giovedì 26 gennaio 2017

Rassegna stampa 26 Gennaio 2017

La nuova Sardegna

I sardi sono sempre più poveri reddito d’inclusione,
7mila in fila

Aumenta la spesa sociale ma non diminuisce la povertà e, così, delle 7mila domande per il reddito di inclusione sociale (Reis) ne sono state accolte poco più di 2mila. L’audizione in Commissione bilancio del direttore regionale dell’Inps, Maurizio Pizzicaroli, sulle attività dell’istituto che riguardano le prestazioni di sostegno al reddito è stata l’occasione per descrivere una situazione preoccupante. «Emerge un dato in controtendenza col trend nazionale sulla Naspi, la nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego, che registra una durata molto bassa: 8 mesi, la più bassa in assoluto – ha spiegato Pizzicaroli –, segno che il mercato del lavoro locale è caratterizzato da un alto tasso di precarietà in una fascia molto ampia della popolazione».

Sulla mobilità in deroga, ha proseguito Pizzicaroli “l’Inps sta definendo insieme alla Regione le procedure per la chiusura del 2014 che interessano 14mila lavoratori anche se, a fronte di una disponibilità di 20 milioni, mancano altri 60 milioni per la copertura totale». L’Inps, ha annunciato inoltre il direttore regionale, “ha costituito una banca-dati per censire le prestazioni sociali agevolate che provengono dalla pubblica amministrazione, un processo all’inizio perché finora solo 17 Comuni hanno mandato le informazioni richieste”.

Pizzicaroli, infine, si è soffermato sul Reis: «Il piano nazionale – ha precisato – è stato rimodulato per problemi di copertura finanziaria ed è stata ristretta la platea degli aventi diritto, limitata ai nuclei familiari dove siano presenti minorenni, figli disabili, donne in stato di gravidanza accertata». Poi è toccate alle associazioni del Terzo settore. Per la Fish Sardegna, il presidente Alfio Desogus, ha richiamato l’attenzione sulla realtà di “oltre 40mila disabili disoccupati, che possono avere un’opportunità con percorsi formativi e tirocini».

Desogus ha poi sollecitato l’incremento dello stanziamento di 3 milioni indicato nella Finanziaria 2016 per l’abbattimento delle barriere architettoniche, “perché è del tutto insufficiente a soddisfare le circa 1000 domande pervenute all’assessorato dei Lavori Pubblici». Per la Caritas, don Marco Lai ha evidenzato che “i centri di ascolto dell’associazione ci dicono che la povertà si è inasprita, riguarda una fascia di età molto ampia fra i 20 ed i 50 anni ed esprime con forza bisogni primari come quello della casa».

Un altro Forum, rappresentato da associazioni e famiglie impegnate per la piena attuazione della legge 162/98 che assicura sostegno alle persone con disabilità grave, ha lanciato un allarme per il taglio di 4 milioni contenuto nella Legge di Stabilità. Con questo taglio, secondo
associazioni e familiari, perderebbero ogni sostegno circa 4mila disabili gravi e almeno 1500 persone che si occupano di loro lasciando spazio a un’alternativa ospedaliera che costerebbe molto di più: 58 milioni, secondo le stime.


UNIONE SARDA

Finanziaria 2017, allarme risorse E si riparla del piano per il lavoro
Appello di imprese e sindacati: concentrare sui grandi temi i pochi
fondi “manovrabili”

Non è una vera bocciatura perché, nelle condizioni date, nessuno
saprebbe fare molto meglio. Ma la Finanziaria 2017 non suscita neppure
grandi entusiasmi. Il confronto con sindacati e associazioni degli
imprenditori, nella commissione Bilancio del Consiglio regionale,
ruota attorno a un dato di fatto, per altro noto: tolte le spese
obbligatorie, sanità in primo piano, la massa realmente “manovrabile”
resta esigua. Difficile pensare, con qualche manciata di milioni, di
mettere in campo grandi strategie di sviluppo.
PERPLESSITÀ «Manca il salto di qualità», è il giudizio in chiaroscuro
del segretario della Cgil sarda Michele Carrus, «soprattutto sulle
politiche del lavoro». Molto più scuro che chiaro il passaggio
dedicato in particolare all'assessorato del Lavoro: «Meglio
sopprimerlo, se tutte le politiche dell'occupazione devono essere
affidate all'Agenzia per il lavoro. Le spese per le consulenze? Uno
scandalo».

