lunedì 10 ottobre 2016

Perché smascherare le ragioni del "sì"






Tra i tanti falsi argomenti messi in campo a sostegno del Sì al referendum costituzionale ci sarebbe anche quello della esigenza di uno snellimento del procedimento di formazione delle leggi accorciandone i tempi di approvazione. Ovviamente è una falsità, come può intendere chiunque; perché il ricorso abnorme alla decretazione d’urgenza e alla delega legislativa si sono imposte, di fatto e già da molto tempo, Costituzione “originaria” alla mano, come modalità “ordinarie” della produzione legislativa. 






Ciò è evidentemente anche fisiologico: una Costituzione rigida, certamente nata per garantire la stabilità, deve altresì pur garantire il mutamento, ponendosi come luogo dell’equilibrio supremo tra le due dimensioni, quella statica e quella dinamica, tra l’essere e il divenire che sono poi l’essenza prima del consistere di un ordinamento. Tuttavia, l’affermazione di una sorta di decisionismo “acostituzionale”, modificato e plasmato secondo una ideologia – o “teologia” - aziendale nella conduzione degli affari pubblici, unitamente alla dinamiche messe in moto dalla globalizzazione capitalista e dalla guerra al terrorismo, è un fatto che, sebbene dovrebbe esserci noto da tempo, ha conferito alla straordinarietà e all’urgenza il carattere di un vero e proprio neo-eccezionalismo forse non sufficientemente considerato. 





L’uso della necessità, della straordinarietà e dell’urgenza quali paradigmi ordinari della tecnica di governo sono certo il precipitato di un processo di lungo corso che ha modificato e amplificato la crisi degli istituti giuridici tradizionali, così come furono concepiti dai costituenti; ma da circa un ventennio, per tutta una serie di complesse dinamiche, la crisi istituzionale ha subito una drastica accelerazione, sia in termini di quantità che di qualità, che ha finito per “modificare” profondamente le funzioni del potere legislativo-parlamentare e la tradizionale distinzione col potere esecutivo. I “rottamatori costituenti” di oggi in realtà arrivano un po’ in ritardo e con le idee (ammesso che siano le loro) molto confuse, talmente confuse che il rischio che si può paventare – ed alcuni infatti lo paventano - non è più tanto quello dell’affermazione di un ordine costituzionale “a-democratico”, per così dire, poiché quello è già una realtà, sebbene questa riforma nel complesso amplifichi ulteriormente la crisi degli istituti democratici, ma il vero e proprio caos istituzionale, il rischio cioè della paralisi nella vita delle istituzioni repubblicane. 





Insomma, un riformismo cazzaro con un potenziale elevato tasso di ingovernabilità istituzionale. Il peggio del peggio. Il voto per il NO (le cui forze in campo sono molto composite) andrebbe, io credo, anche letto in questa prospettiva, ossia non tanto come un voto per la conservazione della costituzione “più bella del mondo” quanto semmai per evitare il caos ordinamentale, il baratro istituzionale. A questo siamo. 


 Luca Puddu.



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