lunedì 3 settembre 2018

Sardi pocos, locos y mal unidos? E chi li apostrofò in questo modo? Di Prof.re Francesco Casula.






La definizione dei Sardi pocos, locos y mal unidos, attribuita a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica, è in realtà di Martin Carrillo, Visitador del Reyno de Cerdeña. Questi, ambasciatore del re Filippo IV nel 1641, in un resoconto stilato per il sovrano spagnolo in merito alla situazione linguistica e culturale della Sardegna (“Il Catalano e lo Spagnolo vengono utilizzati e capiti nelle città, mentre il Sardo è la lingua comunemente utilizzata nei villaggi” definirà appunto i Sardi:” pocos, locos y mal unidos”.

E si riferiva – sbagliando – alla situazione linguistica. Ma tant’è: diventerà un becero e trito luogo comune e verrà interiorizzato da molti sardi e ripetuto in modo ossessivo e auto flagellante, con effetti devastanti, specie a livello psicologico e culturale (vergogna di sé, complessi di inferiorità, poca autostima, voglia di autocommiserazione e di lamentazione) ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica.

Del resto l’imperatore Carlo V, poco doveva conoscere la Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la visitò direttamente e di passaggio. Nel 1535 quando durante la spedizione contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e nell’ottobre del 1541; nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi.

In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non – come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del 7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione della città catalana e dell’intero sassarese.

I Sardi certo sono pocos: e questo di per sé non è necessariamente un fattore negativo. Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men che meno imbecilli. Mal unidos? Questo, almeno in parte sì: ma più per responsabilità dei Governanti e dei gruppi dirigenti che per colpa del popolo sardo. Ma soprattutto per responsabilità degli ascari locali, un solo esempio: Giovanni Maria Angioy fu sconfitto per una pluralità di motivi, ma uno dei principali è da addebitare e ricondurre certamente a chi lo tradì, ai suoi stessi ex seguaci.

E penso agli Efisio Pintor Sirigu e non solo. Certo le esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e strangolate dal genocidio e dal dominio romano. Ma la Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico Meloni. E non fu annientata.

La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos sardos (i regni sardi). Certo con catalani, spagnoli e piemontesi furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base della Sardegna moderna.

Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde con variegati sistemi e costumi solidaristici e di forte unità: basti pensare a s’ajudu torrau o a sa ponidura.

Prof.re Francesco Casula.
Autore del libro "Carlo Felice ed i Tiranni Sabaudi"

Il libro di Casula risponde a una domanda semplice: dopo che i Savoia ricevettero, controvoglia, la Sardegna nel 1720, e divennero re, come si comportarono verso quella importante parte del loro regno? La risposta al quesito è semplice, lineare, durissima: la Sardegna venne trattata come un territorio altro rispetto al Piemonte, abitato da uomini che avevano meno diritti rispetto agli altri, culturalmente e socialmente inferiori, i quali dovevano essere trattati in modo tale da mantenere questa inferiorità. Questo pensavano i tiranni sabaudi, e le loro modalità di governo, o meglio di spoliazione, sono la diretta conseguenza della visione ideologica appena tratteggiata.

Girolamo Sotgiu, probabilmente il più grande storico del periodo sabaudo in Sardegna, pur essendo un oppositore della “diversità” dei sardi rispetto agli italiani, non poté non constatare il carattere coloniale dei rapporti tra Piemonte e Sardegna. Di quei rapporti non sono colpevoli coloro che allora abitavano il Piemonte (per carità) bensì i governanti, cioè i Savoia e, successivamente, gran parte della classe dirigente post-1861.

Nel 2011, durante le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, si è persa l’occasione di riflettere criticamente sul Paese e sul processo di “unificazione”. Però si può sempre (ri)cominciare, anche in assenza di una ricorrenza. Se un turista, un italiano o uno straniero, viene in Sardegna, scoprirà che la strada più importante, la SS131, è la “Carlo Felice”. Carlo Felice, detto anche “Carlo feroce” è stato uno dei peggiori, più sanguinari e pigri vice-re di Sardegna.

Un amico studioso ama ripetere che è come se gli israeliani, nel 2200 dedicassero la loro strada più importante a un nazista, magari a Hitler in persona. Certo, questo sarebbe potuto succedere se i nazisti avessero vinto. Dato però che non è giusto che la storia la facciano i vincitori, le persone dotate di senno o almeno di amor proprio che abitano in Sardegna, perché non mettono mai in discussione la memoria che si reifica nei nomi delle strade e delle vie di Sardegna?

A Cagliari, nella piazza più frequentata, svetta la statua di Carlo Felice. Più di sei anni fa proposi, per molti provocatoriamente, di sostituirlo con Giovanni Maria Angioy, il quale “fu il capo […] del movimento anti-feudale sardo. Angioy fece proprie le rivendicazioni delle popolazioni della campagna vessate dai feudatari, e propugnò l’eliminazione delle arcaiche strutture di potere”. Da tempo, un movimento di opinione, che ha presentato anche una petizione, chiede che la statua venga spostata.

In questa fase storica, di disfacimento di un progetto politico (l’Italia), ragionare sulla sua storia secolare e i suoi governanti, ragionare sul suo carattere plurinazionale (l’Italia è insieme alla Francia uno dei paesi europei a non aver ratificato la Carta Europea delle Lingua Minoritarie), fa sicuramente bene ai popoli in cerca di una libertà che Roma non ha fornito, ma anche a Roma stessa.


Il libro di Francesco Casula, che rifiuta ogni razzismo anti-italiano, è un valido contributo per riscrivere veramente la storia, andando contro i tanti tradimenti dei presunti chierici.

Autore Enrico Lobina.
Tratto dal sito https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/05/carlo-felice-e-i-tiranni-sabaudi-la-sardegna-degli-uomini-con-meno-diritti-degli-altri/3495706/


2 commenti:

  1. Ho letto, due volte, il saggio di Francesco Casula. Niente di più vero e, oserei dire, di più sacro, di quanto riportato nel suo saggio. Mi viene in mente soltanto un motto: Forza paris !

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  2. Pro la torrare a bida in Saldigna che cheret omines che a Casula ,foltes che Ferru

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