venerdì 4 ottobre 2019

Un prezioso lavoro per salvaguardare la memoria del popolo sardo. Di Lucia Chessa.


A me, da qualche anno, le Cortes Apertas mettono tristezza. Mi colpisce quell’abbandono che, per un giorno torna fintamente vitale e, travestito di folklore, si offre a visitatori che attraversano, curiosi e insieme distratti, un amaro resistere a fatica, che non rende giustizia al diritto di sopravvivere che aveva la cultura e l’identità di queste piccole comunità. Poi però, qualche volta, può capitare che tra le Cortes fai incontri straordinari.

Attraversi il portale di una casa aragonese restaurata con generosa ed inusuale cura, ed entri nella storia. Ogni dettaglio è stato studiato rifuggendo da brutti e consueti stereotipi attraverso i quali, sbagliando, a volte pensiamo di raccontare la Sardegna ed il suo popolo. I materiali del restauro, le tecniche di lavorazione, gli strumenti di lavoro sono stati oggetto di studio instancabile.


Gli arredi, gli oggetti, il pavimento in terra battuta, i colori, il rame, il letto “alla moda araba” ottenuto con strati di tappeti… tutto è stato recuperato e ricostruito attraverso una instancabile ricerca. Si entra e si intuisce cosa è stata la vita in quella casa, nel 1500, 5 secoli fa, e si percepisce il filo che lega la Sardegna di oggi alla sua storia e le vite di oggi alle vite di allora.

Ho chiesto ad Antonio Forma perché di tanto lavoro, tanto studio, tanta caparbia determinazione a recuperare, conservare e restituire a questo tempo tanta autentica testimonianza. Ho trovato nella risposta un’ idealità generosa, il sentimento di un dovere verso chi è stato prima e chi verrà dopo. Sarule 2019

Di Lucia Chessa

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