mercoledì 12 ottobre 2016

Rassegna Stampa: Bersani punta il dito contro Renzi. E' scontro aperto.



UNIONE SARDA

Giunta, rimpasto congelato Il referendum blocca i partiti
La maggioranza in stallo anche sulle presidenze delle commissioni consiliari

Elenco delle buone scuse per rinviare un rimpasto: prima era troppo presto, poi non si poteva fare sotto dettatura di Soru, poi Soru è saltato e col Pd senza il segretario non si fa. Ora c'è il referendum costituzionale (la prossima volta, in mancanza di meglio, si evocheranno le cavallette come nel film dei Blues Brothers). Ma l'ostacolo referendario non è pretestuoso: se in Giunta l'operazione-staffetta si è di nuovo arenata, è perché sarebbe complicatissimo condurla in porto prima del voto del 4 dicembre. L'ATTESA Ormai quella data ha assunto quasi il senso di un giudizio divino sul futuro dell'intera politica italiana, e pure sarda. Se vince il Sì l'egemonia renziana si consolida, altrimenti la parabola del Rottamatore rischia di finire. E forse finisce pure il Pd.
Un rimpasto fatto ora, sulla base degli attuali rapporti di forza tra i democratici, fotograferebbe una realtà che tra pochi giorni può essere già stravolta. Per dire: una delle ragioni della staffetta è il rafforzamento dell'area più puramente renziana, finora poco rappresentata. E infatti da almeno sei mesi si parla dell'ingresso di Pier Luigi Caria, uno di quelli della prima ora . Ma ha senso farlo
prima di sapere se l'astro di Renzi brillerà ancora?

PRUDENZA Per altro, il leader del Pd è il primo a non volere, in questa fase, tensioni che interferiscano con la campagna referendaria. E un rimpasto non scivola mai via senza produrre qualche delusione. Meglio tenere tutti sulla corda e - almeno nel Pd - lasciar sperare future ricompense dell'impegno per il referendum. Senza contare che una sconfitta del Sì potrebbe avere ripercussioni sulla Giunta, visto lo stretto rapporto tra il governatore Francesco Pigliaru e il premier. Non al punto di spingere Pigliaru medesimo a dimettersi, come auspicavano la settimana scorsa i Rossomori (che, fino a prova contraria, sostengono il presidente): la Giunta non è entrata nella campagna referendaria, sono questioni scollegate. Ma se Renzi va in difficoltà crea problemi anche a Pigliaru.

ALLEATI Insomma, non sono tanto le fibrillazioni nella maggioranza a mettere il rimpasto nel cassetto. L'uscita di Rifondazione comunista dalla coalizione non toglie numeri in Consiglio al governatore Francesco Pigliaru, visto che Alessandro Unali resterà leale al presidente anziché al segretario del Prc, Giovannino Deriu, che ha sancito la rottura. E che ieri ha controreplicato a Pigliaru: «Lui sostiene che io mi sottraggo al confronto, è vero esattamente il contrario», ha detto Deriu, «ma ormai i buoi sono scappati dalla stalla ed egli potrà confrontarsi con i due neo-iscritti al partito del professore» (allusione allo stesso Unali e all'altro eletto nelle liste di Sinistra sarda, Fabrizio Anedda, che però non faceva parte del Prc).

«Immagino confronti di altissimo livello nell'esclusivo interesse delle masse popolari sarde», ha aggiunto Deriu: «Non voglio pensare che Pigliaru intenda continuare a tutelare piccole e grandi rendite di posizione e a rafforzare vecchie oligarchie. Voglio almeno pensare che il presidente metta da parte la sua supponenza e la smetta di umiliare la politica offendendo la dignità di partiti che hanno concorso, ahimè, alla sua elezione».