Curiosamente però non sono i sindacati ma un'associazione datoriale,
la Cna Sardegna, a rispolverare la vecchia definizione di «piano
straordinario per il lavoro»: il presidente degli artigiani, Pierpaolo
Piras, e il direttore Francesco Porcu lo hanno reclamato, ipotizzando
che venga finanziato con «100 milioni di euro dal fondo Sfirs, per
rilanciare gli investimenti mettendo a bando opere pubbliche di
piccola taglia ad alta densità di manodopera, elevata redditività e
immediata cantierabilità».
Anche gli altri leader sindacali si sono soffermati sul nodo risorse,
chiedendo che siano indirizzate su pochi obiettivi forti: per il
leader Cisl Ignazio Ganga «le attuali 35 azioni di politica attiva per
il lavoro vanno razionalizzate, meglio concentrarsi su 3-4 misure che
funzionano». Secondo la segretaria Uil Francesca Ticca «un campo
d'intervento potrebbe essere quello ambientale: ma il mezzo miliardo a
disposizione in gran parte viene assorbito dalle spese correnti di
Forestas e Geoparco».

PROPOSTE Il presidente di Confindustria Sardegna Alberto Scanu ha
indicato come fondamentale il tema delle infrastrutture: «Il governo
ha varato “Industria 4.0”, investimento da 20 miliardi da cui la
Sardegna rischia di rimanere fuori. E si parla di agenda digitale ma
nei nostri siti manca la banda larga». Valutazioni condivise dal
presidente di Confapi Mirko Murgia: «La manovra si occupa delle
emergenze, ma servirebbe un progetto più ampio e misure per la
riduzione del costo del lavoro». Qualche sforzo in più per il mondo
della cooperazione è stato invocato dal presidente di Confcooperative,
Fabio Onnis.

A lui, come a tutti i rappresentanti convocati in audizione, il
presidente della commissione, Franco Sabatini (Pd), ha assicurato
massima attenzione e dato un annuncio: «A breve chiederemo la
convocazione degli stati generali della Sardegna, chiamando a raccolta
parlamentari, enti locali e forze sociali per mobilitare la società
sarda e riaprire la vertenza con lo Stato».

In campo i parlamentari
Fondi tagliati agli enti locali: «Sulle barricate»

«Sarà un 2017 a tinte fosche per gli enti locali della Sardegna».
L'assessore Cristiano Erriu va davanti alla commissione Autonomia del
Consiglio regionale, a fare il quadro dei finanziamenti per Province e
Città metropolitana. Dopo la decisione del governo di escludere
Sardegna e Sicilia dall'elenco dei beneficiari per la ripartizione dei
fondi, la politica isolana dichiara guerra allo Stato.

Insieme a Erriu c'erano il sindaco metropolitano, Massimo Zedda, e gli
amministratori straordinari delle Province. Oggi a Roma la Conferenza
unificata Stato-Regioni discuterà l'argomento ed è probabile che
l'Anci nazionale non firmi l'intesa. «Cercheremo di ribaltare la
situazione», annuncia Erriu, «la linea del governo colpisce in modo
pesante gli enti locali». 

