martedì 22 maggio 2018

Rassegna stampa 22 Maggio 2018




Regionali, Lega-Psd'Az e M5s sono già in corsa - I grillini lanciano un laboratorio su sanità e trasporti. Sull'altro fronte al primo posto c'è l'economia 


Alleati a Roma, siederanno insieme a Palazzo Chigi, il Movimento Cinque stelle e la Lega di sicuro saranno avversari nelle elezioni regionali del 2019. Eppure, in parallelo, sono stati proprio i vincitori delle Politiche di marzo a muoversi per primi. Il coordinatore pentastellato in Sardegna, Mario Puddu, i sedici parlamentari del Movimento, alcuni amministratori comunali e diversi attivisti si sono riuniti in questi giorni per dar vita a quello che hanno chiamato «il laboratorio d'idee per la Sardegna».

Lo stesso ha fatto la Lega, che forte nell'isola del patto elettorale con il Psd'Az, ha aperto ufficialmente un suo tavolo per scrivere il prossimo programma elettorale. È stata, in sostanza, una partenza in contemporanea, ma solo dovuta al caso. Nel 2019 i Cinque stelle correranno come sempre da soli, mentre l'accoppiata Lega-Psd'Az ha la pretesa di guidare la coalizione di centrodestra anche se non sarà
facile scalzare Forza Italia.

Cinque stelle. Prima di tutto dalla riunione del coordinamento è arrivata la conferma che il candidato governatore sarà scelto attraverso le «regionarie», cioè con il voto online degli iscritti in Sardegna sulla piattaforma Rousseau. Per il momento non c'è una rosa di candidati ufficiali, ma Puddu è considerato ancora il più probabile. Però prima di pensare al leader, i Cinque stelle hanno deciso di puntare sul programma.

Nei prossimi mesi, partiranno i tavoli tematici e i primi due dovrebbero essere sulla sanità e sui trasporti. Due temi su cui, in più occasioni, i grillini hanno contestato da una parre la riorganizzazione degli ospedali voluta dal centrosinistra, «non garantisce - hanno detto – le periferie», e dall'altra sono stati sempre critici su come finora la Regione abbia gestito la trattativa con l'Europa sulla continuità territoriale aerea.

«Ci siamo incontrati - ha fatto sapere il coordinatore Puddu - per organizzare la costruzione del programma. Abbiamo deciso di suddividere il lavoro per argomenti, sulla falsariga di come sono strutturati gli assessorati». Nei prossimi mesi, più di un'idea dovrebbe saltar fuori dai diversi laboratori.

Lega-Psd'Az. I due partiti, che saranno ancora alleati nel 2019, hanno deciso di partire dall'economia. Tra l'altro è sicuro che alla stesura del programma parteciperà anche il gruppo di esperti del Carroccio, coinvolto da Salvini nel «contratto di governo» firmato a Roma con i Cinque stelle. È una prima prova di forza destinata a mettere sul chi va là Forza Italia. Perché all'orizzonte s'intravvede aria di battaglia quando i due blocchi dovranno scegliere il candidato-governatore per le Regionali del 2019.


Unione Sarda

Cucca indisponibile, rinviata l'assemblea del Pd sardo
Il segretario Martina sull'esecutivo: «E pensare che criticavano noi
sui premier non eletti»

«Salvini e Di Maio: benvenuti nella realtà». Maurizio Martina,
segretario reggente del Partito democratico, commenta così le notizie
che arrivano dal Quirinale sul futuro governo. La scelta di Giuseppe
Conte scatena le critiche dell'esponente dem: «Dopo anni di propaganda
contro fantomatici governi non eletti, hanno scoperto ora che tutti i
presidenti del Consiglio sono nominati dal presidente della Repubblica
e che i governi devono ottenere la fiducia del Parlamento».

