lunedì 12 dicembre 2016

Rassegna stampa 12 Dicembre 2016.


Unione Sarda

Giunta, dai piccoli altolà al Pd E spunta il nodo dei trasporti
La nomina all'Autorità portuale rallenta il rimpasto. L'Upc: fare presto

Le trattative ricominciano: gli alleati del Pd chiedono celerità e più
coinvolgimento nelle dinamiche del rimpasto. Intanto però non è stata
neanche fissata una data per il vertice inizialmente previsto oggi.
Francesco Pigliaru vuole essere sicuro che, fatta la verifica, non ci
si debba ritornare su: evitare lo spettro di un rimpasto spezzettato,
insomma.

IL NODO Ciò che potrebbe allungare i tempi è la questione
dell'assessorato ai Trasporti. Non è un mistero che l'attuale
assessore, Massimo Deiana, aspiri alla presidenza dell'Autorità
portuale della Sardegna. Ma ancora la nomina non è all'ordine del
giorno della commissione Trasporti della Camera. Manca anche il
decreto con cui il ministro, d'intesa col presidente della Regione, fa
la nomina. E del resto sarebbe una forzatura se il provvedimento
arrivasse da un ministro dimissionario.
A Roma però la crisi va verso la soluzione ed entro pochi giorni
potrebbe insediarsi il nuovo ministro. Questo avrebbe l'effetto di
accelerare l'iter che può consentire a Deiana di approdare
all'Authority. Stamattina intanto si riuniranno a Cagliari i
parlamentari, consiglieri regionali e assessori dell'area
Fadda-Cabras, cui fa riferimento anche il titolare dei Trasporti, per
le valutazioni sul rimpasto.

PROTESTE Tuttavia, fa presente il consigliere regionale dell'Upc
Pierfranco Zanchetta, «non si può aspettare che il partito di
maggioranza relativa si riassesti e risolva le sue magagne interne.
Siamo stanchi di rincorrere un rimpasto chiesto da mesi. Questo è un
momento di grande assunzione di responsabilità, è vietato fare brutte
figure davanti ai sardi. Non è tempo di equilibrismi».
Quanto al vertice saltato, «mi auguro che sia almeno mercoledì, per
avviare un confronto con il coinvolgimento dei partiti in decisioni
che non possono essere allungate in una minestra già stucchevole». Per
Zanchetta «il cambio di rotta non può scaricarsi solo sui piccoli,
dev'essere complessivo. La nuova Giunta dovrà avere un profilo
politico, senza tener conto solo di competenze curriculari». Quanto ai
Rossomori, «penso che valuteranno di volta in volta le azioni e prima
o poi mi auguro che possano rientrare».

SOVRANISTI A proposito di Rossomori: Paolo Zedda ha confermato
l'appoggio esterno alla maggioranza e, analizzando il voto
referendario, ha parlato di «occasione per riscrivere la nostra carta
fondamentale aprendo anche alle forze che non hanno rappresentanza in
Consiglio». Ieri su Facebook la risposta del segretario del Partito
dei Sardi, Franciscu Sedda: «Per due anni abbiamo proposto di
riscrivere lo Statuto per trasformarlo in una Carta di sovranità. Per
farlo il PdS non ha aspettato di vedere come andava il referendum
costituzionale italiano: il compito di un indipendentismo di governo è
anticipare il tempo e dire le cose giuste quando è scomodo dirle».
Roberto Murgia

La Nuova

Oggi la direzione del partito. La minoranza all’attacco «Deve
dimettersi, ci vuole un traghettatore alla Epifani»

ROMA Matteo Renzi prova a ripartire dal Pd. Anticipare il congresso
per essere riconfermato segretario e candidato premier e fare una
volta per tutte i conti con la minoranza che ha votato No contribuendo
alla sconfitta sul referendum. E prepararsi per riconquistare palazzo
Chigi. Matteo Renzi, come il Conte di Montecristo, mette a punto il
piano della vendetta e da Pontassieve, dove è tornato nella notte,
annuncia: «Sono pronto a ripartire». Ma la minoranza del Pd prova a
mettergli i bastoni tra le ruote. E alla vigilia della direzione di
oggi, alla quale non è chiaro se parteciperà anche Renzi, con il
bersaniano Davide Zoggia manda un messaggio chiaro. Se Renzi vuole
anticipare il congresso, deve dimettersi come prevede lo statuto. E a
portare il partito al congresso deve essere un altro segretario, un
«traghettatore» alla Guglielmo Epifani, il dirigente che guidò il Pd
dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani. Una tesi subito respinta dai
renziani e da Matteo Orfini. «Le dimissioni da segretario? Decide
lui», dice il presidente del Pd a Luicia Annunziata. È alle due di
notte che Matteo Renzi torna a farsi sentire dopo quasi 48 ore di
silenzio, con una confessione via Facebook.

