martedì 3 settembre 2019

L'assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa



"Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi; non possiamo oltre delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti." ( Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa)

(03 Settembre1982) Sono appena trascorse le ore 21 quando il prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sta andando a cena con la giovane moglie Emanuela Setti Carraro. Li segue a breve distanza la scorta guidata dall’agente Domenico Russo. Arrivati in Via Isidoro Carini, sopraggiungono due motociclette di alta cilindrata ed un’auto che, dopo avere affiancato la A112 del generale e l’alfetta guidata da Russo, aprono contemporaneamente il fuoco con i loro kalashnikov. Dalla Chiesa, la moglie e l’agente muoiono sul colpo. Sul luogo del massacro, un anonimo cittadino appende un cartello sul muro. "Qui è morta la speranza dei siciliani onesti".

Sottotenente dei carabinieri durante la seconda guerra mondiale, Dalla Chiesa partecipò attivamente alla guerra di liberazione. Nel 1949 arriva in Sicilia, a Corleone, per sua richiesta. Nel territorio la mafia si sta organizzando ed il movimento separatista è ancora forte, guidato da criminali (come il bandito Giuliano) più che da rivoluzionari. Qui il capitano Dalla Chiesa indaga su ben 74 omicidi, tra cui quello di Placido Rizzotto, sindacalista socialista. Alla fine del 1949 Dalla Chiesa indicherà Luciano Liggio come responsabile dell'omicidio. Per i suoi ottimi risultati riceverà una Medaglia d'Argento al Valor Militare.

In seguito è nominato generale di brigata a Torino (1973-77), nel 1978 coordina le forze di polizia per la lotta contro il terrorismo, lavoro che lo rese celebre per i risultati raggiunti. Insieme ad altre dinamiche interne alle Brigate Rosse, fu lui a decimarne i componenti, anche con l'utilizzo dei pentiti (proprio attraverso le sue pressioni definì lo "status" di pentito, comprendendone l’assoluta importanza) e del riconoscimento delle informazioni attendibili. Famosa la sua trappola per l'arresto di Curcio e Franceschini.

E’ nominato Generale di divisione a Milano (1979-81), quindi vicecomandante dell'Arma (1981-82). All'inizio del mese di aprile del 1982 Dalla Chiesa scrive al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini queste parole: "La corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la "famiglia politica" più inquinata da contaminazioni mafiose". Un mese dopo è inviato improvvisamente in Sicilia come prefetto di Palermo.

In realtà Dalla Chiesa fu inviato in Sicilia senza poteri, senza adeguare strumentazioni, soprattutto senza i suoi uomini di fiducia. A Palermo lamenta più volte la carenza di sostegno da parte dello stato; emblematica e carica di amarezza rimane la sua frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì". Chiede d'incontrare Giorgio Bocca, per lanciare attraverso i media un messaggio allo stato, un messaggio dove chiese un indispensabile ed urgente sostegno. Nell'intervista (7 agosto 1982) c'è la presa d'atto del fallimento dello Stato nella battaglia contro la mafia, che intanto prepara la sua morte.

Inoltre, c’è un mistero che avvolge questa drammatica vicenda. Dopo la sua morte, dalla sua cassaforte personale scompaiono documenti decisivi: tra gli altri, le carte relative al sequestro Moro, che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo. Ai funerali le autorità rischiano il linciaggio, solo Sandro Pertini è accolto da applausi. Tutti sapevano che in realtà, Dalla Chiesa era stato mandato a Torino "a fare la fine del Tonno" (come disse Totò Riina in una tristemente, ma famosa, intercettazione).

Dalla Chiesa fu insignito di medaglia d'oro al valore civile alla memoria. Oggi il corpo di Carlo Alberto dalla Chiesa riposa nel Cimitero della Villetta, a Parma. A ricordare il valore del generale vi sono oggi innumerevoli simboli, monumenti, intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi. Purtroppo in Sicilia ed in tutto il meridione, le sue statue sono oggetto di teppismo da parte di criminali, ma la gran parte dei siciliani lo ricordano come eroe, simbolo della lotta contro il cancro mafioso.

Nessun commento:

Posta un commento