lunedì 23 settembre 2019

Viene ucciso a Napoli il giornalista Giancarlo Siani.


(23 settembre del 1985) Viene ucciso a Napoli, dal clan camorrista dei Nuvoletta, il giornalista Giancarlo Siani. Giovane cronista di 26 anni, Siani denuncia dalle colonne del Mattino di Napoli l’attività di alcune cosche criminali e la loro espansione economica ottenuta sfruttando gli intrecci politica-camorra in modo da usufruire dei miliardi devoluti alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980. Il processo chiarirà, 12 anni dopo, e per la prima volta in Italia, che Siani è stato ucciso per “un reato di scrittura.” Marco Risi gli ha dedicato il film “Fortapàsc.”

Aderente alla sinistra studentesca e fin dal liceo interessato alle problematiche dell’emarginazione come area di reclutamento di manodopera per la criminalità organizzata, durante gli studi universitari inizia la collaborazione con alcuni periodici napoletani, lavorando nella redazione dell’Osservatorio sulla Camorra e quindi come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino.

Attento osservatore del fenomeno della camorra, che indaga con stringenti inchieste sul contrabbando di sigarette e il traffico di stupefacenti, matura attraverso tali esperienze una coscienza civile che lo ha spinto a denunciare l'espansione dell'impero dei boss locali e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto politico in riferimento alla gestione del territorio di Torre Annunziata.

L’uccisione di Siani, per la quale sono state condannate in via definitiva sei persone tra mandanti ed esecutori, sembra essere stata decisa dalla camorra a seguito della pubblicazione di un articolo in cui il giornalista aveva smascherato scontri e alleanze tra clan, rivelando inoltre alcuni tradimenti al codice d'onore camorristico.

Il 15 aprile del 1997 la seconda sezione della corte d'assise di Napoli condannò all'ergastolo i mandanti dell'omicidio (i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante) e i suoi esecutori materiali (Ciro Cappucci e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che però dispose per Valentino Gionta il rinvio ad altra Corte di Assise di Appello: si è svolto un secondo processo di appello che il 29 settembre del 2003 l'ha di nuovo condannato all'ergastolo, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo ha definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto.

Nel 2014 un libro-inchiesta del giornalista napoletano Roberto Paolo ha sollevato dubbi sui reali esecutori dell'omicidio e ha indicato i nomi di altri mandanti ed esecutori. Sulla base di queste rivelazioni, l'allora coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, Giovanni Melillo, ha riaperto le indagini sull'omicidio Siani: il fascicolo è affidato ai sostituti procuratori Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock.

Il fratello di Siani, Paolo, unico rimasto in vita della famiglia Siani, ricorda il fratello come un ragazzo carismatico, capace di grandi sacrifici, ma anche come una persona solare, pronta a dare sostegno; e in un'intervista egli afferma: “Di noi due, insieme, conservo l'immagine di una giornata a Roma, a una marcia per la pace. Io col gesso che gli dipingo in faccia il simbolo anarchico della libertà. E lui che mi sorride.”

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