 «Torno a casa davvero,
riparto da capo facendo tesoro degli errori e ai milioni di italiani
che vogliono un futuro di idee e di speranze per il nostro Paese dico
che non ci stancheremo di riprovare e ripartire», scrive il segretario
ammettendo che ha provato tristezza a dover fare gli scatoloni dal
terzo piano di palazzo Chigi per tornare a casa. «Non sono un robot»,
dice. Renzi rivendica i «mille giorni davvero fantastici» del suo
governo e fa l’elenco «impressionante delle riforme» e ammette l’amato
in bocca per ciò che non ha funzionato e la delusione per la riforma
costituzionale. Ma non c’è alcuna autocritica. «Un giorno sarà chiaro
che quella riforma serviva all’Italia», scrive. «Torno semplice
cittadino, non ho paracadute, non ho un seggio parlamentare non ho
stipendio nè vitalizio: riparto da capo come è giusto che sia». Ma il
suo non è un addio; è un arrivederci.

E la sua ripartenza comincia nel
partito che vuole portare al congresso anticipato per riprenderne la
leadership e prepararsi alla sfida delle prossime elezioni che l’ex
premier spera siano il prima possibile, anche per chiudere i conti con
gli avversari interni che confida di poter escludere dalle liste. Uno
schema di gioco che cozza con la realtà del Pd che arriva sfiancato al
passaggio della caduta del governo Renzi. E più diviso che mai. Anche
tra chi ha sostenuto con forza Renzi c’è malessere. I rapporti con
Dario Franceschini, per esempio, si sono molto deteriorati. Il
ministro della Cultura non ha gradito affatto i retroscena usciti la
scorsa settimana che lo dipingevano a capo dei congiurati contro il
segretario premier. È convinto che siano stati diffusi da uomini
vicini all’ex premier. Ora i due hanno siglato una tregua, ma è una
tregua armata. Tanto che Franceschini, che controlla la maggior
correte del Pd e molte truppe in Parlamento, avrebbe rifiutato il
ministero degli Esteri. Un modo per tenersi le mani libere in vista
del congresso. Poi c’è tutta la pattuglia della sinistra dem che
invoca discontinuità nell’azione di governo: a partire dal lavoro e
dalla scuola. E ci sono i possibili sfidanti di Renzi al congresso.
Enrico Rossi, il governatore della Toscana, che dice che ci vuole più
sinistra per tornare a vincere.

E da Bari Michele Emiliano fa capire
che al congresso ci sarà anche lui a sfidare dal Sud l’ex rottamatore.
Tutte questioni che saranno affrontate a partire da sabato prossimo
quando a Milano si riunirà l’assemblea del Pd, un passaggio decisivo
per fissare la data del congresso che Matteo Renzi vorrebbe fissare
entro febbraio-marzo, ma che la minoranza tenta di far slittare.
Motivo? I renziani sostengono che il vero motivo della richiesta di
rinviare l’assise è perché non c’è ancora un candidato forte da
contrapporre a Renzi. Oggi intanto è convocata la direzione del Pd.
Renzi ha fatto sapere che non è ancora sicuro che parteciperà «Sarebbe
una cosa inaudita», protestano dalla sinistra che fa capo a Bersani.
di Maria Berlinguer