SPACCATI Il Partito democratico, però, è alle prese con una spaccatura
interna “congelata” durante l'ultima assemblea. Marco Sarracino,
portavoce dell'area di Andrea Orlando, ribadisce che nessuno «vuole
alimentare tensioni, come qualcuno ha fatto in assemblea con continue
provocazioni a difesa di un fortino e di una linea politica ormai
crollati da tempo». A dimostrare la tesi è il voto del 4 marzo con un
segnale chiaro di come «abbiamo smarrito un rapporto con i settori
popolari della società». La deputata Debora Serracchiani, invece,
chiede di «non vivere in fibrillazione permanente sino al congresso»,
visto che «stanno accadendo cose gravi nel nostro Paese e noi siamo
paralizzati a guardarci l'ombelico, tra scambi di accuse e sospetti
che ci fanno soltanto male».

IL RINVIO Non sta meglio il Pd sardo, ancora imballato in attesa che
le tre correnti riescano a trovare una mediazione. L'indisposizione
del segretario Giuseppe Luigi Cucca ha causato il rinvio
dell'assemblea (il secondo dopo quella programmata l'11 maggio),
prevista per ieri pomeriggio a Nuraghe Losa. Prosegue, dunque, il
congelamento di una situazione in cui il partito è arenato dalla
guerra fredda in corso tra le diverse aree.

Ieri mattina, infatti, a
poche ore dal confronto, non avevano fatto grossi passi avanti verso
un punto di incontro. Tre correnti e tre posizioni: questo è, allo
stato attuale, il Partito democratico in Sardegna dove i soriani
chiedono le dimissioni immediate di Cucca e il congresso, mentre
l'area del segretario (i renziani) frena e chiede un nome condiviso
per guidare il partito. Infine, la corrente dei Popolari-Riformisti
(Cabras-Fadda) mira alla nascita di un partito federato con quello
nazionale. (m. s.)

Val d'Aosta, male dem e azzurri
Lega e M5S ok, Union Valdotaine primo partito

AOSTA La grande sorpresa è che Forza Italia e FdI e il Pd non avranno
nessun consigliere nella nuova Assemblea regionale valdostana. Una
batosta soprattutto per il partito di Renzi che nella precedente
legislatura aveva tre rappresentanti. Per gli azzurri, invece, non è
cambiato nulla, erano assente anche nell'Assemblea uscente. Discorso
diverso per la Lega e il M5S che passano da zero a, rispettivamente, 7
e 4 consiglieri, confermando il trend positivo del voto del 4 marzo.
Il primo partito, con il 19,25%, dei voti è l'Union Valdotaine,
seguito dalla Lega con il 17,06% dei consensi. Il M5S si attesta al
10,44%, il Pd al 5,39 e il centrodestra al 2,92. La lista Pour Notre
Vallè -Stella alpina ha ottenuto 10,66% e quattro consiglieri,

Impegno civico 7,54% e 3 eletti, Uvp il 10,59 % e 4 consiglieri, Alpe il 9% e
3 eletti, %), Mouv' il 7, 13% e tre consiglieri.
«Ringrazio gli elettori della piccola e fiera Valle d'Aosta che ieri
hanno dato l'esempio della volontà di cambiare», ha commentato Matteo
Salvini, leader della Lega, in una diretta facebook, subito dopo
l'incontro al Colle con il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella. «Fuori di qui c'è un mondo - ha aggiunto - che vuole
passare dalle parole ai fatti. Nel piccolissimo anche il voto di oggi
in Valle d'Aosta ci dice che c'è fiducia, c'è voglia, c'è speranza. Il
governo che nasce sarà di crescita e di futuro».

Conte verso l'incarico Ministri, nodo Savona
Di Maio e Salvini hanno indicato il professore come premier

ROMA Fumata bianca. A due mesi e 17 giorni dal voto, Luigi Di Maio e
Matteo Salvini indicano al capo dello Stato il loro candidato premier:
quel professor Giuseppe Conte che, nella rosa dei ministri 5Stelle,
era indicato alla Pubblica amministrazione. Ora si attende che Sergio
Mattarella gli affidi l'incarico, anche se le prime convocazioni al
Colle riguardano i presidenti delle Camere.