Critico anche Zedda: «Si è cercato di
aggredire il debito tagliando quasi esclusivamente sugli enti locali».
Qualcosa si muove anche a Roma con la presa di posizione dei senatori
Pd, Silvio Lai, Ignazio Angioni e Giuseppe Luigi Cucca: «Le Province
esistono e soprattutto hanno in carico una serie di interventi per i
quali è necessario avere a disposizione risorse economiche». Sui
rapporti tra enti locali e Stato bisogna tenere conto che «se un ente
partecipa al risanamento dello Stato è giusto che debba ricevere
uguale trattamento». Si schiera a favore delle autonomie locali il
deputato del Movimento 5 Stelle, Andrea Vallascas, che parla di
«discriminazione gravissima». Il deputato pentastellato ha presentato
un'interrogazione per evitare «una beffa per una Regione che è stata
progressivamente privata dei sostegni economici». (m. s.)

Il primo taglio è per Moirano Bacchettata la Regione: ignorati i parametri nazionali. Dalla Giunta risposta polemica
Lorenzin: troppo elevato il compenso del supermanager Ats

I compensi dei manager della sanità sarda accendono una nuova polemica
tra Stato e Regione. Questo perché tra le voci da tagliare nella
sanità isolana c'è innanzitutto lo stipendio da 200mila euro (più un
bonus di 40mila) del direttore generale dell'Ats, Fulvio Moirano; la
legge nazionale prevede un tetto di 154mila euro.
A usare la penna rossa è la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin
che, ieri pomeriggio alla Camera, ha bacchettato il presidente della
Regione, Francesco Pigliaru. L'assessore regionale, Luigi Arru, è
convinto che Lorenzin abbia «informazioni inesatte» e ricorda che «le
risorse per il nostro sistema sanitario, stipendi compresi, sono a
carico della Regione e certamente non del governo nazionale. Le
polemiche sugli stipendi sono mero esercizio di demagogia».

BACCHETTATA A sollecitare la presa di posizione della ministra è il
deputato del Centro democratico, Roberto Capelli, con
un'interrogazione sull'argomento. «Devo constatare, con grande
rammarico, che ad oggi la Regione Sardegna non ha provveduto ad
apportare le dovute modifiche alle disposizioni della legge regionale
concernenti il trattamento economico dei direttori generali delle
aziende sanitarie», spiega Lorenzin rispondendo alla Camera.
Da qui la decisione di chiedere l'intervento del ministro per gli
Affari regionali, Enrico Costa, «nei confronti del presidente della
Regione Sardegna», per fare in modo che la Giunta modifichi le voci di
spesa. Nel mirino ci sono dunque i compensi anche dei direttori
generali delle due Aziende ospedaliero-universitarie di Cagliari e
Sassari, dell'Azienda ospedaliera Brotzu e dell'Areus.

«NESSUN PROBLEMA» Dalla presidenza della Regione ribattono colpo su
colpo alle accuse che arrivano da Roma. Ce n'è un po' per la ministra
e un po' anche per il deputato Capelli. Infatti, la risposta
all'interrogazione dell'esponente del Centro democratico è, secondo la
Regione, «presumibilmente basata su informazioni inesatte, date alla
ministra Lorenzin, dovute, probabilmente, a una lettura per lo meno
superficiale delle note intercorse tra presidenza della Regione e
ministero». I dubbi espressi dal ministero dell'Economia, attraverso
la Ragioneria generale dello Stato «sono rientrati e non più reiterati
a fronte di argomentazioni esposte in una nota inviata al ministero
della Salute». L'assessore Arru, inoltre, ricorda che «la Regione, con
l'Azienda unica, otterrà un risparmio di circa due milioni di euro,
oltre che omogeneizzare assistenza e accesso alle cure a vantaggio dei
pazienti. Questo è ciò che conta».

L'ATTACCO «Mentre la sanità sarda ha un buco di 400 milioni, le liste
d'attesa si allungano, il personale medico e paramedico fa turni
massacranti per ovviare ai vuoti di organico, c'è chi pensa ad
arricchirsi alle spalle dei cittadini», commenta il deputato Capelli
dopo la risposta di Lorenzin.

