giovedì 24 gennaio 2019

Ines Pisano, l'amarezza dopo l'addio.


Ines Pisano, l'amarezza dopo l'addio «Una governatrice solo fra trent'anni» La magistrata: non c'è spazio per le donne in politica

«Sì, sì, sì». Lo ripete tre volte, Ines Pisano, unica donna tra otto aspiranti a governatore della Sardegna che ha annunciato il ritiro. «Sarei rimasta, sarei andata avanti se solo quel giorno a Cagliari avessi avuto almeno un sostegno dalle donne che erano in sala. Invece niente. Venivo fischiata e nessuna che si sia alzata per dire a quelle persone smettetela, finitela...».

È davvero bastato così poco?
«Quell'episodio è stato per me il campanello d'allarme di una situazione nella quale non potevo in nessun modo competere. Oggi la politica è ancora lo spazio degli uomini, dove si promettono risultati a prescindere, anzi ben sapendo che magari non sono ottenibili. Non è ancora il tempo per una governatrice in Sardegna. Lo sarà magari fra 20, 30 anni. Oggi non ancora».

Durante tutta l'intervista, Ines Pisano - 48 anni, di Bosa, magistrato del Tar del Lazio, casa e famiglia a Roma e viaggi frequenti in Sardegna - rievoca più volte «quel giorno» a Cagliari. Il 12 gennaio scorso, incontro dei candidati alla presidenza della Regione organizzato nella chiesa di Santa Restituta dall'Ufficio della pastorale sociale della diocesi di Cagliari. Disse che i sardi indigenti sono cinque milioni e apriti cielo: nel tempio sacro si sono scatenati i diavoli.

Com'è successo che abbia confuso i dati nazionali con quelli della Sardegna?
«Avevo passato la notte precedente a studiare. Non ho dormito e arrivando stanchissima a quell'appuntamento ho riportato un dato per un altro. Capita, ma purtroppo...».
Purtroppo?
«Eravamo in un agone dove erano stati portati i supporter. Erano lì non per ascoltare ma per fischiare. Avevo Christian Solinas seduto a fianco: ho apprezzato perché ha usato parole molto carine con me».
La sua è stata una resa.
«No. Ho deciso sulla base di elementi di fatto, primo fra tutti l'atteggiamento generale, dei candidati, della gente, poco propenso ad accettare nuove visioni. L'ho visto anche coi miei sostenitori: si è abituati a ragionare ancora in termini di appartenenze politiche. Lo fanno anche le liste civiche».
La sua veniva collocata nel centrodestra...
«Mai detto da me. Non amo gli incasellamenti, tanto valeva che facessi una lista di appoggio al centrodestra o al centrosinistra».
Le era stata fatta la proposta?
«Esclusi Lega e 5 Stelle, tutti fino alla presentazione delle liste mi hanno offerto la candidatura a consigliere. Tremila voti li avrei trovati in qualunque collocazione. Ma avevo un progetto per fare qualcosa di utile per la mia terra. Non è stato possibile, e qui vorrei fare anche un'autocritica...».
Prego...
«Anche nei miei sostenitori non ho visto lo spirito civico che animava me. Ho sempre detto che non si doveva parlare di appartenenze politiche e invece nel gruppo che mi appoggiava molti si sono candidati in liste del centrodestra. Anche la mia capolista».
Circola la voce di un accordo con Zedda.
«Mi viene da ridere. Io non faccio accordi perché sono un magistrato e perché nessuno me li ha proposti. Lui mi è piaciuto perché la sua visione della Sardegna è vicina alla mia, ad esempio sull'innovazione tecnologica».
Gli ha fatto gli auguri...
«Li faccio anche agli altri. Paolo Maninchedda è stato il mio professore, c'è reciproca stima».
Daniela Forma, donna del Pd, le ha dato il suo sostegno tecnico sollevandola dall'incombenza della raccolta delle firme...
«Un gesto che ho apprezzato. Nel centrodestra nessuno l'ha fatto».
Non pensa che la legge sulla doppia preferenza aiuti le donne?
«È vero che la legge richiede le liste formate al 50 per cento da uomini e donne, ma trovo sia ancora un formalismo».
In che senso?
«Penso alla mia esperienza. Nel gruppo che mi sosteneva avevamo un 98 per cento di uomini. Le donne che venivano costantemente alle riunioni erano, oltre me, due. Non dico che sono le donne a non voler partecipare, forse non partecipano perché è un mondo ancora al maschile».
La sua candidatura poteva essere uno scossone...
«Ci vuole anche un elettorato preparato culturalmente. La gente non è ancora pronta».
Sta dicendo che le donne non votano le donne?
«Esatto, la mia più grande amarezza è stata quella di vedere attacchi furibondi nei miei confronti, con appellativi come “asina” proprio dalle donne, dalle ragazze. Gli uomini non ci votano, ma noi non siamo pronte a sostenere altre donne».

Piera Serusi

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Federico Marini
skype: federico1970ca






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