mercoledì 16 gennaio 2019

Il sangue e le streghe nella cultura sarda. Di Gian Marco Farci




La Sardegna, come tutte le terre antiche ha forti legami con il mistico, con il selvaggio, l'etno-mitologia e l'oscuro. Tali legami sono tuttora presenti nella nostra cultura; il più particolare di tutti è la stregoneria o come si suole chiamarla in alcuni paesi del medio-campidano “Is Bruxerias”.

Partiamo dal dare una definizione alla materia. Il dizionario spiega il vocabolo come la facoltà di operare tramite poteri extra-naturali, poteri che secondo la tradizione cristiana sono dovuti a patti demoniaci o a pratiche legate ai demoni il cui praticante o la cui praticante è detta strega. In lingua sarda esistono differenti parole per appellare questo praticante, tali espressioni differenti solo in apparenza identificano la medesima cosa: Coga, Bruxia, Stria, Janas, Surbile e che in tanti casi presenta delle connessioni con la trasmissione del male tramite l'occhio e una sete di sangue inestinguibile.

Vediamo nei dettagli il significato di ogni singolo termine sopra citato; partiamo dal termine coga. Si tratta di un vocabolo maggiormente documentato nel campidano, indica un personaggio che mischiava le erbe per i filtri d'amore e si nutriva di sangue; il secondo lemma che vedremo è stria; tale nome richiama l'uccello notturno il quale secondo molti autori classici avrebbe dei particolari poteri legati all'oscurità. Riguardo quest'animale abbiamo una particolare testimonianza legata sempre alla nostra isola, di un autore settecentesco, Cetti, che esattamente nel 1776 diceva:”questi uccelli sono nemici dei neonati, dei quali succhia il sangue durante le ore notturne...”

L'aspetto dell'ematofagia, comune a tutte quelle già analizzate accomuna anche un altra parola che viene in alcuni casi indicata il vampiro sardo, la surbile. Si tratta di donne morte di parto che si nutrono di sangue di neonato e possono essere combattute ponendo ai piedi della culla un pettine a nove punte che il vampiro è condannato a contare a tempo indeterminato.

Passiamo ora al vocabolo Janas, il termine è più noto in riferimento alle grotticelle scavate nella roccia presenti in tutta l'isola, dove si crede che esse dimorino e spesso si nutrissero di sangue.

Come si è visto uno degli elementi comuni di queste creature è il nutrirsi di sangue. Perché sangue e non altro? Secondo la tradizione pagana, nel quale il liquido ematico veniva offerto in grandi quantità si tratta di un elemento vivificatore, a dimostrazione di ciò si può citare Omero che nell'undicesimo canto dell'Odissea ci dice:”lascia che io beva e ti dica...”, liquido trasmettitore di vita che porta con sé forza, quella forza necessaria alla sopravvivenza. Un'altra cosa che tutte le figure appena citate hanno in comune è la particolare abilità di trasmettere il male alle altre persone, in maniera intenzionale attraverso lo sguardo.

Di Gian Marco Farci


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