe Meloni

Asse bipartisan sull'insularità
L'iniziativa dei Riformatori piace a Pd e Forza Italia. In campo anche
intellettuali e giuristi
Referendum consultivo: «Abbiamo già raccolto 15mila firme»

Il referendum è solo consultivo, quindi più sono le firme raccolte
maggiore sarà il peso della consultazione. E per la richiesta di
inserimento del principio di insularità in Costituzione, il Comitato
promotore ha già raggiunto quota diciottomila in appena venti giorni,
mentre diecimila sono quelle sufficienti per indire un referendum
consultivo in Sardegna.

LA CAMPAGNA «L'obiettivo è arrivare a centomila entro l'anno, in
questo modo il peso di tutta l'operazione aumenta in modo
esponenziale», ha spiegato il presidente del Comitato promotore,
Roberto Frongia (Riformatori), che ieri, per annunciare quella che ha
chiamato «fine della prima fase della campagna referendaria», ha
riunito tutti i componenti del Comitato promotore, dai Riformatori che
hanno lanciato la battaglia, ai consiglieri regionali di Forza Italia,
del Pd, personalità del mondo della cultura e del diritto,
ambientalisti. «Abbiamo raggiunto e superato l'obiettivo minimo, che
ci consente di dire che i sardi voteranno nella prossima primavera -
ha detto - Ora vogliamo che il progetto sfondi in tutta l'Isola, e
diventi realmente una battaglia di tutti, nella quale non ci sia alcun
copyright, una battaglia intorno alla quale si uniscano tutti i sardi.

L'obiettivo è così importante e centrale per la nostra isola che non
ci possono essere primogeniture, né gelosie, né diserzioni».
ASSE BIPARTISAN Roberto Deriu (Pd), ha parlato di un «obiettivo che
potremmo definire in controtendenza, giacché nasce non per dividere me
per unire, e si muove sul piano costituzionale, com'è corretto che
sia». In ogni caso, «con questa iniziativa riprende vigore
l'iniziativa riformatrice». Sempre sul fronte Pd, Franco Sabatini ha
posto l'accento sul fatto che «sono temi che per loro natura sono
trasversali, ed è significativo che ci siano consiglieri regionali di
diverse parti politiche. Accanto ad essa tuttavia è necessario mettere
in campo una forte azione politica rivolta all'Europa». Pietro
Pittalis (Fi) ha ringraziato i Riformatori per “la lungimiranza” e ha
ricordato che «i referendum lombardo e veneto di ottobre ci impongono
di batterci per riaffermare la nostra specialità», ma ha anche
ricordato «la battaglia fatta nel Parlamento europeo dal nostro
Salvatore Cicu, che ha portato ad una importante risoluzione del
parlamento europeo».

«BATTAGLIA COMUNE» Tra gli altri consiglieri presenti, Alessandra
Zedda (Fi) ha aggiunto che «l'affermazione del principio di insularità
all'interno della Costituzione ci consentirà una revisione totale sia
del concetto di aiuto di Stato, che di concorrenza», mentre per
Giuseppe Fasolino (FI) «si tratta di una battaglia comune per la
nostra terra, ma non dimentichiamo che è solo un punto di partenza».
Una battaglia sposata anche da intellettuali, storici, giuristi e
ambientalisti. Per Enrico Altieri, già presidente della Sezione
tributaria in Corte di cassazione, il referendum «apre la strada a una
serie di opportunità sinora negate, soprattutto sul piano della
fiscalità di vantaggio».

SIGNIFICATO COSTITUZIONALE Vanni Lobrano, docente di Diritto romano,
ha definito l'iniziativa di «grandissimo significato costituzionale».
Per Maria Antonietta Mongiu, già presidente del Fai, «lavoriamo perché
la maggior parte della popolazione sia con noi. Se riusciremo, la
battaglia sarà vinta». Stefano Altea, avvocato ed esperto di diritto
europeo ha spiegato che «la costituzionalizzazione del principio di
insularità sia una questione di particolare interesse per la Sardegna
per due motivi. Il primo risiede nella necessità di affermare le pari
opportunità, il secondo riguarda la questione fondamentale per
riaffermare la specialità della nostra Regione in ambito nazionale».
Ha tratto le conclusioni a presidente dell'ordine avvocati di
Cagliari, Rita Dedola: «Il traguardo di firme raggiunto conferma che
avevamo visto lungo e giusto: in Sardegna è indispensabile una svolta
culturale che individui un nuovo percorso di sviluppo, che unisca
tutti i sardi, dando diritti di cittadinanza pari agli altri
italiani».
Roberto Murgia

