martedì 13 dicembre 2016

Rassegna stampa 13 Dicembre 2016

La Nuova

Pigliaru, dicembre caldo tra rimpasto e Finanziaria
La maggioranza in difficoltà sulla crisi.  
Area Cabras-Fadda: si faccia in fretta
Paci sulla legge di stabilità: la approviamo a fine mese, a gennaio in aula
CAGLIARI Il rimpasto è servito, ma nessun partito del centrosinistra
sa ancora quale potrebbe essere la strada maestra per uscire dalla
crisi. I popolari-riformisti di Cabras e Fadda, una delle correnti del
Pd, hanno lanciato un appello a Pigliaru: «Prenda in mano la partita e
decida in fretta». È un’accelerata auspicata, guarda caso, nel giorno
in cui l’Istat ha fatto sapere che «nel 2015 il prodotto interno lordo
della Sardegna è sceso dello 0,7 per cento nel confronto con gli
ultimi cinque anni». Dubbi e nomi. Dopo le dimissioni degli assessori
Gianmario Demuro (Pd) ed Elisabetta Falchi (Rossomori), il governatore
ha tre possibilità.

La prima è sostituire solo i due, ma è una
soluzione che piace poco alla coalizione: sarebbe troppo soft per dare
il segnale forte di una svolta. Oppure Pigliaru potrebbe puntare su un
rimpasto più robusto con il cambio dai cinque ai sette assessori,
compresi sempre i successori di Demuro e Falchi. È questa l’ipotesi
più gradita ai partiti, ma il governatore ancora non si è incontrato
con le segreterie e anche il vertice con i consiglieri regionali è
stato rinviato da lunedì a metà settimana.

La terza ipotesi è quella
più drastica: l’azzeramento della Giunta, ma è impraticabile. Comunque
l’impasse è totale sui nomi, uno degli ultimi possibili è quello
dell’ex candidato sindaco di Olbia per il centrosinistra Carlo Careddu
(Pd) poi sconfitto da Settimo Nizzi (Fi).
Careddu potrebbe essere il
nuovo assessore ai trasporti se quello attuale, Massimo Deiana,
dovesse essere nominato entro l’anno al vertice dell’Autorità portuale
regionale dal riconfermato ministro alle infrastrutture Graziano Delrio.

C’è anche un altro snodo: nella nuova giunta, in cui dovrà
essere comunque garantita la parità di genere con almeno quattro donne
su 12 assessori, ci sarà posto per due o tre consiglieri regionali
pronti a dimettersi pur di entrare nell’esecutivo? Finora Pigliaru
l’ha escluso ma il veto potrebbe cadere. Finanziaria. Sicuro, salvo
colpi di scena della riconferma, l’assessore al bilancio Raffaele Paci
ha annunciato: «La Finanziaria sarà approvata entro dicembre dalla
Giunta, poi sarà trasmessa al Consiglio all'inizio di gennaio».
L’assessore ha ribadito che non sarà una Finanziaria lacrime e sangue,
l’importo dovrebbe essere appena sotto gli 8 miliardi di euro, almeno
stando alle previsioni sulle entrate ancora «in corso di valutazione»,
ha sottolineato. Un’anticipazione l’ha data lo stesso: «Rispetto
all’anno scorso avremo qualche risorsa in più, con una massa
manovrabile, oltre le spese fisse, in aumento».

A Paci ha replicato
Ugo Cappellacci (Fi): «Se a dicembre un assessore al bilancio non sa
ancora quante saranno le entrate, farebbe bene a dimettersi». Reddito
di cittadinanza. È stata sempre Forza Italia, stavolta con Alessandra
Zedda, a denunciare che «in commissione la maggioranza ha fatto
saltare il il via libera sui criteri con cui sarà assegnato il reddito
d’inclusione sociale». L’accusa è forte: «Il centrodestra ha
garantito, con grande responsabilità, la presenza, ma il numero legale
non è stato raggiunto per colpa delle divisioni di un centrosinistra
sempre impegnato nella zuffa per le poltrone».