STALLO IN AULA Il rimpasto rinviato blocca anche il Consiglio regionale, che a metà legislatura dovrebbe rinnovare le presidenze di commissione. Per prassi, e per logica politica, si tende a non affidare allo stesso partito un assessorato e la commissione che si occupa degli stessi temi (anche se si conoscono eccezioni). Un riassetto immediato delle presidenze porrebbe un'ipoteca sui futuri incarichi in Giunta, oppure sarebbe un lavoro da rifare a breve. E poi chissà se il Pd accetterà di perdere un posto, nei vertici dei parlamentini. Oggi ne guida quattro su sei, ed esprime pure il presidente del Consiglio (Gianfranco Ganau). Eppure i democratici sono solo la metà della maggioranza: 18 consiglieri su 35, tenendo Pigliaru fuori dai conteggi. Se a inizio legislatura la maggiore esperienza degli eletti Pd favorì una soluzione sbilanciata, ora sarebbe difficile da accettare per gli alleati.

Anche perché, nel frattempo, i Dem rivendicano il quinto assessorato. Cosa già complicata. È vero: la nomina di Paolo Sestu alla Sfirs ha tacitato Sel che chiedeva due assessori anziché uno. E pare che al Partito dei sardi, arrivato a quattro consiglieri e presto forse a cinque (se sarà confermato l'arrivo di Unali), basti un solo posto in Giunta. Ma la matematica dice che comunque le ambizioni del Pd comportano la sottrazione di un assessore agli alleati minori. Un problema per Pigliaru, o forse no: la prossima buona scusa per frenare sul rimpasto.
Giuseppe Meloni

La sinistra nega la scissione, ma la crisi è rinviata al referendum
Bersani: «Non lascio il Pd, l'esercito per cacciarmi»

ROMA Lunedì Pier Luigi Bersani non è intervenuto in direzione: «Non ha voluto alimentare il derby» tra Sì-No, spiegavano i suoi. Ma ha parlato ieri, a Montecitorio. Chiarendo che, se Matteo Renzi «tirerà dritto», lui tirerà dritto con il suo No, aggiungendo che «una commissione non si nega a nessuno». Il riferimento è al comitato annunciato dal premier-segretario per modificare l'Italicum (ma solo dopo il referendum), una delegazione di cui faranno parte uno o più membri della minoranza.
LE TRUPPE Ma la sfida politica di Bersani è un'altra: nessuno riuscirà a cacciarlo dal suo partito. «Invito tutti i commentatori a levarsi dalla testa la scissione. Per quel che riguarda me, a portarmi fuori dal mio partito ci può riuscire solo la Pinotti con l'esercito», dice rivolto ai cronisti in Transatlantico. E mentre Pinotti giura che l'esercito lo schiererebbe solo per impedire a Bersani di andar via,
nei corridoi di Montecitorio qualche deputato ferma i “ribelli” e, complice, chiede: «Allora, a quando la scissione?». Ma dalle fila della sinistra dem arriva una netta smentita: «A prescindere dal risultato finale, io lavorerò fermamente per tenere unito il Pd e contro ogni scissione», dice il leader di Sinistra riformista Roberto Speranza.

IL SOSPETTO Il messaggio è indirizzato al premier-segretario: in molti pensano che farebbe comodo alla maggioranza liberarsi della sinistra dem. «Vorrei tranquillizzare elettori e telespettatori: la scissione non esiste», assicura Speranza. E anche se, incalzato da Faraone, arriva ad affermare che, «se cambiate la legge elettorale, siamo pronti a dare una mano» per il referendum, il No dei “ribelli” alla riforma costituzionale sembra ormai scontato.
MANDRAKE L'eventualità di un cambio di rotta si verificherebbe solo se l'Italicum venisse cambiato entro il 4 dicembre, data del referendum,
e con le modifiche volute dalla minoranza. Un'ipotesi impossibile che merita al capo della fronda Dem l'appellativo di «Roberto Speranza Mandrake», affibbiatogli dallo stesso Faraone. In caso di vittoria del Sì, però, diversi nella maggioranza di governo ritengono inevitabile la spaccatura. E mentre Sinistra italiana aspetta a braccia aperte i transfughi, nell'ala bersaniana il ragionamento è un altro. «Il No non è un pretesto, se avessimo voluto scinderci lo avremmo fatto prima, quando il governo ha toccato scuola e lavoro. Noi siamo interessati al congresso, ad aprire una fase vera in cui il Pd torni a essere il Pd,
con un altro segretario». Il nome è quello di Roberto Speranza. Nel
frattempo, «non ci sarà nessun Aventino», assicurano.