Ospedali, l'intesa salta ancora
Slitta anche la decisione sull'accorpamento tra il Brotzu e il
Policlinico universitario
Troppe tensioni in maggioranza: rinviato il voto su Lanusei

La maggioranza preferisce aggirare l'ostacolo e rimanda gli argomenti
più scottanti. La seduta di ieri del Consiglio regionale ha confermato
che nel centrosinistra su alcune voci della rete ospedaliera non è
possibile trovare un accordo. Tanti, troppi i malumori per rischiare
la conta e costringere la Giunta a una sconfitta in aula: e così la
discussione sul futuro dell'ospedale di Lanusei e sull'ipotesi di un
percorso per unire l'azienda Brotzu e il Policlinico universitario
viene rinviata. Dunque la soluzione meno indolore è far slittare il
confronto e procedere nella discussione, che si arena ancora sugli
ospedali di Alghero-Ozieri e sul San Francesco di Nuoro.

TENSIONI È il consigliere regionale del Pd, Franco Sabatini, a
resistere per ottenere la classificazione di primo livello per
l'ospedale di Lanusei. Una posizione mantenuta sino all'ultimo, che
evidenzia i timori della maggioranza costretta a trovare un paracadute
con il rinvio al momento in cui si voterà definitivamente la riforma.
«Non sto facendo un atto di arroganza», dice Sabatini, «troppo spesso
la Regione si è dimenticata dei territori marginali della Sardegna e
l'Ogliastra è uno di questi». Il consigliere dem ribadisce che la sua
richiesta «non punta a nulla di particolare, ma chiede soltanto il
diritto alla salute che è stato negato a questi territori».

Vista la determinazione di Sabatini la maggioranza preferisce non
arrivare alla conta e si accorda per un rinvio. Sulla questione
Lanusei si sofferma il consigliere del Partito dei sardi, Augusto
Cherchi: «Sono stati conservati i servizi da primo livello, anche se
non ne avrebbe le prerogative e i requisiti minimi. Non facciamo
battaglie sulle etichette ma sui servizi».

L'ASSESSORE Il titolare della Sanità, Luigi Arru, percepisce il
momento di tensione nella sua maggioranza e interviene per rispondere
direttamente a Sabatini. «Capisco il suo disagio, ma il mio impegno
per le zone interne è forte». Concetti più volte ripetuti durante il
dibattito di ieri sera ma che non riescono a tranquillizzare gli
animi. Arru continua nella sua strada per «trovare l'equilibrio tra le
cure sul territorio e le specializzazioni che impongono scelte precise
sulla loro allocazione».

L'AFFONDO Arrivano ancora dagli scranni di Campo progressista le
frecciate sulla riforma. Un emendamento presentato da Francesco Agus
crea subbuglio in aula. La richiesta mira a eliminare la possibilità
di affrontare un percorso per verificare la fattibilità di unire il
Brotzu al Policlinico universitario. «Su un tema così importante non
sono possibili posizioni ambigue», dice Agus, «il testo approvato
dalla commissione apre la strada al passaggio di tutta la sanità della
Città metropolitana all'Azienda ospedaliero-universitaria.
Un'eventualità da scongiurare».

CLASSIFICAZIONE Durante il dibattito si riprende il discorso sugli
ospedali di Alghero e Ozieri e sulla classificazione di primo livello.
A sollevare il problema è il leader dell'Udc Giorgio Oppi, che chiede
«un riferimento preciso alla data in cui questo diventerà presidio di
primo livello». Rimane ancora uno strascico di polemica sul futuro
dell'ospedale San Francesco di Nuoro e la mancata classificazione di
secondo livello.

L'INVITO Il centrodestra cavalca le incertezze della maggioranza e
chiede a più riprese di sospendere la discussione della riforma per
evitare forzature. Per la maggioranza sarebbe un'ammissione di
debolezza. Il capogruppo di Forza Italia, Pietro Pittalis, è convinto
che «la riforma sarà il suggello del fallimento delle politiche di
questa Giunta». Poi un avviso ai colleghi del Consiglio: «Non si può
permettere di approvare in maniera affrettata provvedimenti delicati.
Fermiamoci e prendiamo qualche giorno in più per riflettere e non
mortificare i territori».