Duro anche il capogruppo dell'Upc in Consiglio regionale, Pierfranco
Zanchetta, che invita l'assessore a «prendere atto delle parole della
ministra e avviare provvedimenti seri per evitare figuracce nuove
figuracce nazionali». Per Zanchetta, sarebbe bene «adeguarsi ai
parametri della legge nazionale, dare l'esempio e non pretendere
sacrifici solo dei cittadini». Emilio Usula (Rossomori) parla di
«ennesimo schiaffo che evidenzia l'errore di una scelta fatta senza
coinvolgere le forze politiche». Il coordinatore regionale dei
Centristi per l'Italia, Federico Ibba, dice: «Bene la ministra
Lorenzin quando bacchetta la Regione sugli stipendi dei direttori Asl.
Non è questa la specialità che vogliono i sardi».
Matteo Sau

Ora rischia una perdita di oltre 80mila euro

Una quota fissa più una maggiorazione del venti per cento in caso del
raggiungimento degli obiettivi. Si compongono di queste due voci i
compensi che la Regione ha stabilito per i manager delle aziende
sanitarie. La quota più alta è quella per il direttore generale
dell'Ats, Fulvio Moirano che complessivamente raggiunge i 240mila euro
all'anno (200 di fisso più l'eventuale maggiorazione): secondo i
parametri nazionali non dovrebbe superare i 154mila. 

Sotto la lente
del ministero, però, ci sono anche gli altri compensi, quelli dei
direttori generali delle Aziende ospedaliero-universitarie di Cagliari
e Sassari, Azienda Brotzu e l'Areus. Stesso criterio di calcolo, ossia
una quota fissa più un massimale del 20% per gli obiettivi raggiunti.
Si va da un minimo di 192mila euro per il manager dell'Areus, a un
massimo di 216mila euro per i due direttori generali del Brotzu e
dell'Aou di Sassari, mentre quello di Cagliari ha un massimo di
204mila euro.

Le cifre sono stabilite con dei parametri precisi, basati su tipologia
di azienda, numero di assistiti, posti letto e numero di dipendenti.
L'Ats, naturalmente può contare sul maggior numero di assistiti, ossia
tutti i sardi per un totale di 2.749 posti letto e16.468 dipendenti.
Diversamente da quella di Cagliari, l'Aou sassarese è considerata una
sede Dea di secondo livello, perché rientra nella fascia per numero di
assistiti tra 600mila e 1,2 milioni. I posti letto sono 864 e i
dipendenti 2.454. Stessa cosa per l'Azienda Brotzu, che posti letto ne
ha 822 per un totale di 3.025 dipendenti.
M. S.

Vivere costa duemila euro al mese
Acquisti del ceto medio, i dati dell'Unione nazionale consumatori: si
taglia su cibo e vestiti
La media italiana è 2.500, ma nell'Isola i redditi sono più bassi

Costa cara la vita alle famiglie sarde: oltre duemila euro al mese.
Per l'esattezza 2.083,66 euro, che confrontati con la media nazionale
(2.499,37 euro) potrebbero indurre a pensare che ci sia una situazione
più favorevole per chi vive nell'Isola rispetto al resto del Paese.
«Non è così», spiega Monica Satolli, segretario regionale dell'Unione
nazionale consumatori, l'associazione che ha elaborato i dati
dell'Annuario statistico italiano. «Non si spende meno perché i prezzi
sono più convenienti, ma perché i redditi sono più bassi: vuol dire
che la crisi colpisce nell'Isola più duramente che altrove. E questo,
come dimostra la lettura della mappa regionale della spesa, spinge una
percentuale sempre maggiore di famiglie in Sardegna», ma anche in
Sicilia, «a frequentare i discount per fare la spesa».