COLLOQUI Il primo a salire al Quirinale è Di Maio: «È un momento
storico», dice al termine dell'incontro, «abbiamo indicato al capo
dello Stato il nome migliore, che può portare avanti, con una
leadership solida, il contratto di governo». Quanto ai dubbi avanzati
da più parti, «fateci prima partire, poi ci criticate».

Lasciato il Colle, Di Maio abbandona la prassi istituzionale e
conferma il nome di Conte alla stampa. A chi lo considera un tecnico
ricorda: «Era nella mia squadra, votata da 11 milioni di cittadini».
Poi la promessa: «Non vesserà gli italiani, sarà un premier politico
di un governo politico».

Subito dopo tocca a Salvini andare da Mattarella: «Siamo pronti,
abbiamo la squadra e il progetto di Paese», annuncia poi. Quindi un
messaggio all'Ue: «Nessuno ha nulla da temere dalle nostre politiche
economiche», seppur diverse dal passato.

IL PRESCELTO Giuseppe Conte, 53 anni, pugliese, è avvocato e insegna
Diritto privato all'Università di Firenze. In passato è stato anche
all'Università di Sassari. La sua competenza giuridica è indiscussa:
dopo la laurea alla Sapienza di Roma nel 1988 ha studiato a Yale,
Parigi, Vienna, Cambridge e New York. Nella scorsa legislatura è stato
nominato dal Parlamento al Consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa, da cui si è dimesso dopo esser stato inserito nella
lista dei possibili ministri a 5Stelle.

I TEMPI Adesso Di Maio e Salvini non vedono l'ora di iniziare, ma
Mattarella anzitutto vedrà oggi il presidente della Camera Roberto
Fico, alle 11, e un'ora dopo la presidente del Senato Elisabetta
Casellati. Un atto di riguardo verso chi aveva ricevuto i primi
incarichi esplorativi, ma anche un supplemento di consultazioni che, a
quanto trapela, ha suscitato un certo disappunto nella Lega.

A Lega e M5S, del resto, il capo dello Stato ha ricordato ieri che il
presidente del Consiglio non è un mero esecutore di contratti firmati
dai partiti, ma il responsabile della politica del governo, di cui
garantisce l'unità di indirizzo.

LA SQUADRA Il premier, tra l'altro, è quello che propone i ministri al
presidente della Repubblica. Per questo motivo, a quanto pare, Di Maio
e Salvini non avrebbero discusso con Mattarella della squadra di
governo. Ma una lista è già pronta: Salvini figurerebbe all'Interno e
Di Maio al superministero dello Sviluppo economico e Lavoro. Entrambi
potrebbero essere vicepremier, e si ipotizza il leghista Giancarlo
Giorgetti come sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Ma sui nomi restano incertezze.

Ieri mattina Salvini ha anche visto
Giorgia Meloni, ricevendo - a quanto pare - l'ennesimo suo rifiuto a
entrare nel governo. Il vero nodo riguarda la casella del ministero
per eccellenza, quello dell'Economia, dove il nome di Paolo Savona,
che metterebbe d'accordo le parti, potrebbe non trovare gradimento al
Quirinale, sostengono fonti 5Stelle, per le sue posizioni critiche
sull'euro.

Per il resto continuano a circolare i nomi dei pentastellati Alfonso
Bonafede (forse alla Giustizia, dov'è in corsa anche la leghista
Giulia Bongiorno), Riccardo Fraccaro, Laura Castelli, Vincenzo
Spadafora ed Emilio Carelli (forse alla Cultura). Agli Esteri si parla
di un tecnico, l'ambasciatore Giampiero Massolo. Per la Lega, Nicola
Molteni potrebbe aspirare alle Politiche agricole, Gianmarco Centinaio
agli Affari regionali, e potrebbe ottenere un ruolo anche Roberto
Calderoli.

