giovedì 31 maggio 2018

Rassegna stampa 31 Maggio 2018







UNIONE SARDA

La crisi ricompatta le anime del Pd

ROMA «Siamo tornati a parlare, a telefonarci». Dopo settimane di
tensione tra renziani e le altre componenti dem, la crisi ricompatta
il Pd. Una tregua. Almeno in queste ore. Con la soddisfazione di aver
centrato due obiettivi. Il primo aver «spiazzato M5S e Lega» con
l'annuncio dell'astensione sulla fiducia ad un eventuale governo
Cottarelli. Astensione confermata ieri. Da fonti dem di palazzo Madama
si apprende «che la posizione del Pd nei confronti di un eventuale
governo Cottarelli non è cambiata. I gruppi parlamentari hanno
manifestato un orientamento, pressoché unitario, di astensione
all'esecutivo».

Il secondo obiettivo centrato, sostengono i dem, è quello di aver
stanato Matteo Salvini e Luigi Di Maio schierando il Pd per il voto a
luglio. «Abbiamo reso evidente che sono terrorizzati di andare a
votare a luglio. E tutto quello che sta accadendo in queste ore»
ovvero il nuovo tentativo di un governo politico giallo-verde «ne è la
dimostrazione».

In attesa dell'evolversi della crisi, i dem sono alle prese con
l'organizzazione della manifestazione di domani a Santi Apostoli.
Una iniziativa nel nuovo spirito del “fronte repubblicano”: una piazza
aperta, forse anche con i sindacati presenti.

«Venerdì primo giugno a Roma e in contemporanea a Milano ci saranno
due grandi manifestazioni», dice Maurizio Martina in un video su Fb,
«vogliamo rappresentare in tutto e per tutto l'alternativa popolare
alle forzature, alle provocazioni, alle irresponsabilità che abbiamo
visto in questi giorni e che hanno animato le forze che hanno prevalso
il 4 marzo».
Intanto da Leu, piuttosto critico in prima battuta, è arrivata
un'apertura su una possibile alleanza.

Parla il costituzionalista Pietro Ciarlo. «Savona è in cerca di un nuovo ruolo»
«Lo stallo? Creato ad arte Mattarella è stato corretto»

Sono stati in molti, in questi giorni difficili, a ragionare sui
motivi della rigidità, ieri attenuata, di Salvini e Di Maio sul nome
di Paolo Savona al ministero dell'Economia. E a concludere che tutto
ciò che è accaduto potrebbe essere stato previsto, anzi pianificato,
dal leader della Lega per tornare alle urne e ottenere un consenso ben
più ampio. Il no di Mattarella, le polemiche che ne sono seguite, il
dibattito acceso tra i 60 milioni di costituzionalisti italiani
sarebbero figli di una sofisticata manovra politica.

Tra i sostenitori di questa tesi, al di là degli sviluppi delle ultime
ore, c'è Pietro Ciarlo, ordinario di Diritto Costituzionale
all'Università di Cagliari, consigliere regionale del Pd in Campania
per cinque anni e uno degli esponenti della “Commissione dei saggi”
Letta-Napolitano che nel 2013 venne incaricata di riformare la Carta.
«Nelle ultime settimane è apparso chiaro che il partito maggiormente
in ascesa sia la Lega che avrebbe un grande giovamento da elezioni
ravvicinate. Devo aggiungere altro?».

Aggiunga, professore.
«In quest'ottica la rigidità sul nome di Savona è apparsa strumentale
a caricare sul Capo dello Stato l'onere dello scioglimento anticipato
del Parlamento».

Ma secondo lei il presidente Mattarella ha agito correttamente? Molti
suoi colleghi si sono divisi.
«Dal punto di vista giuridico, nessun dubbio. La Costituzione ha
previsto che le nomine dei ministri siano concordate da presidente del
Consiglio incaricato e presidente della Repubblica che devono
cofirmare il decreto di nomina».

Molti sostengono che la proposta del presidente incaricato sia vincolante.
«No, l'atto deve essere condiviso e se manca il consenso di una parte
non si può fare».

Qual è la ratio?
«Il Legislatore ha immaginato che in un momento di particolare
tensione o difficoltà politiche ci dovesse essere una
corresponsabilità tra presidente della Repubblica e presidente del
Consiglio incaricato».