Verso la riconferma anche Boschi. Alfano potrebbe lasciare il Viminale
per gli Esteri. E Cuperlo rifiuta l’Istruzione
Intoccabili e verdiniani, ecco la squadra
ROMA La pattuglia degli intoccabili è già definita, un elenco che
sembra destinato a non subire variazioni. I nomi sono quelli di Pier
Carlo Padoan all’Economia, Roberta Pinotti alla Difesa, Andrea Orlando
alla Giustizia, Graziano Delrio a Infrastrutture e Trasporti e Dario
Franceschini alla Cultura. Verso la riconferma vanno Maria Elena
Boschi, ex ministro delle Riforme e grande sconfitta del referendum,
che avrebbe l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio, e Marianna Madia alla Pubblica amministrazione. Attorno a
questo drappello di inamovibili,

il premier incaricato Paolo Gentiloni
rimodella la squadra di governo, nella quale sembra quasi certo
l’ingresso formale delle truppe di Denis Verdini, decisive per
assicurarsi la fiducia al Senato. A rappresentare Ala (Alleanza
liberalpopolare-Autonomie) potrebbero essere chiamati l’ex presidente
del Senato Marcello Pera o l’ex ministro Giuliano Urbani, mentre
resterebbe ancora in campo il sottosegretario Enrico Zanetti, dopo che
con i fuoriusciti di Scelta civica in parlamento ha unito le sue forze
a quelle dei verdiniani di Ala. Ad Ala potrebbe andare il ministero
dell’Istruzione, dove è data in uscita certa Stefania Giannini, che
durante il governo Renzi è passata da Scelta civica al Pd. Più
probabile, tuttavia, per dinamiche legate alle correnti interne al Pd,
che in viale Trastevere arrivi la dem Francesca Puglisi.

Il posto ieri
sarebbe stato offerto a Gianni Cuperlo, per bilanciare l’esecutivo a
sinistra, ma l’ex presidente del Pd avrebbe declinato gentilmente
l’offerta, anche per evitare che l’incarico apparisse come la
contropartita del sofferto “sì” di Cuperlo al referendum. Ad
assicurare la continuità con il governo Renzi, con in mano la gestione
delle nomine di primavera, appare sicura la riconferma di Luca Lotti,
sottosegretario alla Presidenza del consiglio e braccio destro di
Matteo Renzi a Palazzo Chigi, che punta ad avere anche la delega al
Servizi segreti, oggi saldamente in mano a Marco Minniti, che potrebbe
a questo punto prendere la via del Viminale. Un incarico per il quale
tuttavia si fa anche il nome del sottosegretario Claudio De Vincenti.
In questo complesso gioco di incastri Angelino Alfano lascerebbe il
ministero dell’Interno per un altro dicastero di peso, quello degli
Esteri lasciato libero da Gentiloni.

La Farnesina è tuttavia la
casella più affollata: in corsa ci sarebbero anche Piero Fassino e
Carlo Calenda, in uscita dallo Sviluppo economico, oltre all’Udc
Pierferdinando Casini. Ma è possibile che il premier incaricato scelga
la soluzione interna, premiando il segretario generale,
l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, con cui ha lavorato negli ultimi
anni. Incerto il futuro del ministro del Lavoro Giuliano Poletti che,
inizialmente dato in partenza per essere sostituito da Teresa
Bellanova, vice ministro dello Sviluppo economico, potrebbe invece
essere riconfermato. Cambio in vista anche al ministero dell’Ambiente,
Ermete Realacci, grande amico del premier, sostituirebbe Gian Luca
Galletti, mentre all’Agricoltura si profila uno scambio tra Maurizio
Martina, che andrebbe al partito, e il vice segretario dem Lorenzo
Guerini. Per Ncd, con Alfano, sembrano volare verso la riconferma
anche Beatrice Lorenzin alla Salute, ed Enrico Costa agli Affari
regionali.
di Maria Rosa Tomasello


Unione Sarda

l premier in pectore: stessa maggioranza, opposizioni indisponibili
Gentiloni, sì con riserva «Serve responsabilità»

ROMA Dopo le consultazioni, fatte a tempo di record come raramente in
passato, il presidente della Repubblica ha affidato a Paolo Gentiloni
l'incarico di formare il nuovo governo. L'ex ministro degli Esteri ha
accettato con riserva e, dopo i colloqui con le forze politiche,
iniziati ieri pomeriggio nella sala del Cavaliere a Montecitorio per
preparare la lista dei ministri, già nella giornata di oggi potrebbe
presentarsi al Quirinale per sciogliere la riserva e arrivare al
giuramento tra domani e mercoledì. La riforma elettorale e poi il
voto. Questa, ha sottolineato il premier incaricato, sarà la linea del
nuovo esecutivo: «L'obiettivo è accompagnare il percorso delle forze
parlamentari per arrivare a nuove regole elettorali».

