venerdì 21 giugno 2019

La lezione di Gramsci a proposito di folclore e folclorismo. Di Francesco Casula



Il tema è stato analizzato da Gramsci segnatamente nelle Lettere dal carcere: in cui distingue e separa nettamente il folclore dal folclorismo. Sì, le tradizioni popolari: le canzoni sarde che cantano per le strade i discendenti di Pirisi Pirione di Bolotana... le gare poetiche... le feste di San Costantino di Sedilo e di San Palmerio ... le feste di Sant’Isidoro”. “Sai – scrive dal Carcere in una lettera alla mamma il 3 Ottobre 1927 – che queste cose mi hanno sempre interessato molto, perciò scrivimele e non pensare che sono sciocchezze senza cabu nè coa.”

In altre opere Gramsci ribadirà che il folclore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa molto seria. Solo così – fra l’altro – l’insegnamento sarà più efficiente e determinerà realmente una nuova cultura nelle grandi masse popolari, facendo sparire il distacco fra la cultura moderna e la cultura popolare o folclore. In altre occasioni sottolinea ancora che folclore è ciò che è, e occorrerebbe studiarlo come una concezione del mondo e della vita, riflesso della condizione di vita culturale di un popolo in contrasto con la società ufficiale.

Quello che invece Gramsci critica è il “folclorismo“, ovvero: l’abbandono all’isolamento storico e a una cultura arbitrariamente privata di ogni residua mobilità, che definisce, malattia mortale di una cultura disattenta ai significati progressivi della esperienza popolare e invece esaurita nel rispecchiamento della vita passata, nella celebrazione di quei «valori» che disturbano meno la morale degli strati dirigenti e rendono in questo senso più facili tutte le «operazioni conservatrici e reazionarie», legando viepiù il folclore «alla cultura della classe dominante »

Di Francesco Casula
Storico, autore de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

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