giovedì 1 dicembre 2016

Dopo risultato referendario unica certezza: sinistra a pezzi.

Carl Schmitt era convinto (a ragione!) che non fosse possibile dir nulla di significativo su cultura e storia senza essere consapevoli della propria situazione culturale e storica. Ecco, ti guardi intorno, ascolti, osservi, sia pure svogliatamente, come capita a me, la campagna referendaria e ti rendi conto del Nulla assoluto che ti circonda; e non è una questione che si possa ridurre ad un Si o un NO da barrare, per chi ne avrà voglia e stomaco, il prossimo 4 dicembre sulla scheda referendaria.

Posto che lo Stato, inteso come unità politica, ha rinunciato da tempo alla pretesa del “comando” nella lotta economica (e le lotte sono, almeno a partire dalle fine del secolo XIX, lotte economiche), ridurre la questione “democratica” a quella costituzionale significa, di fatto, considerarla poco più un postulato ideologico e ridurla a poco meno di una sorta di “giustificazione” della politica e/o, per meglio dire, del ceto politico.

Ha forse conservato la Costituzione politica la sua originaria capacità ordinante, la sua “pretesa” di contenere, da sola, le regole fondamentali della convivenza economica, sociale e politica di una intera Nazione? Dacché la politica, o per meglio dire il “politico”, ha smesso di confrontarsi con le profonde trasformazioni, che hanno finito per svuotarne dall’interno concetti e categorie, si è ridotta a vuote liturgie, al piatto conformismo e alle comodità del discorso spettacolare.

La contesa referendaria, con la sua smania “riformatrice” da un lato, e la conservazione di una ordine costituzionale che ha perso ogni concreta capacità di “ordinare” (e men che meno in senso “progressivo”) dall’altro, si svolge esattamente su questo piano, in cui ai più appare difficile cogliere la relazione tra mezzi e fini. Tra una riforma mal concepita e peggio scritta, foriera di probabili disfunzioni sistemiche, e la difesa di una Costituzione “senza vita”, quasi fosse destinata all’eternità, ci sarebbero, in mezzo, le vere leggi costituzionali: la legge di bilancio e quella elettorale.

La prima è già stata messa in “cassaforte” dalla riforma dell’art. 81, mentre la seconda sarà, presumibilmente, l’altro frutto avvelenato di questa sbagliata riforma costituzionale. Comunque vada, che vinca il SI oppure il NO (soluzione che personalmente trovo meno dannosa), la fuori uscita dal delirante neoliberalismo globalizzato si annuncia in ogni caso sempre all’insegna del delirio, magari in rinnovata veste sovranista e identitaria. E se qualcuno pensa che la vittoria del NO (come io spero) possa rappresentare, come mi capita di leggere e sentire, la condizione per una ricomposizione del campo della cosiddetta “sinistra”, io credo si sbagli di grosso: troppe aspettative frustrate, troppi tradimenti consumati.


Luca Pusceddu

Nessun commento:

Posta un commento