giovedì 17 ottobre 2019

L’orata che voleva ancora dormire. Racconto di Mahmoud Suboh



Quando sentivo qualcuno dire: la mia bambina o il mio bambino di una figlia o di un figlio già adulto mi veniva da ridere. E dopo ho capito che i nostri figli da quando nascono fino alla nostra vecchiaia rimangono i nostri bambini. Noi invecchiamo e loro cominciano a darci dei vecchi rimbambiti e noi continuiamo a chiamarli; i nostri bambini.

L’orata

Mi trovavo assieme a mio figlio, sedicenne, età di ribellione ma anche età di formazione, quando si inizia a costruire la propria visione della vita e ci si sente abbastanza maturi per affrontarla. Mi sembrava di essere seduto accanto ad un amico a chiacchierare del più e del meno, anche se lo ammetto, un pizzico di curiosità di ciò che faceva l’avevo avuto non vivendo più insieme da qualche anno.

Stavamo in macchina e percorrevamo una strada tortuosa che accostava il mare, sembrava quasi un ponte sopra di esso, o meglio a destra sotto di noi vi era il mare, invece a sinistra la campagna. Era la strada che collegava Cagliari a Villasimius, chi vive o ha avuto la fortuna di visitare questa zona della Sardegna sa quanto è bella questa strada ma sa anche quanto sia pericolosa per le sue curve.

«Padre vai piano, stai correndo troppo». Si teneva attaccato al sedile della macchina ed aveva la faccia spaventata, anzi direi terrorizzata. «Tranquillo, sto andando piano, guarda neanche a sessanta...». «Stai attento a quella curva, rallenta...». «Tranquillo, la vedo... stai sereno, è tutto sotto controllo». La strada era a metà fra il mare e il verde, il sole a destra e alberi verdi danzanti a sinistra... «Rallenta ci sono troppe curve, stai camminando veloce...». «Tranquillo, hai forse paura dell’acqua? Guarda quanto è bella questa natura...».

«Guarda avanti... stiamo per cadere in acqua...». Mi girai tranquillo, sicuro di conoscere la strada, e non c’erano molte macchine in giro, la strada pareva essere tutta per noi due quel giorno. Facevo le curve quasi contromano ma ecco quella maledetta curva inattesa, ed una macchina nella stessa direzione ma di traverso. Fu un tuffo nell’acqua gelida, sentivo il respiro affannoso di mio figlio e le sue grida di lamento, e il battito del mio cuore che correva accelerato, adirato mi insultava per la mia distrazione e per la mia presunzione di credere di poter dominare il mondo.

Mi trovai in balia del mare, non avevo mai nuotato nell’acqua alta, se non posso toccare il fondo con i piedi mi viene il panico e vedo la mia morte imminente. Non vedevo mio figlio, cercavo di stare a galla, urlavo a voce alta: «Dove sei...». Avevo il mare nei polmoni, avevo gli occhi velati dal sole e continuavo a cercarlo, lottando per non finire in fondo al mare. Quando all'improvviso vidi un’orata che mi supplicava di aiutarla, cercava di mantenersi a galla mentre il mare a sua volta cercava di inghiottirla, boccheggiava senza forza, sembrava arrendersi alle onde ed al sole.

Corsi portandomi dietro tutto il mare sulle spalle, la presi fra le mie mani, la posai sulla sabbia. Stava respirando a fatica lottando contro la morte. Dovevo intervenire, ma come si fa a rianimare un pesce? La prendevo fra le mani cercando di fare la respirazione bocca a bocca, la premevo fra le dita delle mani...

«Figlio... ma come! Non sai nuotare? Sei un’orata e non sei nuotare!». Ero in un bagno di sudore freddo, avevo la faccia bruciata dal sole e avevo in bocca il sapore del sale e nei polmoni il mare. Corsi al telefono trascinandomi con i piedi affondati nella sabbia, e l’acqua salata che mi oscurava la strada.

«Sì pronto... Ciao babbo, che cosa c’è a quest’ora?».
«Come stai figliolo?».
«Ma stai bene babbo? Mi chiami a quest’ora per chiedermi come sto? Sto dormendo... lasciami riposare...».
«Volevo solo sapere se magari ci vediamo stasera...».
«Ci sentiamo più tardi, adesso lasciami dormire».

Fuori si sentivano le urla dei bambini che giocavano a pallone sotto un sole ancora timido.

Mahmoud Suboh.
Medico e scrittore, autore del Libro “Gente della terra Santa”

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