CONSIGLIO. Illustrate dal sindaco le dichiarazioni programmatiche 2016-2021
Zedda: «Cinque anni di sfide per migliorare la nostra città»

Una rincorsa lunga cinque anni, una «sfida da vincere». Nelle dichiarazioni programmatiche 2016-2011 illustrate ieri al Consiglio comunale il sindaco Massimo Zedda ha inserito progetti e indicazioni («giunte anche dal colloquio-confronto con parti sociali, cittadini e imprenditori»), auspici e una certezza: «Nonostante la crisi, la nostra città esprime energie. A noi il compito di coglierle e indirizzarle per governare al meglio la crescita». Vincendo influenza e mal di gola, il sindaco ha spiegato la sua idea di sviluppo: «Non ci può essere crescita in una città chiusa in se stessa».

LE SFIDE Le dichiarazioni fanno parte di un libro articolato in quindici capitoli che anticipano, riassumendole, intenzioni e linee di sviluppo. La strategia di crescita della Città metropolitana è tra i temi-guida più corposi: è il laboratorio, il luogo-contenitore di un'insieme di sfide, ha sottolineato il sindaco, «in termini di sostenibilità sociale, ambientale ed economica». Gli obiettivi: «Promuovere migliori condizioni di vita e di lavoro, favorire la nascita di un ambiente utile all'innovazione e allo sviluppo delle imprese» ma anche la «costruzione di relazioni e rapporti di collaborazione complementari con tutti i territori dell'intera Sardegna».

La Città metropolitana è il futuro? Zedda: «Con il Governo è stata elaborata una strategia di azioni coordinate e integrate per garantire adeguate sinergie tra gli investimenti effettuati attraverso i Fondi strutturali e di investimento europei». Per il decollo immediato dei progetti sono in arrivo 168 milioni. Dove investire:
infrastrutture («miglioramento della mobilità pubblica urbana ed extraurbana attraverso il potenziamento del sistema di metropolitana leggera»), ambiente, territorio e turismo, crescita economica e produttiva, poi cultura, salute e benessere.


I PROGETTI Al centro del programma i grandi progetti negli ambiti dei lavori pubblici, dei trasporti e della mobilità («dai mezzi di trasporto ai collegamenti nel centro storico»), la parte sociale e solidale (dal sostegno ai minori alla terza età e alla disabilità), le nuove politiche per la casa, il «potenziamento dell'azione tesa a combattere l'evasione e l'elusione fiscale». Attenzione al verde e all'ecologia, ai progetti per lo sport e al commercio, l'arte e lo spettacolo, i giovani e gli studenti, il decoro urbano (imminente «l'aggiudicazione definitiva per l'affidamento del nuovo appalto di igiene urbana») e le opere («rete pluviale, strade e marciapiedi a Barracca Manna») riguardanti la Municipalità di Pirri, rappresentata ieri in Aula dal presidente Paolo Secci e da diversi consiglieri. Pietro Picciau

La Nuova

La presidenza interpreta alla lettera la legge Severino e gli riassegna la poltrona
Ma il consigliere di Forza Italia ha l’obbligo di dimora: deve restare a Sassari Peru viene reintegrato ma non può andare in aula
di Mauro Lissia

