mercoledì 25 settembre 2019

Sandro Pertini, il Presidente più amato


"Quando arrivò l'ultimo di Ventottenne, potei andare a trovare mia madre. Era molto vecchia e mi attendeva. Stava sempre seduta su un muretto che circondava la nostra casa.

«Che cosa fa, signora?» le domandavano.
«Aspetto Sandro», rispondeva.

Mi fermai a casa sua tre giorni e poi tornai a Roma. Fu quella l’ultima volta che la vidi. (Sandro Pertini, ritornato a Stella dopo l'esilio di Ventottenne).

(25 Settembre 1896) Nasce a Stella, in provincia di Savona, Sandro Pertini, settimo Presidente della Repubblica, forse il più amato. Durante gli anni del regime fascista, è costretto più volte al carcere ed al confino. Esule in Francia, rientra clandestinamente in Italia, dove, nel 1929, viene arrestato e condannato dal Tribunale speciale a 10 anni di reclusione. Resta prigioniero, tra carcere e confino, fino alla caduta di Mussolini. Liberato nell’agosto del 1943, è tra i maggiori protagonisti della lotta partigiana, tanto da essere insignito della medaglia d’oro della Resistenza. Nel 1945 è segretario del PSIUP, nel ‘46 viene eletto all’Assemblea Costituente e, tra il 1946 e il 1951, è direttore per due volte dell’Avanti! Nel 1948 è senatore, e in seguito per due volte presidente della Camera. Muore nel 1990 all'età di 94 anni.

Dottore in legge (Università di Modena) e scienze sociali (Firenze), partecipò giovanissimo alla prima guerra mondiale come tenente dei mitraglieri. Iscritto al PSI dal 1924, svolse un'intensa attività organizzativa e nel dopoguerra fu tra gli animatori dell'antifascismo ligure. All'esigenza di avversare l'egemonia del fascismo con la testimonianza di una presenza democratica e libertaria, il giovane socialista, al pari di altri giovani della sua generazione come i fratelli Rosselli, P. Gobetti e A. Gramsci, uniformò la sua attività negli anni del carcere, del confino e della Resistenza.

Liberato nell'agosto 1943, con Nenni e Saragat, ricostituì il partito socialista e combatté nella difesa di Roma a Porta S. Paolo. Nell'ottobre 1943 fu arrestato dalle SS e condannato a morte; fu liberato grazie a un intervento dei partigiani della Brigata Matteotti. Nella lotta di Resistenza fu attivo a Roma e soprattutto nel nord Italia, distinguendosi in numerose azioni di guerriglia. Alle 8 del mattino del 25 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico a Milano.

L'esecutivo, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani (presenti tra gli altri anche Rodolfo Morandi – che venne designato presidente del CLNAI –, Giustino Arpesani e Achille Marazza), proclamò ufficialmente l'insurrezione, la presa di tutti i poteri e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti. Il decreto, trasmesso via radio, recitava: “I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all'attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l'ergastolo.” (Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945) Il 27 aprile, fortemente convinto della necessità di condannare a morte il capo del fascismo, che intanto era stato arrestato nelle prossimità del Comune di Dongo, disse alla radio:

“Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato ad un tribunale del popolo, perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano dal fascismo gettato in tanta rovina egli dovrà essere e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante che pensiamo che per quest'uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso.”

Conclusa la resistenza partecipò attivamente alla vita pubblica della neonata Repubblica Italiana, tra le file del Partito Socialista, restando sempre fedele alla sua idea. Non può esserci riscatto sociale, senza la democrazie e le libertà da questa garantita. Nonostante la diversità di vedute mantenne sempre un ottimo rapporto coi membri del PCI, tanto da definire Enrico Berlinguer come “un fratello.”

Tuttavia Pertini sarà ricordato per la sua immensa carica umana, per cui tutti, compagni ed avversari politici, lo rispettarono sempre e comunque. Il popolo italiano, anche in anni dolorosi come quelli dello stragismo, non arrivò mai a fischiarlo nemmeno nei momenti di massima collera, come se Pertini non fosse nemmeno parte delle istituzioni, ma un uomo del popolo, che nulla aveva a che fare con gli intrighi di palazzo. In particolare, dopo il terremoto dell’Irpinia, lo si ricorda furibondo e piangente camminare solo tra i corpi straziati dal violento cataclisma.

Il 23 marzo 1987 fu colto da un malore durante i funerali del generale Licio Giorgieri, appena assassinato dalle Brigate Rosse; in quella occasione fu visitato dal papa Giovanni Paolo II, al quale era legato da lunga amicizia, ma questi poté solo vederlo di sfuggita, poiché gli fu impedito dai medici, poiché Pertini era sedato. Tuttavia il Presidente si rimise presto e completamente, al punto che il 2 luglio dello stesso anno si trovò a presiedere l'Aula di Palazzo Madama in occasione dell'Elezione del Presidente del Senato ad inizio della X Legislatura.

La notte del 24 febbraio 1990, all'età di 93 anni, si spense per una complicazione in seguito ad una caduta, nel suo appartamento privato di Roma. Per suo espresso desiderio, il suo corpo fu cremato e le ceneri traslate nel cimitero del suo paese natale, Stella San Giovanni.

Pertini si era sempre dichiarato ateo; nonostante ciò, nel suo studio al Quirinale aveva sempre tenuto un crocifisso: sosteneva infatti di ammirare la figura di Gesù come uomo che ha sostenuto le sue idee a costo della morte. In anni più recenti, un libro di Arturo Mari del 2007, fotografo pontificio, cercò di avvalorare la tesi che Pertini volesse convertirsi in punto di morte e che chiamò il Papa, cui fu impedito di entrare nella stanza di ospedale.

Questa circostanza però fu fermamente smentita dalla "Fondazione Sandro Pertini", che fornì all'emittente “La7” alcune registrazioni di alcune telefonate tra la moglie Carla Voltolina e il Papa, rilevando come non ci fu nell'occasione alcun ricovero in ospedale, e indicando infine come la circostanza riportata fosse in realtà relativa alla visita del 1987.

Il suo appartamento in Piazza di Trevi, dopo la morte della moglie Carla nel 2005, non è più stato riaffittato sino al 2011, quando Umberto Voltolina, il cognato di Pertini, in accordo con la Fondazione Pertini, restituì la casa al Comune di Roma.




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