martedì 14 agosto 2018

Morta pur essendo viva. Pensa ad una madre dello Yemen. Di Pier Franco Devias.



Adesso pensa al nome, al suo nome. Pensa al nome del tuo bambino, e pronuncialo. Pensa alla sua faccia da spiritoso, alla finestrella che ha in bocca perché sta cambiando i dentini da latte.  E pensa alle monellerie, al ciuffo ribelle che non si abbassa quando lo pettini per mandarlo a scuola. E guarda le foto che hai fatto con lui, coi fratellini, con le zie, con gli amichetti, al compleanno, in gita.

E mentre ti senti galleggiare nell’amore per lui, all’improvviso, una telefonata concitata che ti avvisa che c’è stata una disgrazia.

Ma come una disgrazia? No, non è possibile! Si sono sbagliati, questo è sicuro. Allora corri, senza badare a pericoli, piangendo disperatamente, e quando arrivi trovi un rottame giallo, fumante, e tante persone che vagano come fantasmi. Uno ti indica, ti chiamano, ti chiedono di avvicinarti. C’è uno che vuole chiederti di che colore era la camicetta che aveva tuo figlio, oggi.

Tu pensi che sia una domanda assurda. Che quei mucchietti di cose allineati non possono essere persone. Che le cose che stanno raccogliendo non possono essere pezzi di persone. Che quella domanda non possono avertela fatta per trovare il proprietario di quel braccino con una manica di camicetta rossa. 

Uguale a quella camicetta rossa che hai abbottonato stamattina. Pensa a cosa significa vedere la propria vita finire in quell’istante.  Restare vivo solo per sentirti morto fino all’ultimo dei tuoi giorni.

Pensa a cosa proveresti nel sentire il colonnello, che ha ordinato quell’attacco sullo scuolabus pieno di bambini, parlare di “attacco legittimo”.

Pensa se tu potessi gridare il tuo dolore al proprietario della fabbrica che ha prodotto la bomba che ha squartato il tuo bambino. E pensa a cosa proveresti se lui ti rispondesse “Quest’anno la produzione è aumentata, il fatturato cresce e le prospettive sono incoraggianti”.

Pensa se tu potessi gridare il tuo dolore a chi ha materialmente assemblato proprio quell’ordigno, in una fabbrica di un’isola lontana in mezzo al mare, e lui ti rispondesse che non c’era lavoro, che purtroppo se non lo avesse fatto lui qualcuno lo avrebbe ugualmente fatto.

Pensa se tu volessi scappare da tutto questo orrore, dall’odore del sangue nella polvere, dallo sguardo spietato della morte, e dopo mesi di fame, di sete, di paura, una volta approdato a una riva ti sentissi dire “Tornatene da dove sei venuto”.

Pensa se tu volessi gridare il tuo dolore al mondo intero, ma il mondo intero parla di telefonini e creme solari, fischiettando “Amore e capoeira”. 

E l’immane sofferenza, indicibile, incomprensibile per la morte del tuo bambino, fatto a pezzi con l’esplosivo, interessa per una breve giornata agostana un trafiletto sui media o questo insignificante post su facebook. Pensa a tutto ciò. Solo così potrai avere lontanamente idea di ciò che prova una madre nello Yemen.

Pier Franco Devias

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