giovedì 22 dicembre 2016

Nel caos di questo mondo: l'Italia del Mattarellum, l'Italia del proporzionale. Consigli non richiesti a Giuliano Pisapia. di Elisabetta Piccolotti.



Ogni mattina una persona di sinistra si sveglia e deve decidere che direzione prendere. Di lui nessuno si preoccupa più di tanto, è solo un oggetto da convincere con brevi interviste o con grandi proclami. Il ragionamento è ridotto all'osso e l'analisi diventa puro orpello: sinistra di governo, campo largo e progressista, nuovo programma, nuova agenda, nuovo centro-sinistra, nuovo ulivo, quarto polo, polo anticapitalista, lista civica del No, sinistra del No, sinistra del Si, comitati del Ni, e perfino del So. Tante formule, poche spiegazioni. Sopratutto poca capacità di fare i conti con la realtà sociale che cambia e tanta voglia di rifugiarsi nella manovra politica. Ogni mattina una personalità della sinistra si sveglia e si candida a leader di qualcosa, il più delle volte senza nemmeno spiegare con chiarezza di cosa. 

Stamattina quelle personalità e quegli attivisti si sono svegliati con una nuova drammatica notizia: a Berlino un gigantesco camion si è lanciato sui Mercatini di Natale, ha ucciso molte persone come fu a Nizza, e probabilmente a guidarlo era un pakistano, entrato in Germania come rifugiato. 

Quei dirigenti e quei militanti avranno pensato tutti unanimemente che siamo in un mondo impazzito, attraversato da guerre senza tregua, da un terrorismo incontrollabile, da un razzismo destinato a crescere, dentro uno scontro di civiltà in cui la pace è diventata una parola impronunciabile. Si saranno chiesti come è potuto accadere che si sia arrivati fin qui. Ma i pensieri gli si saranno confusi: nei loro occhi troppe immagini si saranno sovrapposte. Quelle dell'orrore di Berlino e di Nizza, dei bambini di Aleppo, di Trump che aizza le folle contro gli islamici, della Le Pen che corre verso l'Eliseo, del muro di Orban, dei poveri delle periferie abbandonati a se stessi, della bambina che sviene in Friuli perchè non mangiava da giorni, dei licenziati di Almaviva, dei ragazzi italiani emigrati a cui Poletti rivolge parole di scherno. 

Saranno tutti molto preoccupati, le nubi, penseranno, non sono più all'orizzonte, ma sono sopra di noi. Apriranno i social per leggere cosa pensano gli altri. E vedranno il solito groviglio incomprensibile: il cordoglio accanto agli insulti, lo sdegno accanto alla violenza, la ribellione accanto al sopruso, la dignità sommersa dal pensiero della vendetta.

Qua e là troveranno anche accenni al dibattito di questi giorni sulla legge elettorale: leggeranno che Matteo Renzi e Pisapia spingono insieme sul Mattarellum, e che il secondo chiede di ridurre la quota proporzionale, per ridurre l'ampiezza dei collegi, in nome dell'unità per battere le destre. Molti di loro passeranno oltre, hanno problemi più gravi a cui pensare, alcuni invece si soffermeranno a immaginare che Italia avremmo fra un anno, dopo le elezioni.

Alcuni, come me, si chiederanno in che tipo di paese vuole portarci questa continua ricerca del maggioritario, in quale sistema di rappresentanza, in quale sistema sociale. E cominceranno a fare i conti e fare scenari, per capire se davvero nel mattarellum del nuovo centro-sinistra c'è un principio speranza, oppure se c'è il suo contrario, cioè un principio disperazione, una mossa kamikaze, un furore volontaristico che nega il principio di realtà.

Perché il mattarellum, con quota proporzionale sempre più ridotta, in un sistema tripolare, è la guerra dei mondi nella trincea dei collegi. Non è un caso se Salvini si è detto subito d'accordo: città per città, collegio per collegio, i tre poli maggiori si affronteranno senza esclusione di colpi, alla ricerca del singolo voto che basta per prevalere sull'altro e conquistare un parlamentare. I leader riempiranno le piazze invocando l'ultima occasione utile per vincere e annientare l'avversario, chiameranno il voto utile contro i populismi, quello utile contro la casta, quello utile contro i migranti, asfalteranno il pluralismo cercando di uccidere i più piccoli, i meno attrezzati alla gara di urla e di paure: si rinfacceranno di tutto, metteranno in moto le macchine del fango, setacceranno i curriculum di ogni singolo candidato, faranno il conto degli avvisi di garanzia, le analisi del sangue alle famiglie, i video con l'inglese traballante e il congiuntivo sbagliato. I programmi spariranno, come spesso è sparito il merito della riforma nella recente campagna referendaria. Sarà un'ordalia: il mondo perfetto di Grillo, Renzi e Salvini.