Consiglio
Nomine, tensioni in maggioranza: oggi voto al buio
CAGLIARI La crisi del centrosinistra rischia di travolgere anche il
Consiglio regionale. Oggi all’ordine del giorno della seconda seduta
dopo il terremoto referendum e le dimissioni di due assessori, ci sono
le nomine dell’Ufficio di presidenza.

Pare che la maggioranza non
abbia trovato un accordo neanche per confermare gli attuali incarichi.
Che sono: Eugenio Lai (Sel) vicepresidente dell’Aula e presidente
della giunta delle elezioni, Alessandro Unali (Sinistra sarda) e
Piermario Manca (Partito dei sardi) consiglieri questori e infine i
quattro segretari Giuseppe Meloni e Daniela Forma, entrambi del Pd,
Luca Pizzuto (Sel) e Antonio Gaia (Upc).

Dopo che sono state congelate
le presidenze delle commissioni per evitare incidenti di percorso,
potrebbe non accadere lo stesso con l’Ufficio di presidenza. Una parte
della maggioranza vorrebbe proporre al posto di Lai Anna Maria Busia
(Cd) e sostituire Unali con Fabrizio Anedda sempre di Sinistra sarda,
ma anche su questi possibili cambi non c’è accordo nel centrosinistra
e, al momento del voto, potrebbe esserci più di una sorpresa.

Unione Sarda

Sulla crisi irrompe il caso Pil
Botta e risposta sul calo rilevato dall'Istat tra il 2011 e il 2015
Forza Italia: avete fallito. Il Pd: è la vostra eredità. Ma intanto il
rimpasto slitta ancora

La polemica sui dati diffusi dall'Istat sul Pil sardo rendono ancora
più complicata la fase della crisi alla Regione. Secondo l'Istituto di
statistica, la Sardegna (insieme alla Valle d'Aosta) è tra le regioni
che hanno subìto, rispetto al 2011, il calo maggiore, pari allo 0,7%.
La ricchezza per abitante con 19mila euro pro-capite, però, è più alta
rispetto alla media del sud Italia (17,8 mila euro).

POLEMICA Va all'attacco il capogruppo di Forza Italia in Consiglio
regionale, Pietro Pittalis che punta il dito contro il presidente
Pigliaru e l'assessore Paci: «Il Pil della Sardegna va a picco per
l'incapacità politica della Giunta e dei suoi riferimenti romani». Per
Pittalis il confronto con le altre aree del Paese è «ancora più grave
e la dice lunga su tre anni di annunci, di propaganda e zero azioni
sul piano sociale, economico e politico».  Anche il collega azzurro
Marco Tedde non risparmia parole al vetriolo, sottolineando che «sono
i sintomi chiari di un'economia asfittica sempre più verso il baratro».

«L'EREDITÀ» Per il presidente della commissione Bilancio, Franco
Sabatini (Pd), la lettura sui dati è diversa. «Stiamo lavorando per
recuperare la crisi lasciata in eredità dai cinque anni di
centrodestra che ha causato una situazione drammatica». Il futuro,
però, è fatto di «piani di investimenti per infrastrutture, progetto
Iscol@ e Abbanoa», spiega Sabatini. «Grazie a questi tre centri di
spesa operativi riusciremo a rilanciare l'edilizia e l'economia
sarda».
I DATI La fotografia dell'Istat evidenzia anche lo scarso aumento
medio del reddito che in Sardegna non supera i 400 euro mentre la
media nelle regioni del Sud arriva a 1.200 euro. In una terra che per
l'82% ha un'economia fondata sul terziario, pesa per il 18% anche il
fenomeno del sommerso causato, tra le varie cose, da evasione fiscale
(8,4%) e lavoro irregolare (7,3%). Infine, la spesa media dei consumi:
nell'Isola è intorno ai 14mila euro a famiglia con una diminuzione
dell'1,6% ogni anno dal 2011.

LE SPINE L'analisi dell'Istat arriva in un momento di confusione nella
maggioranza. Con una crisi aperta il centrosinistra rischia di
arenarsi sulle regole per risolvere la crisi della Regione.
Negli ultimi sette giorni è diventato sempre più nitido il ginepraio
in cui la coalizione si deve muovere per affrontare il rimpasto. Ieri
mattina l'area popolare-riformista del Partito democratico (quella che
fa riferimento a Paolo Fadda e Antonello Cabras) si è riunita per fare
il punto sulla situazione e capire come affrontare i prossimi
passaggi. La volontà è lavorare sui temi più importanti dell'agenda
politica ed evitare nuove spaccature all'interno del partito, agendo
per ricompattare la coalizione.