MONSERRATO. Crisi aperta
Lai e Marras al sindaco Locci: «Hai fallito»

Nuovo scambio di accuse e maggioranza ormai allo sfascio. Continua la
crisi politica in Comune dopo il ritiro della delega dello Sport
all'assessore Franco Ghiani. «Il sindaco padre padrone ma sempre più
generale senza truppa – scrivono in una lettera aperta i consiglieri
del neo gruppo di maggioranza “Civici per Monserrato”, Paolo Lai e
Filippo Marras – Ancora una volta, con un pretesto, caccia di fatto un
assessore: dopo la vice sindaca Cicotto tocca di nuovo a Ghiani, uno
dei fondatori della coalizione messo alla porta»”.

I due consiglieri accusano il sindaco Tomaso Locci di aver sfasciato
la maggioranza. «È diventata monocolore “Monserrato libera” – dicono –
o forse Forza Italia, giri in scooter compresi con l'ex Governatore
ugo Cappellacci bandiere al vento. Una coalizione distrutta da chi ha
dimostrato di non saperla guidare.

Nel frattempo il sindaco non fa
nulla per ricucire, anzi la situazione sta peggiorando se non
addirittura precipitando. Anche se venisse superato lo scoglio del
bilancio, come si può pensare di andare avanti con questi numeri e
senza un reale chiarimento interno? Inoltre, proprio lui che ci accusò
di essere attaccati alle poltrone, monopolizza in prima persona o
attraverso i suoi fedelissimi tutti gli incarichi».

Per Lai e Marras, il sindaco «sta scaricando le proprie responsabilità
sugli altri: prima sui consiglieri, poi su parte della Giunta, sugli
uffici e infine sulla commissione Bilancio. Chi sarà il prossimo a cui
dare le colpe di quello che sta assumendo le proporzioni di un
fallimento politico?».
Federica Lai

La Nuova

Cucca ha l'influenza slitta l'assemblea del Pd
I democratici costretti a rinviare per una seconda volta l'analisi del dopo voto
Ma prende corpo l'ipotesi di confermare il segretario fino a settembre

CAGLIARI
Il Pd, anche in Sardegna, non si fa mancare davvero nulla e conferma
che dopo il 4 marzo il destino non è di sicuro dalla sua parte.
Stavolta l'assemblea regionale, era prevista ieri ad Abbasanta. è
stata rinviata a data da destinarsi per «un'improvvisa indisposizione
fisica» del segretario e senatore Giuseppe Luigi Cucca. Così ha
scritto la presidente del partito, Lalla Pulga, nel messaggio che in
tarda mattinata è rimbalzato da un telefonino all'altro, quando ormai
gran parte dei delegati era pronta a salire in auto per la trasferta
fino al centro congressi del Nuraghe Losa.

C'è chi ha subito pensato a
un rinvio strategico, ma le malelingue sono state smentite poco dopo.
Da Nuoro è arrivata la conferma che per il segretario era stato un
pessimo fine settimana: influenza e febbre alta, la diagnosi del
medico. Con Giuseppe Luigi Cucca bloccato in casa e su sua richiesta,
l'assemblea è stata rinviata di qualche giorno. A quando? Potrebbe
essere riconvocata alla fine di questa settimana, ma se la data fosse
venerdì 25 maggio sarebbe in contemporanea con la direzione nazionale
del Partito dei sardi, che proprio quel venerdì si riunirà a Tramatza.

Ed è una concomitanza che nel Pd nessuno vuole e quindi la data più
probabile per il proseguo dell'assemblea dem dovrebbe essere
all'inizio della prossima settimana.Secondo rinvio. Nonostante in
corsa e per scaramanzia la sede fosse stata spostata - dalla mai
fortunata Tramatza, almeno per il Pd, ad Abbasanta - l'assemblea post
elettorale comincia a essere un miraggio. L'11 maggio era stata
rinviata una prima volta a causa della convocazione di quella
nazionale, otto giorni dopo a Roma, ora è saltata per «cause di forza
maggiore».