CAGLIARI Antonello Peru può riprendere il suo posto nel consiglio regionale, sarà regolarmente pagato ma non potrà muoversi da Sassari: uscito dalla custodia cautelare cui era costretto dallo scorso 25 luglio dopo 109 giorni di carcere perché indagato per associazione a delinquere nel procedimento Sindacopoli, l’ex vicepresidente dell’assemblea sarda ha incassato l’attenuazione della misura cautelare da parte del gip di Oristano e d’ora in poi dovrà rispettare
solo l’obbligo di dimora nella sua città di residenza.Per la maggior istituzione dell’isola questo è bastato a richiamarlo al palazzo di via Roma, con una decisione che al di là degli aspetti di legittimità non mancherà di sollevare polemiche. Il fatto. La presidenza del Consiglio ha interpretato alla lettera il testo dell’ex decreto Severino sull’eleggibilità dei politici nei guai giudiziari, quello
che sospende in caso di divieto ma non di obbligo di dimora. Con l’effetto di allargare la già affollata schiera di indagati per reati comuni all’interno del consiglio regionale. In questo caso il reintegro potrebbe rivelarsi virtuale, perché all’esponente di Forza Italia sarà comunque vietato, tranne che in rare occasioni autorizzate dal giudice, di andare a Cagliari e in qualsiasi altra sede al di
fuori di quella stabilita dall’autorità giudiziaria. Il giro di tangenti. Per una ragione semplicissima: l’indagine sul giro di tangenti è ancora in corso, Peru è per la Procura oristanese uno dei riferimenti politici più vicini alla cupola di affaristi che governava illegalmente gli appalti pubblici. Con l’obbligo di dimora il gip vorrebbe evitare che l’esponente di Forza Italia circoli per la Sardegna ed entri in contatto con altri indagati, recandosi a Cagliari il rischio ci sarebbe. Non per i colleghi della politica, che quel pericolo non lo vedono. L’interdizione. Non è finita: Peru dovrebbe fare i conti anche con l’interdizione dai pubblici uffici, contenuta nel provvedimento cautelare firmato dal gip di Oristano. Ma qui a
soccorrere l’intraprendente onorevole è il codice di procedura penale, che esclude dall’applicabilità della misura accessoria i rappresentanti eletti dal popolo. Peru non potrà votare alle consultazioni elettorali e perderà altri diritti, ma non quello di partecipare all’attività dell’assemblea legislativa della Sardegna. Il supplente. Brutte notizie invece per il supplente e collega di partito
Giancarlo Carta, che ha svolto e poteva svolgere liberamente il suo compito di legislatore: è stato spedito a casa formalmente lo scorso 3 ottobre con una lettera recapitata una settimana dopo e confermata ieri in aula dal presidente Gianfranco Ganau. L’indennità.

Se Peru non potrà partecipare ai lavori del consiglio, incasserà comunque e
puntualmente i 6600 euro lordi dell’indennità consiliare, cui si aggiungono un rimborso spese forfettario di 3850 euro e la maggiorazione di 650 euro perché la dimora abituale di Peru, quella obbligata di Sassari, dista più di cento chilometri dalla sede del consiglio regionale. Ricorso. Non c’è nulla da fare, un eventuale ricorso al tribunale amministrativo da parte di Carta arriverebbe alla
decisione quando l’inchiesta della Procura di Oristano sarà conclusa e gli indagati, in un modo o nell’altro, potranno attendere il giudizio a piede libero. La legge Severino. Ma come nasce la decisione di riaprire le porte del consiglio a un indagato per reati gravissimi?

Tutto è legato all’interpretazione letterale dell’articolo 8 del decreto Severino, dove si stabilisce che la sospensione scatta se il consigliere regionale è colpito da divieto di dimora. Il provvedimento del gip di Oristano stabilisce l’obbligo di dimora, ma - come sostiene l’avvocato Ivano Iai, che tutela Carta, in una nota inviata agli organi del Consiglio - il secondo «è più afflittivo del primo» perché
mentre l’obbligo costringe a non muoversi da una città, il divieto lascia l’indagato libero di andare in qualsiasi altro comune al di fuori di quello indicato dal giudice. In altre parole l’obbligo contiene un divieto più ampio, ma in via Roma hanno preferito limitarsi al significato preciso delle parole, applicando una scelta che a giudizio dell’avvocato Iai «è in innegabile contrasto coi
principi costituzionali di uguaglianza e del giusto processo, oltre che con quelli del buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione». Fuori dal linguaggio tecnico: il consiglio regionale ha preferito pagare un consigliere che non potrà lavorare, piuttosto che un onorevole presente e attivo.

Slitta l’apertura del dibattimento per la modifica del collegio
Barracciu, processo a gennaio

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