In questi giorni anche le altre correnti si incontreranno, ognuna alla
ricerca di una sintesi per arrivare con proposte chiare al confronto
con il presidente Pigliaru. Ovviamente il Pd in questa fase ha un peso
specifico maggiore, anche perché dovrà far quadrare gli equilibri
interni. Oggi alle 13 è prevista una riunione dei consiglieri
regionali Dem.

NOMINE Questo pomeriggio, però, il centrosinistra è chiamato a un
altro test sulla tenuta: in Consiglio regionale si vota per la vice
presidenza dell'assemblea e per il collegio dei questori. In corsa
sono Anna Maria Busia (Centro democratico) e l'uscente Eugenio Lai
(gruppo Sel). Altro appuntamento è la Finanziaria
che dovrebbe arrivare in aula a
gennaio. Almeno secondo quanto dichiarato dall'assessore Paci, che
porterà il testo al vaglio della Giunta entro dicembre. Per
l'assessore, rispetto all'anno scorso «dovremmo avere qualche risorsa
in più». Una tempistica che non convince il coordinatore di Forza
Italia, Ugo Cappellacci: «Un assessore che alla fine dell'anno neppure
ha proposto la Finanziaria alla Giunta dovrebbe dimettersi e
nascondersi».
Matteo Sau

Pd, la resa dei conti «Subito il congresso»

ROMA Matteo Renzi ha seguito i lavori della direzione Pd seduto al
banco della presidenza. Davanti all'assemblea convocata per votare
l'incarico conferito al neo premier (ha chiuso i lavori annunciando:
«Caro Gentiloni, siamo tutti con te») ha richiamato l'esito del voto
referendario. «Noi avevamo un disegno istituzionale, è stato bocciato
dagli elettori. Ne va preso atto e va aperta una riflessione che
vorrei fare nel modo più ampio possibile. Ma no a riflessioni
macchiettistiche». Il programma è chiaro. «Io sarei per rispettare lo
Statuto e che domenica l'assemblea decida se fare il congresso. Io -
ha puntualizzato - sono per fare il congresso».

Il congresso e le
primarie si faranno perché l'appuntamento è con le politiche. «È
evidente che nell'arco dei prossimi mesi andremo alle elezioni. Noi
non abbiamo paura mai del confronto con le persone».
Non doveva essere il momento della resa dei conti e infatti non lo è
stato. Ma le frizioni restano. Roberto Speranza, ex capogruppo alla
Camera, è stato molto critico con il leader del partito. Matteo Renzi,
ha detto, «deve dire con chiarezza se non c'è spazio nel Pd per chi ha
votato no» al referendum. Questo, «Renzi deve dirlo con chiarezza,
senza nascondersi dietro agli insulti su Internet e le manifestazioni
organizzate davanti al Nazareno». I

l mio seggio, ha aggiunto, «è a
disposizione. Ho dimostrato in altre occasioni di non essere attaccato
alla poltrona. Ma quello che non si può fare è pretendere che ognuno
rinunci alle proprie idee, perché questo non sarebbe più il Pd». La
fiducia al governo Gentiloni è stata data, «ma sui singoli
provvedimenti ci dovranno convincere», ha dichiarato l'ex segretario
Pierluigi Bersani. Che ha risposto con un deciso «no, lo escludo» a
chi gli chiedeva se potrebbe di nuovo scendere in campo per la guida
del partito al prossimo congresso.

Inizia l'era Gentiloni Già oggi il voto di fiducia
La squadra dei ministri ha giurato: tutti confermati tranne Giannini

ROMA «Ci metteremo al lavoro immediatamente, concentrati sui problemi
da risolvere nel Paese con l'ottimismo che deriva dalla grande forza
del popolo italiano». Aveva detto che avrebbe fatto del suo meglio per
«formare il nuovo governo nel più breve tempo possibile» e ha
mantenuto la parola. Paolo Gentiloni ha sciolto la riserva, è salito
ieri al Quirinale con la lista dei ministri e in serata, alle 20, ha
giurato con la squadra del nuovo esecutivo davanti al presidente della
Repubblica.