TEMPI STRETTI Prima degli incontri istituzionali coi presidenti di
Camera e Senato e dell'avvio delle consultazioni, nel suo discorso ha
voluto sottolineare «la coerenza» di Matteo Renzi. «Una coerenza, con
l'impegno preso in campagna referendaria di non accettare un
reincarico, che merita rispetto da parte di tutti». La maggioranza
resterà la stessa, «visto che è emersa l'indisponibilità delle
maggiori forze delle opposizioni a condividere responsabilità in un
nuovo governo». Un esecutivo che dovrà essere formato in tempi brevi
anche perché, ha detto il presidente Mattarella, «ci sono impegni da
rispettare». Una delle priorità è il dossier Monte dei Paschi di
Siena, mentre il 15 dicembre c'è il Consiglio Europeo.

LISTA DEI NOMI Sono dunque ore decisive per la formazione del nuovo
governo. Il premier incaricato ha fretta e oggi vuole presentarsi al
Colle con la lista dei ministri per mettersi subito al lavoro. Resta
innanzitutto il rebus della Farnesina, ministero chiave: si fa sempre
il nome di Piero Fassino ma sta prendendo quota l'ambasciatrice
Elisabetta Belloni, favorita rispetto a un altro papabile come Carlo
Calenda. Nelle ultime ore si farebbe pure il nome di Angelino Alfano
agli Esteri, che lascerebbe il Viminale a un esponente di spicco del
Pd e comincia a circolare il nome di Marco Minniti.

CHI ENTRA E CHI ESCE Secondo le ultime indiscrezioni, insomma,
cambiamenti in vista potrebbero esserci per la delegazione governativa
di Ncd: se per Alfano si parla di conferma al Viminale o trasloco agli
Esteri, a rischio potrebbe essere il posto di Beatrice Lorenzin alla
Salute o quello di Enrico Costa agli Affari regionali. In bilico
sarebbe Gianluca Galletti, quota Udc, all'Ambiente: al suo posto viene
dato favorito Ermete Realacci. Data fuori dai giochi in un primo
momento, Maria Elena Boschi alla fine potrebbe rimanere per volere di
Matteo Renzi, ma con deleghe diverse da quelle attuali. Per le Riforme
e i Rapporti con il Parlamento si fa il nome di Anna Finocchiaro, ma
anche di Marcello Pera (vicino agli ex montiani di Scelta civica e per
il Sì al referendum), favorito rispetto a Giuliano Urbani. In queste
ore si è fatto sempre più forte il pressing di verdiniani e zanettiani
per avere un proprio esponente al governo, ma sono troppe le
incognite. Di certo Enrico Zanetti manterrà la poltrona di
viceministro all'Economia, ma i suoi spingono per un upgrade.

POLTRONE SICURE Sarebbero tra gli intoccabili Pier Carlo Padoan
all'Economia, Roberta Pinotti alla Difesa e Andrea Orlando alla
Giustizia. Nessun problema dovrebbe esserci nemmeno per Dario
Franceschini alla Cultura e Graziano Del Rio alle Infrastrutture. A
rischio Stefania Giannini all'Istruzione e Giuliano Poletti al Lavoro,
qualche dubbio sulla permanenza di Marianna Madia alla Pubblica
amministrazione.

CUPERLO RIFIUTA Per ricucire con la minoranza dem è stata fatta
un'offerta a Gianni Cuperlo, sostenitore del Sì: gli è stata proposta
la delega all'Istruzione ma lui ha declinato. Così, per questioni
interne al Pd la responsabile scuola dei dem, Francesca Puglisi,
potrebbe succedere alla Giannini, mentre al dicastero del Lavoro viene
data in pole l'attuale viceministro allo Sviluppo economico Teresa
Bellanova. Resta un punto interrogativo il ministro di Ala-Sc.

