venerdì 18 ottobre 2019

Il dramma quotidiano del femminicidio. Di Lucia Chessa



Anche stamattina in mezzo alle notizie, senza grande risalto e in coda alla pagina di cronaca, si riporta il femminicidio quotidiano. 23 anni, madre di una bambina di 4, morta dopo 9 giorni di agonia perché il marito ventottenne l’ha strangolata. Il femminicidio quotidiano non è percepito come un’emergenza.

Quando va bene si trova ai margini delle agende politiche, come un’aggiunta marginale messa li per dovere, separata dalle cose importanti e trattata alla stregua di un fenomeno endemico e quasi inevitabile.  Nei commenti il cliché è sempre lo stesso: si ammicca alle belve, si allude a mille giustificazioni, si ammanta di “amore”, si racconta di mitezze che inspiegabilmente diventano raptus. E nel frattempo si scandaglia la vittima per trovare la ragione della sua morte.

Le statistiche sugli omicidi ci raccontano impietose che in Italia, per le donne, la famiglia è il posto più pericoloso. Non le stazioni brulicanti di varia umanità, non le strade poco frequentate, non le mille ambientazioni del bosco dove Cappuccetto incontra il lupo. No, le famiglie, i fidanzati, i mariti, i compagni gli ex. E facciamo finta che non sia così.

Mi chiedo quando saremo in grado di guardare in faccia la realtà e di mettere mano a questo schifo. Mi domando quando, finalmente, le donne troveranno protezione e vedranno riconosciuto il loro diritto alla vita e alla sicurezza. E penso anche alle decine e centinaia di orfani di femminicidi di cui non sapiamo e non parliamo mai.

Di Lucia Chessa

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