venerdì 20 settembre 2019

Il caso RWM. Di Pino Cabras




A poche settimane dalla risoluzione del parlamento e dalle conseguenti decisioni del governo sull’export di bombe a sauditi ed emiratini,
i dirigenti della RWM, la società che possiede la fabbrica sarda di bombe di Domusnovas, hanno annunciato una drastica riduzione dell’organico. Le persone che ora pagano il prezzo con la perdita del proprio lavoro sentono come cose lontane e astruse le vicende geopolitiche che pure influiscono sul proprio immediato futuro, in una terra che offre già poco lavoro e che negli anni ha visto sparire industrie e prospettive di vita.

«Se non le fabbricano qui le fanno altrove, e quelle bombe per noi sono il pane». «La colpa di questa ennesima crisi è dei politici che hanno voluto chiudere l’esportazione. La guerra continuerà lo stesso, ma intanto qui perdiamo tutto». Lo ripetono in tanti, ma – per le ragioni che ho illustrato prima – la crisi yemenita non si riduce affatto a queste osservazioni. Quelli che speculano sul “finché c’è guerra c’è speranza” parlano di un affare che era già un business senza futuro, perché la guerra in Yemen aveva raggiunto una soglia che nessuno poteva più lasciare funzionare come prima a livello internazionale. Questione di pochi mesi, e la discontinuità nella guerra arrivava. Ed è arrivata. Sorge perciò la domanda che doveva sorgere anni fa: “dunque che fare?”

Ne ho parlato già con diversi esponenti del governo, raccogliendo la loro disponibilità a occuparsene quanto prima.
Per uscire dalla monocultura delle bombe non bastano chiacchiere. Servono scelte politiche di grande portata. Dopo la Guerra Fredda, quando la Germania fu riunificata, ottenne un programma comunitario per la riconversione economica e sociale delle aree dipendenti dalle produzioni e dalle presenze militari. Furono grandi risorse non solo nazionali, perché internazionali erano state le cause di quel prolungato impatto militare. Un’analoga scelta di livello europeo occorre anche per il caso RWM, facendo uscire un’intera comunità locale da una monocultura economica e offrendo alternative occupazionali.

Uno dei grandi piani di investimenti annunciati dal neo-comissario europeo al Mercato Unico, la signora Sylvie Goulard, sarà nei settori della Difesa e dello Spazio, dapprima con un aumento della cooperazione europea, poi con la creazione di mega-fondi di investimento europei dedicati a questi settori altamente innovativi, con l’idea di ricadute per le produzioni civili e posti di lavoro qualificati. Si tratta di investire decine di miliardi a livello europeo con produzioni che creino ricerca, innovazione, lavori di qualità, industrie di nuovo tipo. Il Sulcis Iglesiente può stare in questa partita se gioca da subito nel gioco grande, non se aspetta le briciole mentre cambia il vento di una guerra disgraziata.

Per essere chiari. Io non penso affatto che la Repubblica italiana debba rinunciare ad avere un’industria a produzione militare. Un conto è incrementare i bilanci vendendo bombe da usare contro la popolazione civile, finché soffia il vento di una battaglia, un’altra questione ancora è produrre sistemi d’arma complessi. Un paese che perda competenze militari e non abbia una politica industriale militare moderna perde ogni residua sovranità, specie se ambisce a creare relazioni multilaterali paritarie, ancorché orientate al disarmo. Tutto il filone industriale ad alto valore aggiunto ed ecologico che va dalla ricerca, alla Difesa, all’aerospaziale, in collegamento con i grandi investimenti nei campi innovativi nei settori dell’energia e delle tecnologie ambientali, deve trovare casa in Sardegna.

Oltre alla massima utilizzazione delle risorse europee, si rende necessaria l’istituzione di un fondo ad hoc e l’individuazione di un organo responsabile di condurre a buon esito, in tutte le sue fasi, il processo di riconversione verso il settore civile e "a duplice uso" delle aziende e dei territori che subiscono il prezzo economico e sociale dei divieti di esportazione (peraltro previsti già nella legge 185/1990). Buone pratiche e provvedimenti che hanno avuto esito positivo in materia in Europa e nel mondo sono da prendere ad esempio.

In proposito occorre convocare un
Tavolo tecnico per la Riconversione coinvolgendo diverse università, a partire dalle facoltà di ingegneria ed economia degli atenei sardi, il mondo delle imprese e quello delle cooperative, la Regione Sardegna, Banca Etica, Banca Europea degli Investimenti, Banca del Consiglio d’Europa, SFIRS, Invitalia.

Subito dopo occorre lanciare un grande Concorso d’idee a livello internazionale, coinvolgendo anche grandi organizzazioni religiose, una risorsa chiave per un progetto guida che può diventare un esempio ripetibile.
Non da ultimo, occorre riorientare e riattivare il Piano Sulcis, la Bella Addormentata della programmazione economica, in raccordo con le risorse della programmazione della Regione Sardegna.

Pino Cabras

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