La sinistra studentesca e il feeling con Rutelli

ROMA Politico di lungo corso, natali romani e origini nobili, è il
ventottesimo presidente del Consiglio italiano. Classe 1954, sposato
con l'architetto Emanuela Mauro, senza figli, Paolo Gentiloni Silverj
appartiene a una famiglia aristocratica: un suo antenato, Vincenzo
Ottorino Gentiloni, firmò il patto che a inizio '900 segnò l'ingresso
dei cattolici nella vita politica italiana. Educazione cattolica,
scuola montessoriana e dopo liceo al Tasso, dove partecipò
all'occupazione della scuola, con tanto di fuga da casa per
partecipare a una manifestazione a Milano per l'anniversario di piazza
Fontana, Gentiloni fa il suo esordio in politica nelle fila della
sinistra extraparlamentare, entrando in contatto con il Movimento
Studentesco di Mario Capanna.

Si avvicina poi al movimento ambientalista di Legambiente dove trova
Ermete Realacci e Chicco Testa e diventa direttore della rivista
“Nuova Ecologia”, dove nel 1990 diventa giornalista professionista. È
questa esperienza ad avvicinarlo e legarlo a Francesco Rutelli: quando
quest'ultimo viene eletto sindaco di Roma, Gentiloni è il suo
portavoce. Nel 2001 entra in Parlamento, nelle liste della Margherita
di cui diventa responsabile della comunicazione. Ricandidato nel 2006,
entra nel governo guidato da Romano Prodi con l'incarico di ministro
alle Comunicazioni. Partecipa alla fondazione del Pd.
Eletto ancora in Parlamento nel 2013, entra nella commissione Affari
esteri e quando Federica Mogherini lascia la Farnesina, a ottobre
2014, lui prende il suo posto.

La Nuova

Il ministro uscente accetta con riserva, via alle consultazioni per la squadra
«Un onore, sarà la stessa maggioranza per indisponibilità delle opposizioni»
Incarico a Gentiloni «Ora legge elettorale»

ROMA «Ringrazio il presidente della Repubblica per l’incarico
conferito, lo considero un alto onore e cercherò di svolgere il
compito con dignità». Dopo tre giorni di consultazioni al Quirinale,
il capo dello Stato ha conferito a Paolo Gentiloni l’incarico di
formare un governo. Il presidente del consiglio incaricato ha
accettato con riserva ma ha garantito che riferirà a Mattarella «il
più presto possibile» perché la priorità è formare un governo nella
pienezza dei suoi poteri in tempi rapidi.

E la riserva potrebbe essere
sciolta già oggi o domani. Gentiloni non ha lasciato spazio a dubbi su
quello che sarà il suo lavoro a palazzo Chigi e soprattutto quali
saranno le sue priorità: legge elettorale e provvedimento terremoto.
Il tutto gestito da un esecutivo che prenderà forma (e ministri)
nell’ambito della maggioranza uscente. «Nel corso delle consultazioni
è emersa l’indisponibilità delle maggiori forze di opposizione a
condividere la responsabilità in relazione al nuovo governo. Dunque
non per scelta ma per responsabilità ci muoveremo nel quadro della
maggioranza e del governo uscenti, coscienti della necessità di dare
al paese un governo nella pienezza dei suoi poteri».

E rende omaggio
alla coerenza del suo predecessore: «È emersa la conferma della
decisione del premier Renzi di non accettare un reincarico in coerenza
con l'impegno assunto durante la campagna referendaria. E questa
coerenza merita rispetto». I verdiniani entreranno ufficialmente nella
compagine di governo? Il presidente incaricato ha avviato ieri sera le
consultazioni a Montecitorio ed ha rivcevuto anche la delegazione di
Ala-Sc, che a Palazzo Madama conta 18 senatori ed è indispensabile per
garantire la fiducia al governo. Nell’attesa di capire come cambierà
la squadra, a tenere banco sono le parole di Gentiloni sul profilo del
suo esecutivo. Innanzitutto sono balzate agli occhi di tutti le parole
del premier incaricato sulle riforme: tra i compiti del governo c’è
anche la volontà di «accompagnare e, se possibile, facilitare il
lavoro delle forze parlamentari per definire con la necessaria
sollecitudine le nuove regole elettorali».

