venerdì 18 ottobre 2019

Un caffè corretto per Michele Sindona. Di Vincenzo Maria D'Ascanio



(18 Ottobre 1984) Numerosi documenti contabili vengono sequestrati al finanziere Michele Sindona. In particolare, gli stessi riguardavano i diversi atti della Banca Unione confluita nella sua Banca Privata Italiana. Il deficit dell'istituto di credito ammonterebbe ad almeno 250 miliardi. Comincia in questo modo la fase discendente della discussa figura di Sindona, siciliano capace di costruire un impero che, al suo interno, aveva numerose banche non solo europee, ma anche americane. Laureatosi in giurisprudenza a Messina nel 1942, ancora giovanissimo Sindona emigrò a Milano, dove aprì un proprio studio legale. Fece rapidamente carriera per l’intelligenza con cui forniva preziose consulenze fiscali a molti manager dell’industria italiana.

Le sue speculazioni furono considerate come l’azione di un genio della finanza. Michele Sindona seppe sapientemente creare una forte alleanza con lo IOR (comunemente considerata come la banca del Vaticano, che in quel periodo era diretta dal discusso arcivescovo americano Paul Marcinkus), diventando il referente finanziario del Vaticano e un potenziale leader della finanza cattolica italiana. Partendo da questo punto di vista, non possono sorprendere i legami di Sindona con la Democrazia Cristiana, ed in particolare con la figura dell’allora leader Giulio Andreotti.

Negli Stati Uniti, intanto, Sindona rilevò la Franklin National Bank (di New York), la ventesima banca statunitense, con tutta probabilità impiegando allo scopo anche i fondi dei clienti delle sue banche italiane. Sindona, alla ricerca di appoggi politici dopo aver perso diversi miliari a causa di operazioni finanziarie sbagliate, iniziò ad effettuare vere e proprie pressioni sulla Democrazia Cristiana, che per altro nulla gli doveva.

Proprio in questo periodo cominciò la fine del ‘sistema Sindona’: esso aveva assunto un’estensione smisurata, che comprendeva oltre un centinaio di imprese, finanziarie e non, operanti in undici Paesi e connesse strettamente fra loro, spesso tramite impenetrabili catene di holding di solito costituite nei paradisi fiscali.

Per cominciare, la Franklin fu dichiarata fallita, e negli stessi mesi si consumò in Italia la crisi delle due maggiori banche di Sindona legate alla Franklin, la Privata finanziaria e l’Unione. Durante quell’estate filtrarono indiscrezioni sulle irregolarità riscontrate nelle banche di Sindona dagli ispettori inviati dalla Banca d’Italia, a proposito di possibili ma mai accertati) finanziamenti elargiti alla DC, all’esistenza di una lista segreta di clienti illustri (la cosiddetta lista dei cinquecento), i cui depositi finanziari in istituti svizzeri (costituiti in violazione delle norme valutarie) erano stati già rimborsati. Infine l’intero sistema internazionale prendeva le distanze da Sindona. Istituti di credito di tutto il mondo cominciarono a chiedere, al finanziere siciliano, garanzie sui loro depositi.

Gli avvenimenti del 1974 segnarono uno spartiacque nella storia di Sindona. In Italia fu colpito da mandato di cattura per il dissesto della Privata; a New York fu avviato un procedimento giudiziario per il fallimento della Franklin. Per cercare di salvarsi si appoggiò ad un serie di poteri, legali e illegali, i cui punti di riferimento eranotre: Giulio Andreotti a lungo presidente del Consiglio; Licio Gelli, il capo della loggia massonica P2, e la fazione di Cosa nostra che faceva capo a Stefano Bontate.

In particolare, Sindona chiese alla mafia di intimidire ripetutamente sia Cuccia (da cui pretendeva un appoggio per i suoi piani di salvataggio) sia il commissario Ambrosoli, che stava pazientemente ricostruendo la struttura occulta del sistema Sindona e che si rifiutava di cedere al banchiere. Per questo Sindona lo fece assassinare da un sicario nel luglio del 1979. Nella stessa estate, il banchiere escogitò un rocambolesco finto rapimento a opera di una fantomatica organizzazione rivoluzionaria, volto a costringere i suoi vecchi sodali ad appoggiare i suoi piani, pena la minaccia di compromettenti rivelazioni sulle loro malefatte. Si fece anche sparare ad una gamba, per rendere più verosimile il supposto sequestro.

In ottobre la polizia scoprì le connivenze mafiose; intanto Sindona ricomparve a New York. La sua versione dei fatti non era attendibile da nessun punto di vista. In febbraio gli fu revocata la libertà provvisoria; in maggio fu condannato a 25 anni per bancarotta fraudolenta. Estradato in Italia nel settembre del 1984, all’inizio del 1985 subì una condanna a 15 anni per il dissesto della Privata. Un anno dopo gli fu inflitto l’ergastolo per l’omicidio di Ambrosoli

Il 22 marzo 1986 fu ritrovato morto nel carcere di Voghera. La sua cella era controllata con un notevole apparato di uomini e mezzi, ma qualcuno riuscì a mettere del cianuro nel suo caffè. Sulla sua morte persistono due principali filoni di pensiero: da una parte, alcuni sostennero che Sindona tentò un finto suicidio, per essere trasferito nelle più sicure carceri americane. Altri, invece, sostennero che quello di Sindona fu un omicidio. Il banchiere sapeva troppo, ed era un pericolo concreto per alcuni uomini di potere. 

Vincenzo Maria D'Ascanio.


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