LA STATISTICA Detto che i duemila euro rappresentano un valore medio
(alla formazione del dato contribuiscono sia le persone sole con che
vivono con 1.500 euro sia le famiglie che arrivano a guadagnare 3.500
euro), resta il fatto che quasi duemila e cento euro al mese
rappresentano innegabilmente una cifra elevata. Viene, quindi, da
domandarsi come riesca a sopravvivere chi invece percepisce stipendi o
pensioni minime, che restano tali anche di fronte all'aumento dei
prezzi. «È un dramma, perché la crisi non è finita», spiega Monica
Satolli, «e questi dati lo testimoniano».

Secondo le rilevazioni Istat, nel 2015 la spesa media mensile per
famiglia è cresciuta dello 0,4% rispetto all'anno precedente
(addirittura dell'1,1% rispetto al 2013). Sono tre le voci che pesano
di più: la casa (affitto o mutuo, bollette, arredi e altri servizi), i
generi alimentari, i trasporti. Per mangiare e bere i sardi spendono
413,50 euro (441,50 euro la media nazionale). Per la casa vanno via
751,60 euro, che diventano circa 840 se si considerano mobili e altri
servizi. I trasporti, infine, incidono per 252 euro.

 Per compensare
queste spese, il padre di famiglia sardo destina meno di 37 euro al
mese all'acquisto di bevande alcoliche e tabacchi (solo la Sicilia
registra un dato inferiore: 32,50 euro) e appena 77 euro (il 3,7% del
bilancio complessivo mensile) per abbigliamento e calzature.
MENO CARNE Quanto agli alimentari, a livello nazionale si è arrestata
la diminuzione della spesa per la carne, che era in atto dal 2011 e si
è attestata a 98,25 euro mensili. E la Sardegna non fa eccezione. La
spesa per la frutta è aumentata del 4,5% rispetto al 2014 (da 38,71
euro a 40,45 euro al mese), mentre acqua minerale, bevande
analcoliche, succhi di frutta e verdura registrano una crescita del
4,2%, passando da 19,66 a 20,48 euro). 

Resta invece invariata in
Sardegna la spesa per beni e servizi non alimentari (1.670,16 euro in
media al mese contro i 2.057,87 euro nel resto del Paese). Si riducono
le spese per comunicazioni (46 euro al mese) anche per l'ulteriore
diminuzione dei prezzi mentre aumentano quelle per servizi ricettivi e
di ristorazione (poco più di 82 euro al mese) e quelle per beni e
servizi ricreativi, spettacoli e cultura (95 euro al mese).
I dati confermano, quindi, che anche in Sardegna la spesa media
mensile è aumentata. 

Attenzione, però: «Non significa aver comprato di
più - avverte Monica Satolli - In realtà circa il 50% delle famiglie
italiane è stato costretto a diminuire la quantità e/o la qualità dei
prodotti alimentari acquistati rispetto all'anno precedente. E se si
riflette sul fatto che in Sardegna questo dato va oltre il 60%», ma il
discorso vale in generale per il sud e le isole, «è evidente che siamo
di fronte a un quadro economico ancora incerto».
In sostanza: aumenta il divario Nord-Sud, restano le differenze
strutturali sul territorio, legate ai livelli di reddito, ai prezzi e
ai comportamenti di spesa, con i valori del Nord più elevati di quelli
del Centro e, soprattutto, di Sud e Isole.
Mauro Madeddu
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La Nuova

Alla protesta di Erriu e dei sindaci si aggiunge anche un’iniziativa dei senatori Pd
Arrivano i primi effetti: rinviato il confronto di oggi tra governo,
Regioni e Anci Province al collasso Politici sardi in rivolta

SASSARI Province al collasso. L’allarme rosso arriva dall’assessore
agli Enti Locali Cristiano Erriu. Il motivo è semplice. Non hanno più
risorse perché lo Stato preleva dalle loro casse più di quanto
incassino. Il Governo avrebbe dovuto restituire alla Sardegna 70
milioni di euro dopo la bocciatura del referendum. La sopravvivenza
degli enti cancellati solo sulla carta ha imposto il rifinanziamento
delle Province. Ma nella legge Finanziaria lo Stato ha escluso
Sardegna e Sicilia. Senza quelle riorse, e con i tagli previsti per il
2017, 107 milioni di euro, per le Province la bancarotta è certa. Ecco
perché la Regione è in rivolta. Ma non è sola. Con lei anche l’Anci.