LA SQUADRA Diciassette i dicasteri. Rispetto al Governo Renzi sono
tutti confermati tranne Stefania Giannini, cambia qualche poltrona, si
aggiungono il ministero dello Sport affidato a Luca Lotti, e quello
per il Mezzogiorno che sarà guidato da Claudio De Vincenti, promosso
da sottosegretario alla presidenza del Consiglio a ministro. Con Lotti
e De Vincenti, sono altri tre i nuovi ministri: Anna Finocchiaro ai
Rapporti con il Parlamento; Valeria Fedeli, già vice presidente del
Senato, all'Istruzione; Marco Minniti, ex sottosegretario con delega
ai Servizi segreti, all'Interno. Tra le novità il ruolo di Maria Elena
Boschi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e il passaggio
di Angelino Alfano dal ministero dell'Interno a quello degli Esteri.

LE CONFERME Pier Carlo Padoan resta all'Economia, Beatrice Lorenzin è
confermata alla Sanità, Roberta Pinotti resta alla Difesa, Giuliano
Poletti al Lavoro, Andrea Orlando alla Giustizia, Carlo Calenda
ministro dello Sviluppo Economico, Enrico Costa è ministro degli
Affari Regionali, Gian Luca Galletti ministro dell'Ambiente, Graziano
Delrio a Infrastrutture e Trasporti, Dario Franceschini ministro dei
Beni e delle attività culturali e del Turismo, Maurizio Martina alle
Politiche agricole, Marianna Madia ministra per la Semplificazione e
la Pubblica amministrazione.

IL VOTO ALLE CAMERE Oggi, a partire dalle 11, la Camera voterà la
fiducia, e subito dopo il premier dovrebbe recarsi al Senato. Una
marcia a tappe forzate, quella del neo presidente del Consiglio che
già giovedì, nel piano dei poteri, potrà partecipare al Consiglio
europeo. Oltre alla legge elettorale, tra i dossier urgenti sul tavolo
del nuovo governo ci sono il dossier Mps e le iniziative per sostenere
i cittadini delle regioni colpite dal terremoto. «Non mi nascondo
certo le difficoltà politiche che derivano dall'esito del referendum e
dalla successiva crisi politica. Difficoltà alle quali dobbiamo far
fronte. Il governo - ha annunciato Gentiloni - proseguirà nell'azione
di innovazione dell'esecutivo Renzi».

PASSAGGIO DI CONSEGNE Dopo il giuramento del nuovo governo al
Quirinale, il premier si è recato a Palazzo Chigi accolto nel cortile
dal picchetto d'onore dei Lanceri di Montebello. Qui si è svolta la
cerimonia della campanella, che per tradizione segna il passaggio di
consegne richiamando la convocazione del Consiglio dei ministri. Il
presidente uscente Matteo Renzi ha donato al neo premier una felpa con
la scritta “Amatrice”, per ricordare l'impegno del governo nella
ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia. «Me l'ha regalata il
sindaco qualche settimana fa, ci tengo che la abbia il presidente del
Consiglio», ha detto l'ex premier. «Naturalmente è un impegno», ha
risposto Gentiloni.

LA PRIMA DONNA A Palazzo Chigi c'è stata anche la staffetta dei due
sottosegretari. Maria Elena Boschi, nuovo sottosegretario di Stato con
funzione di segretario del Consiglio dei ministri, è la prima donna a
occupare una casella cruciale a palazzo Chigi, con il ruolo formale
dedicato alla cura della verbalizzazione e la conservazione del
registro delle deliberazioni del Consiglio dei ministri. In realtà, è
uno snodo cruciale, e non a caso il precedente più illustre risale a
Giulio Andreotti, nominato nel 1947 sottosegretario, non ancora
trentenne, alla presidenza del Consiglio da Alcide De Gasperi.