La costituzione materiale di questa Terza Repubblica in cui il vero padrone è il flusso emotivo, prenderà di nuovo il sopravvento sulla costituzione formale che abbiamo appena salvato.

Si può ragionevolmente affermare che non ci sarà un vincitore la notte delle elezioni: nel profondo nord vincerà il centro-destra trainato dalla Lega, nel centro-Italia il centro-sinistra del 'partito stato', nel profondo sud il movimento cinque stelle della rivolta contro la casta. Ma la mappa non sarà chiara: ovunque ci saranno collegi con vittorie inaspettate, bocciati autorevoli, sorprese che smentiscono i sondaggi.

Alla fine in Parlamento si parlerà sulle macerie del paese, stanchi e sfiniti, e si farà l'unica cosa che con quei risultati si potrà fare: un pattuglia di berlusconiani responsabili lascerà il proprio campo e nasceranno le Larghe Intese all'italiana, con un accordo di legislatura tra due mondi -quello renziano e quello berlusconiano - che sono divisi per storia e identità, ma rappresentano gli stessi interessi economici.

Gli italiani un minuto prima galvanizzati per la propria parte, si convinceranno che il voto serve a poco, che tutto è già scritto e non c'è alternativa. Tutti gli altri nel centro-sinistra, tutti coloro dalle belle speranze progressiste, dovranno seguire e subire, per non riportare l'Italia al voto, per non lasciare il campo ad una convergenza a quel punto non impossibile tra le forze anti-sistema leghista e grilline.
E' a questo punto che stamattina ha fatto capolino in me un pensiero e un terrore, ho avuto paura per la vita di tutti noi e subito dopo per il destino del nostro paese e dell'occidente: e se poche settimane prima del voto dovesse accadere in Italia qualcosa di simile a ciò che è accaduto a Berlino, a Nizza, a Parigi, e prima ancora a Londra e a Madrid?

Preferisco non pensarci, mentre dentro di me invoco la pace, ripeto come un mantra le parole di Capitini che da ragazza ho appreso lungo la Perugia-Assisi, cerco di comprendere cosa sia giusto fare per uscire da quest'incubo.

E quando torno con un balzo alle imminenti elezioni, penso a cosa sarebbero invece con una legge proporzionale. A come sarebbe la campagna elettorale se nessuno potesse raccontare al paese la favola di una vittoria che neutralizzi tutti gli altri, a come risponderebbero i segretari di partito alle domande dei giornalisti sul necessario dialogo dopo le elezioni, alle convergenze programmatiche possibili tra diversi, ai cuscinetti che potrebbero formarsi tra un polo e l'altro per evitare la guerra dei mondi. Penso che si, probabilmente le larghe intese ci sarebbero lo stesso perché lo chiede un rapporto di forze extra-politico che oggi nessuno pare in grado di ribaltare, ma il paese fuori dal palazzo ne uscirebbe un po' più tutelato e rappresentato.

Ci sarebbero meno macerie: nonostante il trasformismo e i cosiddetti 'inciucio' resterebbero ancora dei punti di riferimento, la possibilità di scegliere in un'offerta politica più ampia e meno forsennata, ascolterebbe parole più misurate e maturerebbe la necessaria consapevolezza che la democrazia non è dare tutto il potere alla più forte delle minoranze, ma è cercare di costruire una maggioranza. Questa maggioranza potrebbe dare voce a quella visibile dei poteri economici e delle elites finanziarie, ma forse con un leader credibile e illuminato potrebbe anche tentare di fondarsi su quella maggioranza invisibile formata da generazioni dei giovani precari e generazioni di classi medie impoverite. 