Ma al di là dell'influenza che ha colpito il segretario,
forse questo nuovo stop alla fine potrebbe essere più utile del
previsto. Secondo diverse indiscrezioni, sarebbero a buon punto le
trattative interne per uscire da uno stallo che dura da oltre due
mesi. Stallo cominciato all'indomani della legnata elettorale
incassata alle Politiche di marzo, col Pd crollato al 14,8 per cento,
in Sardegna, e distanziato di quasi 28 punti dal Movimento Cinque
stelle. Di fronte al disastro, il lavoro recente delle diplomazie
messe in campo dalle tre correnti - renziani, popolari-riformisti e
soriani - potrebbe aver sgretolato il muro del tutti contro tutti di
questi ultimi mesi.Tregua possibile.

Sono due le ipotesi che girano
con maggior insistenza. La prima è questa: il segretario regionale
Giuseppe Luigi Cucca, sostenuto ormai solo dai renziani e dagli ex
Diesse, rimarrebbe in carica fino a settembre, mese in cui dovrebbe
essere convocato il nuovo congresso regionale. Di fatto questa
soluzione sarebbe la fotocopia di quella che, a Roma, ha evitato lo
scontro fratricida nell'assemblea nazionale della settimana scorsa.

Maurizio Martina è stato confermato nella carica di reggente fino al
prossimo congresso, stavolta nazionale annunciato per i primi di
ottobre. In Sardegna, a gestire la fase di transizione sarebbe invece
lo stesso Cucca, che a questo punto non si dimetterebbe, ma non
rimarrebbe da solo. Ad affiancarlo dovrebbe essere una segreteria
provvisoria, con l'incarico di organizzare la fase precongressuale.
Che per forza di cose in Sardegna dovrà cominciare prima di quella
nazionale visto l'appuntamento con le elezioni regionali all'inizio
del 2019.

Su questa soluzione sarebbero molto vicini all'accordo i
renziani e gran parte dei popolari-riformisti. Anche i soriani
vedrebbero abbastanza bene l'ipotesi di un armistizio fino a
settembre, rinunciando a questo punto alla richiesta finora perentoria
di un congresso subito prima dell'estate. La seconda ipotesi invece è
questa: sarà la prossima assemblea dei delegati a eleggere il
successore di Cucca, che però dovrebbe dimettersi, e in ogni caso il
nuovo segretario sarà comunque un reggente fino a settembre. È una
soluzione che piacerebbe di più alla maggioranza dei soriani, ma ha un
rischio: servirebbe un segretario super partes, ma ora nessuna delle
correnti ha il nome giusto per evitare l'immancabile fuoco di fila dei
veti incrociati che si scatenerebbe in un attimo.

Per questo, alla
fine, sarà proprio Cucca, più una nuova segreteria, a gestire la fase
di transizione fino al congresso.Troppe alchimie. Però tutto questo il
Pd dovr dovrà deciderlo in tempi molto brevi. Dopo la sconfitta
elettorale, è rimasto ostaggio delle sue esagerate alchimie interne.
Mentre il resto del centrosinistra è proiettato da settimane su quelle
che potrebbero essere le alleanze nel 2019. Se il Partito democratico
non dovesse riuscire a darsi una scossa entro metà giugno, potrebbe
arrivare in ritardo al tavolo delle trattative e trovarsi semmai di
fronte a decisioni già prese da altri. (ua)


C'è il nome: è Conte «La Ue si fidi di noi»
Indicazione di Di Maio e Salvini al Quirinale: «Sarà premier politico»
Duello con il Ppe. Il capo dello Stato riflette e convoca Casellati e Fico

di Francesca Chiri
ROMA
Lega e M5s confermano al Presidente della Repubblica le indiscrezioni
della vigilia e portano al Colle il nome del 54enne Giuseppe Conte
come il loro candidato alla presidenza del nascituro governo
giallo-verde. Il docente di diritto privato, una cattedra a Firenze,
componente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa
e avvocato cassazionista del Foro di Roma è il profilo che mette
d'accordo i due partner di governo ma soprattutto è la carta che Luigi
Di Maio e Matteo Salvini si giocano per convincere il Colle e
rassicurare l'Europa, nel giorno in cui i mercati già minacciano
l'assedio al nuovo esecutivo.