Le opinioni dei parlamentari sardi
«È un Matteo bis» Ma molti pensano che durerà poco

Che il governo Gentiloni e quello Renzi siano due gemelli eterozigoti
è evidente a chiunque legga la lista dei ministri. Poi, però, questa
somiglianza si può leggerla sarcasticamente e declassare il nuovo
gabinetto a un rimpasto, come fa Manuela Corda del M5S, o apprezzarla
nelle sue differenze lievi ma significative, come fa il deputato Pd
Francesco Sanna che con un'attitudine da musicofilo legge le
variazioni gentiloniane sul tema renzista. Una partitura breve,
comunque, con «messaggi significativi di indirizzo politico per quelli
che immagino saranno pochi mesi».

I SEGNALI E quindi con Fedeli all'Istruzione «si cerca di ritrovare un
dialogo col mondo della scuola e con i lavoratori che, in parte a
torto in parte a ragione, si sono sentiti penalizzati dalla riforma».
Anche non aver imbarcato un verdiniano ha senso: Gentiloni preferisce
rischiare un po' al Senato che legare a un'alleanza ingombrante il Pd
che intanto imposta la campagna elettorale. Perché di questo si parla,
le elezioni non arriveranno nel 2018 ma appena si cambierà, più prima
che poi, la legge elettorale.

«UN RIMPASTO» Certo, va visto come farlo. Corda - come tutti i
pentastellati - chiede il voto subito, giusto il tempo di rendere
operativo quel che dirà la Consulta sull'Italicum: «Il monito dei
cittadini al referendum è questo: vogliamo decidere noi. Non è etico
un rimpasto tra artefici del disastro».

APPIEDATI Il senatore azzurro Emilio Floris - che pure avrebbe motivi
di malumore, visto che la convocazione per la fiducia gli arriva via
sms in serata, quando trovare posto sul Cagliari-Roma è una missione
improba - è cauto. Il governo è «un Renzi bis, mi auguro almeno più
concreto del precedente». La fiducia «è quasi scontata, il passaggio
significativo sarà all'interno del Pd: Grillo e Salvini possono fare
tutte le manifestazioni che credono, capiremo dagli aggiustamenti nel
Partito democratico quando si andrà al voto. Nel 2018 non direi: più
probabilmente a giugno o settembre 2017».
SUPERPIPPO Più tranchant Michele Piras di SI: «Avevamo chiesto
discontinuità ed ecco la continuità assoluta, una replica del governo
uscente più qualche novità divertente: Lotti allo Sport è come
Superpippo alle questioni aerospaziali».

L'ISOLA DIMENTICATA Certo, Piras è un oppositore. Ma non basta essere
del Pd (e avere già il biglietto per Fiumicino) per vedere tutto rosa.
Il senatore Silvio Lai non dimentica che da tempo l'Isola non è
rappresentata nel governo. E visto che i sottosegretari sono ancora da
nominare, spiega senza diplomazie: «Confido che il risultato del
referendum faccia riservare un'attenzione speciale alla Sardegna».

«LEGISLATURA FINITA» Ma più che per le nomine, il governo sarà
osservato per la legge elettorale che «non guiderà, ma accompagnerà»,
come spiega Sanna commentando Anna Finocchiaro ai Rapporti col
Parlamento. Un compito fondamentale, o forse l'unico: il Riformatore
Pierpaolo Vargiu si chiede se Gentiloni «davvero ha una maggioranza in
Senato. La legislatura è finita, l'importante ora è non ascoltare chi
sogna un proporzionale che garantisce a uno il suo 3%, all'altro il
suo 7% e poi tutti insieme si fa una conventio ad excludendum per
tenere fuori Grillo. Il modo per consegnare il Paese al M5S è proprio
questo».
Celestino Tabasso

Lega e M5S non parteciperanno alla fiducia. Anche Verdini contro
Ma le opposizioni diserteranno le Camere

ROMA Opposizioni all'attacco. Lega Nord e M5S tuonano contro il nuovo
governo e annunciano che non parteciperanno al voto di fiducia. Ma
anche Ala-Scelta Civica di Denis Verdini annuncia una posizione
analoga: «Non voteremo la fiducia a un governo che ci pare al momento
intenzionato a mantenere uno status quo, che più dignitosamente
sarebbe stato comprensibile con un governo Renzi-bis».