Molti tra coloro che concordano con lei sostengono, però, che pur
essendo corretta la decisione del presidente della Repubblica sia
stata inopportuna.
«Qui ci spostiamo su un terreno politico e vale il discorso che ho
fatto sul vero obiettivo della Lega».

Inizialmente il Movimento Cinquestelle aveva ipotizzato una richiesta
di impeachment. Poi c'è stata una marcia indietro.
«Era solo una questione politica senza basi giuridiche. Infatti pochi
sono rimasti su questa posizione. Anche perché è palese che il
presidente Mattarella non abbia commesso alcun illecito».

Tra l'altro è una procedura complicata.
«Le ragioni per chiedere di mettere in stato d'accusa il Capo dello
Stato - alto tradimento e attentato alla Costituzione - non
sussistono. E poi la procedura complessa e prevede, tra l'altro che a
deliberare siano le Camere riunite in seduta Comune con maggioranza
assoluta».

Che cosa pensa di Paolo Savona?
«È il classico personaggio in cerca d'autore».

Si spieghi.
«È un uomo che aveva grandissime ambizioni, poi si sono spenti i
riflettori. Si aspettava moltissimo da Ciampi presidente della
Repubblica e quando non ha ottenuto nulla, a un certo punto ha deciso
di riciclarsi altrove perché in quegli ambienti non aveva più grandi
chance. Quando i tuoi maestri escono di scena, il tessuto relazionale
si indebolisce, cambiano le fasi politiche, i soggetti e i partiti,
c'è chi si preoccupa di trovare un autore che gli assegni di nuovo una
parte nella commedia della vita. Ma c'è un limite a tutto, come diceva
mia madre. A 82 anni non ci si mette a fare il pomo della discordia».
L'euro è un valore costituzionale?
«Nella Costituzione c'è scritto che dobbiamo osservare i trattati
internazionali, dunque anche quelli che stabiliscono che la moneta sia
l'euro. Ma voglio dire un'altra cosa».

La dica.
«Si dice che non ci siano istituzioni politiche europee all'altezza
dell'euro. Questa affermazione era vera sino a sette-otto anni fa ma
non ora. La Banca centrale europea è un'istituzione dotata di ampi
poteri in grado di governare la monete, come si può vedere dalle mosse
di Draghi. Aggiungo che Draghi presidente della Bce significa anche
Italia al governo dell'Unione europea».

Fabio Manca

Doppio incontro con Mattarella
Cottarelli in stallo: il governo tecnico resta fermo ai box

ROMA Due incontri informali, al mattino e al pomeriggio, e alla fine
le stesse conclusioni. Il presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, e il presidente del Consiglio incaricato, Carlo
Cottarelli, decidono di congelare la nascita del governo di garanzia,
per verificare se sia ancora possibile dar vita ad un esecutivo
politico, fondato sull'intesa tra M5S e Lega.

IL COLLOQUIO In mezzo un colloquio, sempre informale, tra il capo
dello Stato e il leader Cinquestelle, Luigi Di Maio, che probabilmente
serve a rafforzare la convinzione maturata nelle ultime
ventiquattr'ore: nonostante siano passati 67 giorni dalle dimissioni
di Paolo Gentiloni e sia stato battuto il record di durata di una
crisi di governo nella storia della Repubblica (eccetto quelle
intervallate da elezioni anticipate), Mattarella non vuole lasciare
nulla di intentato perché possa vedere la luce un governo politico in
grado di far partire la legislatura.

Tanto che, interpellate sull'argomento, fonti del Quirinale affermano
che viene valutata «con grande attenzione» l'ipotesi avanzata dal
leader M5S di affidare a Paolo Savona un dicastero diverso da quello
dell'Economia.

LA SQUADRA Fonti della presidenza della Repubblica fanno sapere che
non ci sono più problemi per la lista dei ministri di Cottarelli.
L'elenco ha ricevuto il via libera del presidente. Ma Cottarelli e
Mattarella hanno deciso di non forzare sui tempi nell'ipotesi di un
eventuale governo politico. Quindi la situazione resta aperta. Di
sicuro Cottarelli prenderà ancora tempo prima di sciogliere la
riserva. Ma essendo tramontata l'ipotesi di un'astensione tecnica,
l'esecutivo di garanzia andrebbe sicuramente alla morte. Di fatto non
ci sono i numeri per ottenere la fiducia alle Camere, l'unica via
d'uscita poteva essere l'accordo politico di maggioranza a non
esprimersi, con la disponibilità di volontari a votare a favore.