Che ancora prima di prendere forma se la
deve vedere con le pressioni dello spread, schizzato ad un passo da
quota 190, ai massimi dallo scorso giugno, il calo della Borsa di
Milano, i giudizi negativi delle agenzie di rating, con Fitch che
avverte del pericolo di una crescita del rischio-Paese. E con le
dichiarazioni al curaro del leader del Ppe, Manfred Weber, che mette
in guardia l'Italia dal rischio di provocare una nuova crisi
dell'euro: «State giocando col fuoco».

Così, mentre Sergio Mattarella,
preoccupato per le reazioni dei mercati, convoca per oggi i presidenti
di Camera e Senato, i due leader delle forze giallo-verdi si lanciano
all'attacco. E mentre Luigi Di Maio mantiene un profilo più low,
limitandosi a chiedere all'Ue di consentire al governo del cambiamento
di dare prova della sua affidabilità, «poi ci criticate, ma almeno
fateci partire», Matteo Salvini è tranchant.

«Weber pensi alla
Germania che al bene degli italiani ci pensiamo noi», ruggisce il
segretario del Carroccio. «Scherza col fuoco chi non rispetta la
democrazia», gli fa eco il M5s anche se è soprattutto il leader della
Lega, in procinto di incontrare in settimana lo stratega di Donald
Trump Steve Bannon, che va all'affondo. «Io sono civile, educato e
rispettoso, ma basta. Come è possibile farsi dare minacce e ordini da
chi ha portato l'Italia al massimo della precarietà?».

Di certo non
aiuta la causa gialloverde l'endorsement del Front National con Marine
Le Pen che esulta per le notizie sull'imminente governo Lega-M5s: «I
nostri alleati arrivano al potere e aprono prospettive strabilianti,
innanzitutto con il grande ritorno delle Nazioni!». È uno scenario,
quello che sta montando intorno al governo Lega-M5s, che non rasserena
il Capo dello Stato che ora intende vagliare con cautela la
composizione della squadra di governo che Di Maio e Salvini affermano
di avergli consegnato. Come le tensioni sui mercati, preoccupano il
Presidente i ministri economici e in particolare quello del Tesoro per
il quale è in predicato anche l'allora ministro del governo Ciampi,
Paolo Savona, economista anti-euro.

Ma i due leader glissano sulla
composizione della squadra. Il leader M5s parla di un «giorno storico»
e assicura che con questo governo partirà la «terza Repubblica» e che
il candidato premier prescelto «tutti se lo immaginano come una
persona debole, invece è uno veramente tosto. E incarna i valori M5s».
Salvini dice: «Nessuno ha niente da temere dalle nostre politiche
economiche» e promette di voler ridurre il debito e voler far crescere
il paese «rispettando tutte le normative e i vincoli». Si chiude,
intanto, la possibilità di un allargamento a Fdi.

C'è il nome: è Conte «La Ue si fidi di noi»
Indicazione di Di Maio e Salvini al Quirinale: «Sarà premier politico»
Duello con il Ppe. Il capo dello Stato riflette e convoca Casellati e Fico

I nodi sulla composizione della squadra del futuro governo non sono
gli unici scogli che Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno sul tavolo.
Lega e Movimento Cinque Stelle sono impegnati in una trattativa
altrettanto delicata sulle future nomine pubbliche che vedono in cima
alla lista delle priorità il rinnovo del Cda della Rai e i vertici di
Cassa depositi e prestiti. Sulla Cassa c'è grande interesse da parte
dei 5 stelle che, si ragiona in ambienti politici, potrebbero dare
maggior spazio alla Lega sul fronte Rai puntando sul presidente e
lasciando il ruolo strategico del direttore generale e ad nelle mani
di Salvini.