«Non è un governo, è un'ammucchiata di poltronari», scrive su Facebook
il leader del Carroccio, Matteo Salvini. E al termine del consiglio
federale aggiunge: «Noi ci mettiamo da parte, speriamo che tutti siano
coerenti e conseguenti nel chiedere agli italiani di votare il prima
possibile».

«Si scrive governo Gentiloni, si legge Renzi bis. Nella lista dei
ministri, accanto a numerosi ministri del governo Renzi, ricompaiono
anche le due figure di spicco del giglio magico renziano, Luca Lotti e
l'ex ministro Elena Boschi, che prolungheranno la loro permanenza a
Palazzo Chigi nonostante la sonora bocciatura da parte del popolo
italiano il 4 dicembre scorso», affermano i capigruppo M5S di Camera e
Senato, Giulia Grillo e Luigi Gaetti. «Squadra che perde non si
cambia. #votosubito», twitta Luigi Di Maio, «chiamatelo esecutivo
vitalizio». «Non molleranno mai, stanno attaccati alle poltrone. Sono
osceni provocatori, dico a tutti gli italiani: non lasciatevi
provocare da questi truffatori della democrazia», sottolinea
Alessandro Di Battista.

«Avevamo chiesto a Gentiloni discontinuità. Leggiamo invece lista
ministri di un Renzi-bis: attaccati alla poltrona», scrive su Twitter
Renato Brunetta, capogruppo azzurro alla Camera dei deputati. «Forza
Italia ribadisce che farà un'opposizione senza sconti. Collaboreremo
con le altre forze politiche solo per una nuova legge elettorale».

Al molo Ichnusa la prima accoglienza della Prefettura: chiesta la
collaborazione dei sindaci sardi
In arrivo a Cagliari altri 854 migranti Anche 6 morti sulla nave dei soccorsi

Attraccherà oggi al molo Ichnusa, presumibilmente tra le diciassette e
le diciotto del pomeriggio, la nave d'altura Cp 941 “Diciotti”, del
Comando generale delle Capitanerie di porto, che domenica ha avvistato
e soccorso in mare aperto, al largo delle coste libiche, sei gommoni e
una grossa imbarcazione carichi di migranti. Dei 1.164 profughi
salvati dalla Guardia costiera, 854 sono stati ospitati sulla
motovedetta diretta in queste ore verso Cagliari. A bordo ci sono
purtroppo anche sei cadaveri, sei persone che non ce l'hanno fatta
durante la traversata, trovando la morte sui natanti che avrebbero
dovuto portarli in salvo e traghettarli verso un futuro migliore.

IL SALVATAGGIO Le operazioni, sette in tutto, sono state coordinate
dalla centrale operativa della Guardia costiera. I migranti sono stati
soccorsi anche da una seconda motovedetta, la Gregoretti, della
Guardia costiera, dalla nave Aquarius di Medici senza frontiere-Sos
Mediterranèe, da una unità della Marina militare italiana e da una del
dispositivo EunavforMed.
Sono tutti profughi provenienti dall'area sub
sahariana. Nessuno di loro apparterrebbe infatti ai Paesi del Nord
Africa.

LE SCELTE Secondo le prime indicazioni, in trecento, una volta a
Cagliari, dovrebbero essere riaccompagnati nella penisola. Un
trasferimento che avverrà soltanto dopo le operazioni di
identificazione e le visite mediche. Resterebbero così in Sardegna gli
altri 554 migranti la cui destinazione è ancora al vaglio delle
Prefettura che ieri, fino a tarda sera, stava predisponendo la
macchina dell'accoglienza per ricevere gli oltre ottocentocinquanta
africani. Ancora una volta verrà chiesto aiuto ai sindaci sardi.

L'EMERGENZA Questo nuovo sbarco di profughi nell'Isola non sarà
indolore e potrebbe davvero far riesplodere l'emergenza che già in
questi mesi, ripetutamente, si è fatta sentire per il numero
insufficiente e inadeguato dei centri dove ospitare i migranti.
Proprio su questo ieri gli uffici della Prefettura hanno lavorato fino
a tarda sera, così come per tutta la mattina, insieme alle altre
istituzioni e le organizzazioni competenti per non trovarsi
impreparati quando la nave della Capitaneria, Diciotti, getterà
l'ancoranello scalo cagliaritano con gli 854 profughi africani.
NEL SULCIS L'arrivo dei migranti e questo nuovo, massiccio sbarco,
segue di poche ore l'altro recupero in mare avvenuto l'altra notte al
largo delle coste sud-occidentali della Sardegna.