Oggi ci doveva essere il confronto tra Regioni, governo e Anci proprio
per il via libera alla norma della Finanziaria che assegnava le
risorse a tutte le Province tranne che a Sardegna e Sicilia. È stata
rimandata perché il presidente nazionale dell’Anci, Antonio Decaro,
aveva annunciato che avrebbe votato no a quell’accordo. La mediazione.
È già partita l’attività di mediazione tra il governo e le Regioni. I
senatori sardi del Pd Silvio Lai, Ignazio Angioni e Giuseppe Cucca
hanno scritto al governo e chiesto che venga rivista la decisione.
«Anche la Sardegna deve poter accedere ai fondi stanziati dalla
finanziaria 2017 per il risanamento dei bilanci delle province –
scrivono –. È una vicenda che deve essere chiarita, evitando che sia
un inutile elemento di conflitto tra la giunta regionale ed il
governo». 

La lettera è inviata al sottosegretario per gli Affari
regionali e alle autonomie Gianclaudio Bressa. «Mentre per alcune
Regioni a statuto speciale la competenza sulla finanza locale è stata
trasferita dallo Stato alle regioni per altre, Sicilia e Sardegna,
questo non è stato richiesto né è avvenuto a oggi». Silvio Lai
aggiunge: «I comuni sardi contribuiscono al fondo di solidarietà
nazionale, e, se ne hanno diritto ne ricevono una quota parte. Lo
stesso vale per le province sarde». Secondo i senatori è «un errore
legato ad una diversa interpretazione degli accordi del 2015, accordi
importanti che hanno chiuso una vertenza entrate della Sardegna, dopo
anni di trascuratezza regionale e di indifferenza dei governi
precedenti. 

Ma da una attenta lettura non prevedono in maniera
esplicita il trasferimento delle competenze sulla finanza locale dallo
Stato alla Regione». «Oggi – afferma Silvio Lai – le Province esistono
e hanno in carico una serie di interventi per cui è necessario avere a
disposizione risorse economiche. Un ulteriore sacrificio andrebbe a
colpire non gli enti, ma i cittadini sardi». M5s. Critico il
parlamentare dei 5 stelle Andrea Vallascas. «Una discriminazione
gravissima e incomprensibile si abbatte su regioni e comunità già
fortemente colpite dalla crisi economica e dai tagli ai trasferimenti
dello Stato – dice Vallascas, che ha presentato un’interrogazione –.

Le Province e la Città metropolitana di Cagliari vengono cancellate
dalla ripartizione di 900 milioni di euro. Oltre a contenere elementi
di estrema gravità per la disparità di trattamento tra regioni
speciali e ordinarie, il provvedimento metterebbe gli Enti
territoriali in una situazione di grave difficoltà finanziaria e
gestionale, col rischio di compromettere la qualità e i livelli dei
servizi erogati. Se confermato sarebbe una beffa per una regione che è
stata progressivamente privata di sostegni economici e dove si è
assottigliata la stessa presenza dello Stato, con la chiusura di
scuole, ospedali e uffici postali». Ora si apre uno spiraglio perché
le province sarde non muoiano per mancanza di risorse. (l.roj)

finanziaria
I sindacati sulla manovra
«Più attenzione al lavoro»

CAGLIARI Lavoro e diritto allo studio, sono questi i nodi critici
della Finanziaria secondo il segretario generale della Cgil Michele
Carrus, ascoltato ieri dalla Commissione finanze del Consiglio
regionale. «Non c’è un salto di qualità – afferma – le misure sono
sempre le stesse nonostante i risultati insoddisfacenti. Sembra che la
soluzione ai problemi occupazionali sia affidata quasi unicamente a
un’ipotetica ripresa che però se c’è, è debolissima». 