A seconda dei risultati, potrebbe anche tornare la possibilità di uno schema diverso, come quello a cui la Linke guarda in Germania: potrebbe esserci una pattuglia non irrilevante di persone di sinistra (riformista e radicale) in parlamento, un pattuglia di grillini non fanatici e tendenzialmente di sinistra, una pattuglia di cattolici-democratici o cattolici-liberali disposti a ragionare sulle suggestioni di Papa Francesco. Penso che sarebbe molto difficile tessere legami e ricostruire uno spazio politico, ma che almeno 'sulla carta' potrebbe darsi la possibilità di un'alternativa alla Larghe Intese della subalternità all'ideologia liberista che ha distrutto l'Occidente.

E comunque anche se tutto ciò dovesse risultare impossibile e velleitario, com'è altamente probabile, ci sarebbero ancora luoghi e soggettività in cui costruire speranze per il futuro e coltivare pensiero critico.

Se fossi Pisapia, il sindaco gentile, ci rifletterei meglio prima di buttarmi nella giungla di una campagna elettorale con il mattarellum nella Terza Repubblica. Mi guarderei un po' indietro, considerando i risultati di chi ci ha provato in una situazione molto più semplice, in un'Italia bipolare in cui ancora movimenti, società civile e corpi intermedi svolgevano un ruolo, con leader di coalizione ben più saldamente progressisti di Matteo Renzi.

Non c'è due senza tre, è vero. Ma pensare che ancora una volta si possa percorrere la stessa strada, su cui già altre due personalità provenienti dalle file della Rifondazione dei primi anni 2000 hanno incontrato brucianti sconfitte, mi appare come una scelta lunare. Già Fausto Bertinotti e Nichi Vendola infatti decisero di percorrere la strada della sfida nel campo largo di centro-sinistra dentro un sistema maggioritario: i risultati sono quelli che tutti conosciamo. Bertinotti guadagnò il 14,69 alle primarie e poi il suo partito prese il 5,84%, il governo nacque e si schiantò molto presto per un'avviso di garanzia a Mastella. Vendola alle primarie conquistò il 15,6% dei consensi e poi Sel alle elezioni si fermò al 3,2%, e quel governo di cambiamento non nacque mai.

Oggi tutto è ancora più difficile: dietro di noi ci sono 10 anni di crisi economica e una frantumazione sociale di cui in molti paiono non voler vedere la reale portata. Le identità sono schiantate, la polarizzazione è totale, l'astensionismo è diventato una scelta elettorale come un'altra, anche per tanti di sinistra.La macchina del tempo che riporta indietro le lancette in politica non esiste. Dovremmo averlo imparato, proprio noi, quelli del gettone telefonico. 

E a chi mi dice che tutto questo ragionamento lo faccio solo per me stessa, per tutelare la sopravvivenza del mio micro-partito, posso giurare e dimostrare mille volte che non è così. Ben più facile sarebbe la scelta di far eleggere alcuni di noi con i voti degli altri, in un listone di centro-sinistra, in una coalizione in cui lo sbarramento fosse ridotto quasi a nulla. Esponenti del Movimento 5 Stelle sui social ce lo consigliano ogni giorno, annunciando la fine della contrapposizione destra/sinistra in Italia.

Ma la mia coscienza mi dice che no, non è giusto. La mia razionalità mi dice che è inutile. La mia speranza mi dice che non vuole morire, perché se ci rassegniamo a questo modo terribile, se ci arrendiamo ai progetti senz'anima e alle suggestioni senza solido costrutto, allora si, per la sinistra che vuole cambiare il mondo, per quella che vuole riconquistare le persone deluse, per quella che vuole governare risolvendo davvero i problemi degli ultimi non ci sarà più spazio, senso e futuro.

E' testimonianza? No, è ricerca di una strada diversa dopo che tutte le altre hanno fallito. Diversa anche dal 2008, per essere precisi. E se c'è un senso nel fare politica, se c'è un progressismo possibile al tempo presente, se tra un sistema economico che affama e la rivolta senza prospettive si può infilare un progetto politico, ecco quel progetto non può che essere l'avvio di una ricerca inedita, possibile solo a partire da un sistema proporzionale. 

Nella mia città si dice che tra il correre e il fuggire spesso non vi è differenza. Abbiamo un compito storico da svolgere, per parte mia non correrò e non fuggirò verso una scorciatoia che in tutta franchezza a me pare proprio non esistere. Perché, per paradosso, è proprio per quella via che i 'barbari' passeranno sul campo da seminare distruggendo quasi tutto.

Di Elisabetta Piccolotti.
Esecutivo nazionale Sinistra Italiana


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