Tra domenica e
lunedì, a dieci miglia dalla costa sulcitana, una motovedetta della
Capitaneria di porto di Sant'Antioco ha raggiunto e soccorso
un'imbarcazione alla deriva con ventidue algerini. I migranti sono
stati accompagnati in porto, visitati e rifocillati. Stavano tutti
bene anche se la permanenza in mare nelle ore di buio, quando la
temperatura scende drasticamente, aveva creato in molti di loro
problemi di ipotermia. Superata quando sono stati raggiunti dalla
motovedetta e soccorsi.

L'OSPITALITÀ I giovani algerini hanno trascorso il resto della notte
nelle postazioni di soccorso dello scalo di Sant'Antioco dove sono
stati identificati. Solo ieri mattina sono cominciati i trasferimenti
nei diversi centri d'accoglienza, gli stessi che dovranno ricevere
anche i profughi che metteranno piede in città questo pomeriggio.
Andrea Piras

La Nuova

Appello di Progres ai sovranisti. Floris, Uds: i Patti di Renzi ora
sono carta straccia Rossomori: il nuovo Statuto sardo

CAGLIARI La vittoria del No al referendum costituzionale è
un’occasione unica anche per cambiare lo Statuto. A sostenerlo è il
consigliere regionale dei Rossomori Paolo Zedda, con la sua prima
uscita da quando il partito è uscito con uno strappo dalla maggioranza
di centrosinistra. Anche Progres, con il segretario regionale Gianluca
Collu, sostiene che «è arrivato il momento di riscrivere la Carta
fondamentale dei sardi».

Però dai banchi del centrodestra Mario Floris
dell’Uds lancia ben altro allarme: «Attenzione, il nuovo governo
nazionale – quello di Gentiloni – butterà a mare i vari Patti firmati
dal suo predecessore con la Sardegna e Cagliari». Zedda. «Il Consiglio
regionale – scrive – deve riunirsi subito e darsi tempi certi per
definire i confini di una nuova sovranità fra la Sardegna e l’Italia.
Dopo il referendum, dobbiamo rinnovare un testo ormai vecchio di
settant’anni e fuori dal tempo. Oggi abbiamo bisogno del
riconoscimento dell’insularità, di una maggiore autonomia fiscale,
dell’identità linguistica, della competenza piena sui trasporti e
l’energia.
Possiamo ottenere tutto questo con un nuovo Statuto».

Collu. Per il segretario di Progres, «i sardi hanno detto no alla
riforma Renzi anche per ridurre a zero il rischio di vedere limitata
l’autonomia.  L’impalpabile giunta regionale ha commesso finora troppi
errori. Oggi è arrivato il momento che tutte le forze escluse dal
Consiglio regionale si mettano a lavorare insieme per riscrivere lo
Statuto e allargare gli spazi di sovranità su temi cruciali per il
nostro futuro». Floris. Secondo l’Uds, la verità post referendum è
invece questa: «Passata la festa, gabbatu lu santu». Cioè: «C’è il
rischio concreto che i Patti firmati da Renzi con la Sardegna e l’area
metropolitana di Cagliari diventino carta straccia per il governo
Gentiloni».

E spiega perché: «Per me sin dall’inizio erano due bufale
ma ora la conferma che finiranno nel nulla arriva dal deputato
Francesco Sanna del Pd, presidente della commissione paritetica
Stato-Regione». Secondo Mario Floris è stato proprio Sanna ad
annunciare «una fase d’instabilità per la Sardegna visto che i Patti
che devono passare ancora al vaglio del Comitato interministeriale per
la programmazione economica “senza – riporta testuale Floris – che via
sia la certezza sull’attribuzione delle risorse e sui tempi di
erogazione”. Dunque – è la conclusione del leder dell’Uds – passata la
festa, il santo è davvero gabbato».