Che potrebbe muoversi in nome di tutto il centrodestra, in
base agli accordi presi con il Cav. Ed è proprio il consiglio
d'amministrazione del Servizio Pubblico in scadenza il 30 giugno, la
partita su cui si testerà la tenuta della nuova maggioranza ma anche,
e soprattutto, i rapporti tra il leader della Lega e Silvio
Berlusconi. Con la riforma della Rai sono cambiate le procedure per
l'elezione dei componenti del Cda: 4 saranno eletti dal Parlamento (2
dalla Camera e 2 dal Senato), 2 sono indicati dal Consiglio dei
ministri su proposta del Tesoro e, novità, 1 sarà eletto dai
dipendenti dell'Azienda.

 La trattativa vera tra le forze politiche
entrerà nel vivo per l'elezione del presidente di viale Mazzini.di
Michele EspositowROMAUn puzzle complicato, segnato dalla
triangolazione tra M5s, Lega e Quirinale. Il futuribile governo del
professor Giuseppe Conte non trova ancora una quadra sui ministri. I
nodi restano diversi, e sull'Economia, sul quale l'occhio del
Quirinale è più che mai attento, c'è il rischio di un braccio di ferro
tra il duo Luigi Di Maio-Matteo Salvini e il Colle.

 Con i primi che
non sembrano voler recedere dalla loro scelta iniziale, l'ex ministro
dell'Industria del governo Ciampi Paolo Savona. L'economista sardo
aveva messo d'accordo M5S e Lega tanto che tra i due partiti, nel
corso della giornata, emerge quasi una sfida su chi l'abbia proposto.
Savona è molto gradito alla Lega ed è stato più volte ospite del blog
del Movimento. Anzi, secondo alcune fonti parlamentari, Savona per un
breve lasso di tempo avrebbe addirittura conteso a Conte il ruolo di
premier.

È su di lui, tuttavia, che il filo diretto tra M5S-Lega e il
Quirinale rischia il tilt. Perché nonostante sia una figura di lunga e
comprovata esperienza, al Colle più alto le posizioni anti-euro di
Savona non piacciono affatto. Il suo nome, nei colloqui di ieri con
Mattarella, non è stato fatto ma il nodo Mef rischia di occupare
l'intera settimana. Anche perché un piano B preciso ancora non c'è. Di
Maio e Salvini, per non sbattere sui paletti del Colle potrebbero
virare su Giancarlo Giorgetti, in predicato di essere sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio.

Ma il cambio di pedina rischia di
destabilizzare l'intero assetto di governo. Con Giorgetti
all'Economia, infatti, il M5S vorrebbe per sé anche il ruolo di
sottosegretario di Conte, per il quale Vincenzo Spadafora risulta tra
i nomi in pole. Possibile, inoltre, che Di Maio e Salvini facciano
anche da vicepremier, avocando a sé anche deleghe importanti. I due
leader, comunque, saranno ministri.

Il primo punta a un superdicastero
che comprenda Sviluppo Economico e Lavoro. Per l'accorpamento,
tuttavia, serve un decreto del Cdm ed è quindi possibile che, nei
primi giorni di governo, sia Conte a prendere l'interim di uno dei due
dicasteri per poi cedere la delega a Di Maio. Salvini è invece diretto
all'Interno e la Lega, quasi certamente prenderà l'Agricoltura (in
pole c'è Nicola Molteni) e il Turismo (con delega agli Affari
Regionali) che andrà quasi certamente a Gian Marco Centinaio.

Per i rapporti con il Parlamento spunta Giulia Bongiorno, per il
neoministero della Famiglia Simona Bordonali mentre in bilico tra M5S
e Lega restano Sanità (su cui il Carroccio ha puntato nelle ultime
ore) e Trasporti, attorno al quale si concentrano le frizioni tra i
due partiti sulla Tav. Per il primo i pentastellati puntano su Giulia
Grillo mentre per il secondo il nome del M5S è quello di Laura
Castelli, altrimenti diretta alla P.A. Se invece il dicastero finora
guidato da Graziano Delrio finirà in quota Lega i nomi che girano sono
Armando Siri e Giuseppe Bonomi.