Ci si attende dunque che
l’esecutivo si disponga a passare la palla delle riforme al
Parlamento, e si ipotizza un modus operandi diverso dal governo
precedente che è giunto a mettere la fiducia sull’Italicum. Ci sarà
una sorta di neutralità di merito, ma con una volontà di aiutare nel
metodo, favorendo il dialogo e svelenendo il clima. Oltre alle
riforme, Gentiloni ha indicato tra gli impegni del suo esecutivo «le
priorità internazionali, economiche, sociali, a iniziare dalla
ricostruzione delle zone colpite dal terremoto».

Su Gentiloni arrivano
le critiche delle opposizioni, come prevedibile. «Stiamo con i
cittadini, non con i voltagabbana» scrive su Twitter il leader del M5S
Beppe Grillo, rinviando al post scritto da Luigi Di Maio: «Un’auto blu
vuota è arrivata al Quirinale e ne è sceso Gentiloni #votosubito». A
In mezz’ora il vicepresidente della Camera ha ribadito ancora che
Gentiloni «è null’altro che l’Avatar di Renzi». Di Maio annuncia che
non parteciperà alle consultazioni e conferma l’Aventino al voto di
fiducia per il nuovo esecutivo, ma anche sulla legge elettorale. In
sostanza i 5 Stelle non collaboreranno per scriverne una nuova:
«L’idea di un tavolo sulla legge elettorale è finita» dice Di Maio.

Su
Gentiloni si abbattono anche gli strali della Lega e di Fdi. «Tutto
cambia perché nulla cambi. Siamo passati dal governo del burattino
delle lobby al governo del burattino del burattino delle lobby»
attacca Giorgia Meloni. Ancora più duro è il commento di Matteo
Salvini, che rifiuta di partecipare alle consultazioni di Gentiloni
(«Non abbiamo tempo da perdere») e parte a testa bassa: « Questi ci
prendono per il c..o! Noi non ci arrendiamo, daremo battaglia a questa
cricca. #votosubito». Unica voce fuori dal coro continua ad essere
quella di Silvio Berlusconi, che annuncia una opposizione
“responsabile”
di Gabriele Rizzardi


La Nuova

La crisi dopo il referendum e le dimissioni di Renzi hanno avuto
effetti nell’isola I parlamentari sardi sperano in un incarico di rilievo nel nuovo esecutivo

Un filo rosso unisce la caduta del governo di
Matteo Renzi alla Sardegna. Non solo il risultato del Referendum, che
nell’isola ha registrato una percentuale più alta di No rispetto al
resto dell’Italia. Ma anche la giunta di Francesco Pigliaru poggia i
piedi sul pavimento crollato del governo nazionale. I più ingenui
potrebbero limitare l’addio dell’assessore Gianmario Demuro al
risultato del voto. Ma sarebbe troppo semplicistico. Forse la vittoria
del No è diventata la scintilla che ha acceso il rimpasto. Ma gli
effetti più deleteri sono le turbolenze nate nei partiti, e in
particolare nel Pd, dopo la caduta di Renzi. L’incertezza riguarda non
solo la durata del futuro governo Gentiloni, ma anche i suoi effetti
sugli equilibri politici in Sardegna. Il Pd è sempre più un cantiere
in cui nessuno si sbilancerà prima di capire quale saranno i reali
rapporti di forza. Un altro capitolo riguarda le promesse fatte dal
premier nelle sue visite nell’isola .

E le tante vertenze, da quella
Alcoa a quella Meridiana, che sono rimaste ancora aperte ed erano in
parte legate anche alle garanzie personali date dai ministri. Senza
parlare del caos delle Province o del buco normativo dell’Autorità
portuale. I parlamentari sardi tengono conto di tutte queste variabili
mentre danno la loro valutazione sul futuro governo. Quasi nessuno
crede che la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale, ma a
parte gli esponenti del Movimento 5 stelle nessuno vuole le elezioni
anticipate. Per tutti serve un governo che abbia come priorità
l’elaborazione di una legge elettorale. Ma c’è anche chi va oltre,
come il deputato Gian Piero Scanu, e oltre un nuovo governo chiede in
modo particolare un impegno maggiore per affrontare i reali nodi che
in questi anni sono diventati una priorità per l’isola: lavoro,
salute, trasporti.

di Luca Rojch


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Federico Marini

skype: federico1970ca

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