La Nuova

Direzione Pd: resa dei conti rinviata all’assemblea di domenica.
Cuperlo: «Non ho paura del voto, ma del risultato»
Renzi: «Le elezioni sono imminenti»

di Maria Berlinguer. Un congresso a tappe forzate da celebrare in
45 giorni per riavere l’investitura popolare a segretario e prepararsi
alla corsa per tornare a palazzo Chigi. Matteo Renzi sferza la
sinistra del Pd che il «40% non l’ha visto neanche con il binocolo
neanche con personalità ben superiori rispetto a oggi» e conferma di
voler il congresso subito perché il governo Gentiloni è a termine.
Anche se il Pd gli augura all’unanimità buon lavoro. Ma la minoranza
non ci sta e in direzione prova a mettere sul banco degli imputati il
segretario che ha dovuto lasciare palazzo Chigi dopo la batosta del
referendum. E attacca sulla linea politica, cercando di stoppare la
corsa di Renzi a un nuovo plebiscito.

La discussione vera è rinviata
alla prossima Assemblea nazionale di domenica prossima. Ma l’antipasto
si vede in direzione. «Dal voto sul referendum arriva un segnale che
riguarda tutti, non possiamo mettere la testa sotto la sabbia», dice
Roberto Speranza nel suo intervento alla direzione del Pd. «Abbiamo
fatto il racconto di un’Italia felix, che appariva vero solo
accendendo la televisione ma si scioglieva come neve al sole di fronte
alla realtà che è più forte della comunicazione», aggiunge.

«O il Pd cambia o muore, siamo apparsi come quelli che stanno
dalla parte di chi sta dentro, gli amici di chi ce la fa: così la sinistra non ha
senso», attacca Speranza. «Io non ho paura del voto ho paura del
risultato del voto», spiega anche Gianni Cuperlo che ha rifiutato
l’offerta del ministero della Pubblica Istruzione per tenersi le mai
libere. Ma è anche sull’accelerazione della fase congressuale che
bersaniani e sinistra passanno all’offensiva. Contestando in primis la
convocazione dell’Assemblea nazionale del Pd per domenica prossima,
organismo composto da 1000 delegati che lo statuto prevede possa
decidere se anticipare il congresso.

L’obiettivo è rinviare
l’appuntamento, tendendosi l’estrema ratio di disertarlo per fare
mancare il numero legale. «Nessuna convocazione è ancora arrivata ai
delegati», spiega Nico Stumpo. «Lo Statuto dice che il congresso viene
anticipato se non c’è un segretario e non ne viene eletto un altro,
dunque Renzi dovrebbe dimettersi. Lo vogliono cambiare? L’hanno già
fatto una volta per Renzi la seconda sarebbe diabolico», dice l’ex
responsabile dell’organizzazione di Bersani. Il sospetto è che Renzi
voglia indire un congresso lampo, scavalcado le procedure che
prevedono che l’assise nazionale sia convocata dopo i congressi dei
circoli. Un modo per scavalcare i territori, e arrivare il prima
possibile all’investitura plebiscitaria della base. Del resto, sui
tempi Renzi è chiaro. Messo ai voti il sostegno a Gentiloni il
segretario è esplicito.

Il Pd dovrà fare un congresso con gli iscritti
«sapendo che c’è un appuntamento imminente con le elezioni perchè è
evidente che nei prossimi mesi andremo alle politiche che noi e gli
altri più di noi hanno invocato», dice. Insomma buon lavoro a
Gentiloni, ma solo per qualche mese. Poi lo scenario cambierà e sarà
lui a guidare il partito alle elezioni come candidato premier. Del
resto, anche l’analisi del voto del 4 dicembre lascia pochi spazi
all’autocritica. Se il «59% del No è un voto politico allora lo è
anche il 41%», dice. «Il nostro disegno è stato bocciato dagli
elettori e bisogna aprire una riflessione ma se c’è un partito che
discute allora dovrà discutere di tutto, anche di come si sta insieme
in una comunità», avverte. La resa dei conti è rinviata. Resta il
documento che la minoranza vota alla fine della direzione: annuncia
che valuetrà i provvedimenti del governo caso per caso.


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Federico Marini
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