sabato 14 settembre 2019

Gaetano Badalamenti: l'assassino di Peppino Impastato


Peppino Impastato: Novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove e cento! Lo sai chi c'abita qua?

Giovanni Impastato: Ammuninne...

Peppino Impastato: Ah, u' zu Tanu c'abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi! Vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te! «Salutiamo zu' Tanu!» «I miei ossequi, Peppino. I miei ossequi, Giovanni.» E invece sono loro i padroni di Cinisi! E mio padre, Luigi Impastato, gli lecca il culo! Come tutti gli altri! Non è antico, è solo un mafioso, uno dei tanti!

Giovanni Impastato
: È nostro padre...

Peppino Impastato: Mio padre! La mia famiglia! Il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente! (Dal film "I cento passi," di Marco Tullio Giordana)

(14 Settembre 1923) Nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, Gaetano Badalamenti, il boss mafioso condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato. Capo indiscusso dal 1971 della mafia siciliana, don Tano viene spodestato nel 1978, e costretto a fuggire, con la guerra di mafia oramai alle porte, che vedrà vincitori e feroci clan dei corleonesi (capeggiati da Totò Riina, detto “U Curtu”). Detenuto negli Stati Uniti dal 1984 per una condanna a 45 anni, Badalamenti muore il 29 aprile 2004.

La preferenza di Gaetano Badalamenti per l'illecito avviene fin dal primo dopoguerra, quando viene spiccato un mandato di cattura con l'accusa di concorso in sequestro di persona ed associazione a delinquere. L'anno seguente a queste accuse, si aggiungono anche quelli di omicidio pluriaggravato e tentato omicidio, tuttavia Badalamenti sfugge alla giustizia raggiungendo l'America e trovando rifugio presso il fratello Emanuele. Quattro anni più tardi sarà estradato per immigrazione illecita e riportato in Italia, dove riesce nuovamente a restare libero perché al processo sarà scagionato dalle accuse per insufficienza di prove.

All'inizio il giro di affari di Badalamenti riguarda per lo più il contrabbando di sigarette e droga, per poi passare al settore degli autotrasporti al fianco di Liggio. Alla morte del precedente boss Manzella, a cui Badalamenti per molti anni sarà “vice” il passaggio del testimone è quasi d'obbligo e Badalamenti diventerà dunque uno dei “generali” di quella che viene considerata come la “
prima guerra di mafia

Nel frattempo Don Gaetano diventa sempre più potente, tanto che la schiera dei capo clan, minata in quegli anni dall'Antimafia, viene ricostruita sotto il suo dominio. Dal punto di vista degli affari criminali, Badalamenti ha in piedi un traffico internazionale che vede coinvolta l'America, grazie al sostegno di Domenico Coppola.
In quel momento però Totò Riina prende il posto di Liggio per la famiglia dei Corleone e dà un duro colpo all'apparente intoccabilità di Badalamenti, uccidendo Luigi Corleo, il suocero di Nino Salvo e quindi legato al clan di Cinisi.

E' solo l'inizio del crollo di Badalamenti, estromesso da Riina dalla Cupola appena qualche anno più tardi, per via della discussione "non autorizzata" sull'esecuzione di Francesco Madonia, capo clan di Vallelunga Pratameno. Per timore di essere ucciso, Gaetano Badalamenti espatria in Brasile, ma continua a gestire il narcotraffico americano.
Nel 1985 don Tano e altri diciotto imputati finirono sotto processo a New York, in quello che divenne noto come il caso "Pizza Connection". Il processo durò quasi due anni ed è stato il più lungo nella storia giudiziaria degli Stati Uniti, concludendosi il 22 giugno 1987 con un verdetto di colpevolezza per Badalamenti e Salvatore Catalano, che vennero condannati a 45 anni di carcere ciascuno.

Negli anni novanta, Badalamenti rifiutò di tornare in Italia per il confronto con Tommaso Buscetta. Gaetano Badalamenti, affetto da un tumore che aveva provocato gravi conseguenze renali e una epatite, morì per arresto cardiaco il 29 aprile 2004 all'età di 80 anni nel centro medico federale del penitenziario di Devens nel Massachusetts. Tre anni dopo la morte, si è chiuso il procedimento iniziato nel 1982 per la confisca dei beni del boss, passati totalmente nelle proprietà dello Stato.






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