Sulla stessa linea anche il capogruppo dei Riformatori, Attilio
Dedoni, che parla di «riforma sbagliata nella forma e nei tempi».
Infatti per Dedoni «sarebbe servita la rete delle cure territoriali,
poi l'attivazione dell'elisoccorso e infine la rete ospedaliera».
Matteo Sau

Nuoro
Pd provinciale, Maria Sedda verso la segreteria

Maria Sedda, già sindaca di Ottana, è la candidata unica alla
segreteria provinciale del Partito democratico.
Lunedì scorso è stata formalizzata la sua candidatura dopo un accordo
tra le varie anime del Pd nuorese che si preparano all'appuntamento
congressuale.
La scadenza della presentazione delle candidature era prevista nella
giornata di sabato. Ma è stata concessa una proroga che si è rivelata
utile per raggiungere l'intesa.

Infatti, al termine di una lunga trattativa il Partito democratico ha
optato per la lista unitaria guidata da Maria Sedda. Originaria di
Gavoi, un'esperienza come sindaca a Ottana e successivamente come
assessore provinciale, rappresenta una scelta di equilibrio in una
fase particolarmente delicata del partito.
Prenderebbe il posto di un'altra donna, Daniela Forma, consigliere
regionale e segretaria provinciale uscente del Pd nuorese. ( f. le. )

ALGHERO. Il mondo dell'impresa e dei comitati commenta la situazione politica
La crisi al buio che fa paura in attesa dei piani urbanistici

Il Piano di valorizzazione della bonifica, a un passo dall'adozione.
Il Puc che la città aspetta da decenni e tutti gli altri strumenti
urbanistici indispensabili per cittadini e impresa. Il sindaco Mario
Bruno si appresta ad azzerare l'esecutivo e a nominare nuovi assessori
per ridare slancio alla squadra in crisi e, soprattutto, per trovare
nuovi alleati. Ma dai comitati di borgata e dalle associazioni di
categoria arrivano segnali di forte preoccupazione per queste
dimissioni al buio, che dovrebbero avvenire al termine della riunione
di giunta di venerdì.

L'ATTESA DEL PUC «La situazione di instabilità politica non aiuta a
risolvere alcune tematiche di assoluto rilievo per le imprese del
settore turistico», avverte Stefano Visconti, presidente provinciale
di Federalberghi. Una su tutte il Puc, «che non avanza e che
garantirebbe sviluppo per l'economia territoriale, oltre alle
politiche da mettere in campo per il consolidamento e l'espansione del
prodotto turistico, che va promosso, aggregato, diversificato. Una
amministrazione stabile - continua Visconti - consentirebbe quella
continuità di relazioni e dialogo necessaria al conseguimento di
questi importanti obiettivi». Il comitato di Maristella, per voce di
Tonina Desogos, non si strapperà i capelli per le dimissioni del
sindaco, anche perché «il mandato amministrativo, finora, per quanto
riguarda la nostra borgata - spiega Desogos - non ha avuto alcuna
ricaduta degna di nota».

LE IMPRESE Il Puc e i grandi temi della città stanno a cuore anche al
presidente di Confcommercio, Massimo Cadeddu, il quale però ci tiene a
sottolineare l'importanza di portare avanti la quotidianità, la
questione dei suoli pubblici e dell'igiene urbana. «Speriamo che non
si finisca per trascurare gli atti di ordinaria amministrazione. A
prescindere dal risultato o dall'esito di questa crisi, mi auguro che
tutto si risolva in fretta e che non si perda ulteriore tempo per mere
questioni politiche».

In allarme anche il consigliere regionale Marco
Tedde secondo cui Mario Bruno, stringendo il sodalizio con il Pd,
«diventa partecipe delle scelte nefaste del Partito democratico in
materia di città metropolitana, sanità, chimica verde e trasporti».
Mario Piras, presidente provinciale di Confartigianato, pensa al Puc,
ma anche agli incentivi che questa giunta aveva promesso all'impresa.
«Avevamo chiesto un abbattimento dei costi sul suolo pubblico per
piccoli lavori di ristrutturazione - racconta - e non ci hanno nemmeno
risposto. Stanno pensando a litigare fra di loro, ma a noi e al mondo
dell'impresa, la politica non interessa».
Caterina Fiori

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Federico Marini

skype: federico1970ca

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