Sulle entrate
Carrus ha rilevato che la manovra si basa su una previsione di
crescita ottimistica che il sindacato teme sovrastimata. Per
rilanciare il lavoro «servirebbero investimenti pubblici in cantieri
che si aprano con procedure semplificate e misure di premialità o
condizionalità per chi impiega prima di tutto lavoratori del bacino
territoriale fuoriusciti ormai dagli ammortizzatori sociali. Servono
inoltre nuove misure mirate per le aree deboli, i giovani, le donne».
Sul fronte del diritto allo studio la Cgil chiede un aumento degli
assegni che oggi sono ancora circa la metà di quel che ricevono gli
studenti di altre regioni. E ancora, il segretario Cgil chiede più
fondi per gli specializzandi di medicina e, in generale, per le
università e la ricerca sarde. «Sono misure che si possono realizzare
con i 25 milioni disponibili nella Finanziaria e ancora non
programmati». Sulla Finanziaria interviene anche il numero uno della
Cisl, Ignazio Ganga (foto). 

«Le politiche del lavoro e della
formazione devono rimanere centrali nella manovra». È questo uno dei
punti fermi della Cisl illustrato alla Commissione finanze. Per la
Cisl sarda i sono ormai maturi i tempi per rilanciare «una vertenza di
popolo nei confronti di uno Stato che, nonostante il superamento dei
limiti del Patto di Stabilità continua a generare criticità in ordine
alle spettanze di competenza regionale». La Cisl evidenzia i punti
principali. «Sugli Enti locali non va sottovalutata la questione del
costo delle province che nel frattempo hanno subito da parte dello
Stato un furto con destrezza di oltre 80 milioni di euro. Questo
aspetto dovrà essere necessariamente recuperato nel confronto con lo
Stato, pena continuare a sollecitare il fondo unico per gli enti
locali». 

Tema sanità. «Contribuisce a generare Pil per la nostra isola
e a dare lavoro a 22mila operatori diretti più l'indotto, nonostante
un turnover bloccato da molti anni. Ma, tolta la sanità, le spese per
investimenti con risorse regionali sono sempre più limitate e non va
bene che debbano essere totalmente sostituite dai fondi comunitari o
nazionali, che rischiano di assumere il carattere di ordinarietà».

Lavoro, Forza Italia all’attacco
«I numeri sono drammatici»

CAGLIARI «La propaganda della giunta si schianta davanti all’evidenza
dei dati del Sil». I consiglieri di Forza Italiia Ignazio Locci, Ugo
Cappellacci e Pietro Pittalis commentando le cifre diffuse dal Sistema
informativo lavoro. «Nonostante gli artifici del jobs act si
registrano 358.671 iscritti Sil, tra cui 290.514 disoccupati: oltre
88mila nella provincia di Cagliari, 25mila per Carbonia-Iglesias, con
dati drammatici anche per il Nuorese (29mila), Oristano (28mila),
Sassari (54mila), Olbia Tempio(35mila), il Medio Campidano (18mila) e
l’Ogliastra (11mila). 

È questo – attaccano gli azzurri – il vero
bilancio di metà mandato della giunta Pigliaru e del centrosinistra,
sedicente sovranista. Per tre anni la giunta da salotto e da convegno
ha straparlato di politiche keynesiane, di lavoro e di impresa, ma non
ha mosso un solo dito né ha mai svelato quali mirabolanti soluzioni
fossero nei pensieri di un esecutivo che giustifica il suo immobilismo
con un continuo rinvio al domani».


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Federico Marini
skype: federico1970ca


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