L'ipotesi però si infrange contro la realtà, i pentastellati
confermano il no alla fiducia, portandosi dietro anche Lega e Fratelli
d'Italia. La strada non è percorribile, insomma, ma nella sala dei
Busti di Montecitorio, come del resto al Quirinale, si lavora a
un'alternativa.

I MERCATI Nel frattempo lo spread si raffredda e la Borsa di Milano
rifiata in attesa di nuovi sviluppi. L'indice milanese Fte Mib sale
del 2,09%, mentre il differenziale tra il Btp e il Bund tedesco torna
sotto quota 250 punti, a 247 punti base, in chiusura, con il tasso del
decennale italiano al 2,84% sul mercato secondario dopo aver toccato
nei giorni scorsi i massimi dal 2012. Ma un segnale preoccupante
arriva dall'asta del Tesoro, che vede raddoppiare i rendimenti da
pagare agli investitori per il cosiddetto rischio Italia. E intanto
Moody's annuncia che potrebbe tagliare il rating di 12 banche e 6
utility italiane, sulla scia della stessa minaccia sul debito sovrano
dell'Italia.

LA BCE La Bce è cauta. Fonti interne all'Eurotower rivelano che
l'istituzione presieduta da Mario Draghi sta seguendo con attenzione
gli sviluppi del mercato e gli effetti della crisi politica
sull'Italia, ma in questo momento non vede alcun morivo per
intervenire. «Nessuna banca centrale reagirebbe a eventi sulla scia di
fatti che si sono manifestati in pochi giorni», fa notare una fonte
ricordando che siamo di fronte a una crisi politica. Certo è che i
rischi restano.

Il leader 5S: conosciuto da poco. Ma nel 2016 parlarono dell'euro
Quell'antico colloquio tra Di Maio e il Prof

«Ho avuto un lungo colloquio con Di Maio», raccontava Paolo Savona a
Cagliari, il 20 settembre del 2016. Davanti alla platea di un
congresso ospitato in un hotel del capoluogo, l'economista riferì la
ricetta proposta dal leader Cinquestelle: «Mi ha detto: dobbiamo
uscire dall'euro».

La posizione contro la moneta unica (condivisa anche da Savona, che
nel 2016 però specificava che non avrebbe «risolto il problema»
dell'Italia) non è certo una novità, soprattutto se si considera che
il racconto è di due anni fa. Ma il video in cui sono contenute queste
frasi ieri è rimbalzato sui social network perché ritenuto una “prova”
in grado di mettere in difficoltà Luigi Di Maio: nei giorni scorsi,
quando era ancora in atto il braccio di ferro col Quirinale sul nome
dell'economista cagliaritano, il leader M5S disse di aver conosciuto
Savona solo «dieci giorni fa».

Così nella serata di ieri Di Maio ha precisato: «Circola un video in
cui si dice che io e Savona ci conoscevamo da anni. Non me lo ricordo.
Non l'ho mai incontrato e non abbiamo mai discusso di euro. La
conoscenza tra me e Savona è avvenuta con Salvini qui a Roma una
settimana prima di formare la squadra dei ministri. La sua prima
considerazione è stata “faccio il ministro per voi a patto che non si
esca dall'euro”», ha spiegato nel corso di un'assemblea dei
rappresentanti del movimento.

Nei giorni scorsi in tanti avevano evidenziato il cambio di rotta
sull'uscita dall'euro. Dopo la bocciatura di Mattarella e il
conseguente fallimento delle trattative sul governo guidato da
Giuseppe Conte, Di Maio ha più volte sottolineato che non era
intenzione del movimento uscire dall'euro e che l'ipotesi non era nel
contratto di governo firmato stipulato con Salvini.

La Nuova

Il M5s «stringe» sulla Lega Ma Salvini guarda alle urne
La non sfiducia tecnica e il governo Andreotti nel 1976

È complicato definire il concetto di «non sfiducia tecnica» rispetto
alla nascita di un governo.E tuttavia nella storia della Repubblica
italiana c'è stato un «governo della non sfiducia»: così venne
definito l'esecutivo monocolore Andreotti II, sostenuto dalla Dc e
dalle minoranze linguistiche. In pratica, il caso si esplica con
l'astensione di un gruppo, che determina l'abbassamento del quorum
della maggioranza dei votanti necessario per far passare la fiducia.
Nell'agosto 1976 il trentatreesimo Esecutivo della Repubblica
Italiana, il primo della VII legislatura, superò la votazione di
fiducia in Parlamento proprio grazie all'astensione del Partito
Comunista Italiano di Enrico Berlinguer.