Per gli Esteri la scelta di Giampiero
Massolo sembra ormai certificata. La Difesa - altro nodo del dialogo
con il Colle - alla fine finirà in quota M5S. I favoriti sono
Elisabetta Trenta (già candidata per il dicastero dal Movimento) e
Riccardo Fraccaro, a cui potrebbe andare anche il neoministero della
Semplificazione. Cultura e Ambiente dovrebbero anche andare al
Movimento.

Savona, ministro sardo anti-euro
ma non piace a Quirinale e Bruxelles
SASSARI

Paolo Savona potrebbe tornare al governo 25 anni dopo la prima volta.
Ma sul suo nome c'è una forte opposizione del presidente Sergio
Mattarella. L'economista cagliaritano, già ministro dell'Industria nel
governo Ciampi, è il nome più gettonato per il dicastero
dell'Economia, le sue teorie fortemente critiche nei confronti
dell'Europa piacciono sia a Di Maio che a Salvini, ma è proprio la sua
posizione anti-euro a impensierire il capo dello Stato. Per ora
l'unica certezza è il consenso che Savona, 81 anni, riscuote sia tra i
5 stelle che tra i leghisti. Addirittura si dice che l'economista
fosse la prima scelta come presidente del Consiglio.

Per questo Di
Maio e Salvini difficilmente molleranno la presa. Lui, interpellato da
Affaritaliani.it, ammette che sul suo nome non ci sia accordo. «Non
rilascio dichiarazioni, perché a un certo punto non voglio entrare
nella tenzone. Sono disponibile per il Paese, com'è sempre stato, però
non entro nei dettagli e nei conflitti. Se la vedano i politici. Io
sono un tecnico. Punto e basta». Nessuna conferma, ma nemmeno una
smentita sui contatti con Di Maio e Salvini. «Non confermo e non
desidero rilasciare dichiarazioni, quando gli eventi si realizzeranno
dirò come stanno le cose».Il Savona pensiero è la traduzione in chiave
economica di quanto i due leader hanno dichiarato in questi anni.

«Se l'Italia non l'ha già fatto - ha detto l'economista cagliaritano in
una intervista a Vita.it -, è giunto il momento d'avere pronto un
piano B, di fine dell'euro o di uscita dallo stesso, che dal 12 maggio
2011 ho insistentemente richiesto di approntare. Gli accordi costruiti
male o firmati da Paesi con intenti egemoni non hanno lunga vita.

Se dovessimo essere colti impreparati all'evento, sarebbe veramente un
dramma». «Anche se si fa finta che il problema non esista, il cappio
europeo si va stringendo attorno al collo dell'Italia - aveva detto in
un'altra intervista per il Foglio -. Se l'Italia decidesse di seguire
il Regno Unito attraverserebbe certamente una grave crisi di
adattamento, con danni immediati ma effetti salutari, quelli che ci
sono finora mancati».Savona, dunque, non ha mai fatto mistero del suo
anti-europeismo. Le sue parole sono lette con molto allarme in tutte
le capitali Ue. Ma anche dal Quirinale.

A Mattarella le posizioni di
Savona non piacciono per nulla. Nei colloqui con i leader di M5s e
Lega il suo nome non è mai stato fatto, ma il presidente della
Repubblica sa che i due partiti puntano sull'ex ministro per
l'Economia. E difficilmente faranno passi indietro. Anche perché
finora Savona sembra essere il nome che mette d'accordo Di Maio e
Salvini e non ci sia intesa su una seconda opzione.

Certo, circola il
nome del leghista Giancarlo Giorgetti, in pole per la nomina a
sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma questa scelta
potrebbe incrinare l'accordo sull'assetto di governo. (al.pi.)


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Federico Marini
skype: federico1970ca


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