Il governo ottenne la fiducia
al Senato il 6 agosto 1976, con 136 voti favorevoli, 17 contrari e 69
astenuti. E la incassò tre giorni dopo alla Camera, con 258 voti
favorevoli, 44 contrari e 303 astenuti. Quel monocolore Dc,durato poco
più di un anno e sette mesi, entrò nella storia in quanto fu il primo
con una donna ministro: era Tina Anselmi ed ebbe ildicastero del
Lavorodi Michele Espositow ROMALa faccia scura di Luigi Di Maio che
entra alla Camera apre l'ennesima giornata di veti incrociati tra il
leader M5S e Matteo Salvini. 

È una giornata che si apre con il «voto
non contrario» della Lega al governo di Carlo Cottarelli e con la
sensazione, nel Movimento, che un esecutivo tecnico succeduto dal voto
in autunno non faccia altro che tirare la volata finale a Salvini. È
da qui che inizia l'estremo contrattacco di Di Maio, lanciare la palla
alla Lega, proponendo lo spostamento di Paolo Savona dal Mef ad un
altro ministero.È un tentativo che Salvini è orientato a rifiutare:
per il leader della Lega la campagna è di fatto iniziata e il suo
obiettivo è capitalizzare al massimo la sua ascesa. 

Al M5S, la sponda
per riaprire lo spiraglio a un governo politico arriva un pò inattesa
dal Colle. In tarda mattinata giunge la chiamata del Quirinale. Di
Maio vi si reca nel pomeriggio, il colloquio non è dei più facili
perché fino all'altra sera del presidente Mattarella il M5S chiedeva
la messa in stato di accusa. Ma nella più lunga crisi di governo
post-voto i tempi perché il vento cambi direzione sono velocissimi. E
Di Maio esce dal Colle con una «mission» ben precisa: riesumare la
soluzione giallo-verde proponendo lo spostamento di Savona. Voci,
smentite seccamente dal M5S, parlano addirittura di una disponibilità,
da parte del Movimento, ad un governo a guida leghista. 

Gli escamotage, per tagliare Savona dal Mef tutelandolo al tempo stesso
sono due: spacchettare il dicastero di via XX Settembre in Economia e
Finanze, lasciando uno dei due all'economista sardo; oppure spostare
Savona in un ministero meno pesante ma simbolico, come quello per gli
affari Ue, lasciando il Mef ad un nome alternativo come - secondo
alcuni rumors pomeridiani - Pierluigi Ciocca. Per Di Maio e Salvini è
l'ultima partita a scacchi. Una partita che ha sullo sfondo il voto.

Il M5S si gioca l'estrema arma a sua disposizione, dire «no» al
governo Cottarelli mettendo così in difficoltà un'eventuale astensione
leghista, che finirebbe nel mirino della campagna elettorale del
Movimento.Ma è al governo che i Cinque Stelle guardano, fiaccati da 87
giorni ad altissima tensione e comunque intenzionati, se il governo
non si farà, ad andare alle urne a luglio. Il voto estivo tutelerebbe
Di Maio, che con le elezioni in autunno (o, peggio, ancor più in là)
potrebbe giustificare con minor forza la deroga al doppio mandato e
rischierebbe di veder affievolire la sua leadership. 

Con, all'orizzonte, il ritorno dall'America del più movimentista dei Cinque
Stelle, Alessandro Di Battista. «Può essere che ci hanno fregati, ma
io preferisco passare per una brava persona e non per un furbo»,
ammette Di Maio ad un'assemblea congiunta dove, sotterraneamente, si
registrano i primi malumori per una gestione definita troppo poco
concertata e soprattutto per le mosse degli ultimi giorni, a
cominciare dalla richiesta di impeachment, che hanno provocato più di
un mal di pancia tra i parlamentari. 

Le prossime ore diranno se
l'ultimo cambio di direzione di Di Maio sul governo avrà esito.
Salvini, fanno sapere fonti leghiste, si porrà il problema di come
votare il governo Cottarelli solo quando il premier verrà in Aula.
Probabile che tra lui e Di Maio un contatto ci sia. Probabile che sia
inutile. Ma, raccontano fonti parlamentari, anche nella Lega emergono
i primi malumori sulla strategia di Salvini.


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Federico Marini
skype: federico1970ca

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